giovedì 16 agosto 2012

Hooker’s corner

Boccaccio non avrebbe saputo fare di meglio. C’è più scorrettezza politica in questa notizia di quanto un giornale americano riesca a mettere insieme in un anno di pubblicazioni.

La storia arriva dagli antipodi. Auckland, Nuova Zelanda: l’amministrazione comunale è sul piede di guerra con le prostitute che danneggiano il patrimonio comune. Come? Esibendosi in volteggi adescatori sui pali dei segnali stradali. E siccome evidentemente non tutte sono delle libellule, ne hanno piegati o troncati già un buon numero, nei mesi recenti. Allora, ragazze: o la smettete di abbuffarvi come delle maiale e vi rimettete un po’ in linea, oppure la piantate di usare gli stop come pali da lap-dance.

Mi viene in mente il grande De Andrè e la sua Bocca di rosa. Le contromisure fino a quel punto, si limitavano all’invettiva. Le abitanti del quartiere sono imbufalite, come sempre accade quando la tentazione viene portata proprio a domicilio, mettendo a repentaglio la fedeltà dei maritini. Una dichiara: il mio indirizzo è Hunters Corner, ma siamo talmente pieni di prostitute che su un pacco per me hanno scritto Hooker’s Corner, e mi è stato recapitato lo stesso.

Tutto da ridere: l’angolo delle mignotte, già accreditato perfino dai postini. Ora non ci resta altro che aspettarsi un esposto dell’associazione delle peripatetiche neozelandesi nei confronti dell’amministrazione pubblica, per aver usato materiali scadenti nei pali dei cartelli. Gli infortuni sul lavoro sono una cosa seria, e poi queste sono imprenditrici in proprio, non si possono permettere di stare a casa con la schiena a pezzi o una gamba rotta. La concorrenza impietosa incalza, e un palo che cede sotto lo slancio ginnico di una lucciola giunonica può causare imponenti perdite di reddito. Per non parlare del danno d’immagine. Da sexy a ridicola nel breve istante in cui il palo cede e si affloscia come burro fuso. Robe da far causa.

Fossi nei panni dell’assessore all’urbanistica di Auckland, consulterei un avvocato di grido. Non sia mai che la mia fantasia divenga realtà, e per maggior scorno qualche giudice in vena di estrosità leguleie non dia alla fine ragione alle professioniste dell’amore – ma dilettanti della palestra. Costringendo la città a cambiare tutto l’arredo urbano. E magari imponendo pure una lautamente pagata consulenza della Technogym, giusto per esser sicuri che i volteggi delle squillo siano tutelati da solide basi tecniche e strumenti adeguati.

Non vedo l’ora di andare in Australia, per sentire quante nuove barzellette hanno coniato gli aussies sul tema. Gli amati-odiati cugini kiwi sono il loro bersaglio preferito, vuoi non approfittare di una storia così gustosa? Basterà buttare lì le paroline magiche hooker’s corner, tra una birra e l’altra, e aver pronto il taccuino. E un fazzoletto, per asciugarsi le lacrime dal ridere.



domenica 12 agosto 2012

Un bel gioco dura poco

Nomen omen

La felicità. Scritta non solo sul viso ma perfino sul petto. Duecento metri d’oro per l’americana.

Maestri cantori

La scherma non delude mai. Occhi chiusi e inno in gola per i nostri fiorettisti d’oro.

Il cuore oltre l’ostacolo

Tutto il resto del corpo invece è rimasto lì, prima della prima barriera. Liu Xiang, l’eterno favorito sempre rotto al momento sbagliato.

Jump

Quando salti ti cade la maschera, diceva Halsman. Ci doveva essere un suo allievo in campo, per fissare così le campionesse statunitensi di calcio.

Ingiustizie

Le olimpiadi non sono peggio della vita – né meglio. Dovunque ci sia uno che ti giudica, l’errore ci può stare. O anche peggio. Come ha imparato sulla sua pelle la schermitrice coreana Shin. Inconsolabile e irriducibile insieme, ha tenuto la pista occupata per un’ora, nella speranza – vana – che le fosse resa giustizia.

Mascheroni

Va bene che sia uno sport televisivo per eccellenza. Ma c’è proprio bisogno di trasformare le nuotatrici sincronizzate in personaggi dei fumetti giapponesi?

E a me?

Lui si becca la medaglia d’oro. Io invece della coccarda preferirei un po’ d’erba bella fresca, al posto dei soliti fioccati dietetici di cereali. Per favore. Ihihihhhhh.

L’uomo lampo

Con un nome così, non poteva che finire a frantumare record e avversari. Usain Bolt.



venerdì 10 agosto 2012

Götterdämmerung

Il crepuscolo degli dei. Lacrime quattro anni fa. Lacrime oggi. Ma di tutt’altro sapore. Una rara ammissione di colpa, totale, senza la minima ricerca di scuse o attenuanti. Addirittura sospetta, in un mondo niente affatto abituato a gente che si assume le responsabilità dei propri errori.

L’Italia perde un atleta: quel paesino sperduto nel Trentino ritrova un uomo. L’uomo qualsiasi che Alex voleva ritornare, forse oppresso da una responsabilità più grande di lui. Non riesco a non provare simpatia per questo ragazzo costretto a vincere contro la fatica immane ed oscura, costretto ad essere un personaggio pubblico contro la sua timidezza, costretto ad una solitudine quotidiana ripagata ogni quattro anni da titoloni e osanna – ma solo se vincente. Hai fatto la cosa sbagliata, come atleta. Ma come uomo ne hai fatte varie giuste ed onorevoli, compreso il riprenderti la tua vita privata.

L’Italia – forse – sopravviverà anche senza la tua medaglia. Se destinata ad un fato avverso, di certo non sarebbe stato quel pezzo di metallo a salvarla. Tu d’ora in avanti viviti la vita normale che agognavi, Alex. Oggi, come ultimo saluto, ti voglio dedicare il mio ricordo di quando ci hai fatto emozionare quattro anni fa a Pechino. Ed un modesto, ma sentito, grazie.


Benvenuto nel club


Per le mie limitate capacità di resistenza televisiva, è umanamente impossibile trascorrere di giorno quasi quattro ore incollato davanti al teleschermo per vedere in diretta l’odissea di un gruppo di scodinzolanti atleti che percorrono cinquanta chilometri di marcia. Figuriamoci di notte, dall’una e mezza fin quasi alle sei.

Eppure ci tenevo a vederlo. Ma Morfeo era suadente e tentatore stanotte. Tra la partenza e l’arrivo ho dei vaghi ricordi di un dormiveglia pieno di visioni assortite di polpacci gonfi, di sederi dimenanti, di braccia arrancanti, di bottigliette d’acqua raccattata al volo per ingollarla o per aspergersi il corpo accalorato, di sudori veri o indotti da docce nebulizzate che tentavano di portare refrigerio a questo manipolo di folli camminatori estremi.

La marcia è questo. Esasperare il gesto quotidiano di una qualsiasi passeggiata, portandolo alla massima velocità possibile, senza mai raggiungere quella fatale fase aerea in cui entrambi i piedi, sia pur per una frazione di secondo, sono entrambi sollevati da terra. Come i trottatori che rompono il loro ordinato passo, scoppiando in un fragoroso galoppo, così il marciatore che tecnicamente corre anziché camminare viene prima richiamato e poi squalificato.

Un esercizio paradossale, se non altro per il fatto che va perpetuato, passo dopo passo, per la bellezza di cinquanta chilometri. Fate i vostri conti. Immaginate una località così distante dalla vostra, e vedetevi mentalmente raggiungerla, a piedi, ancheggiando impettiti, in meno di quattro ore. Follie.

La marcia ha sempre avuto una buona scuola in Italia. Oggi abbiamo l’ennesima conferma. Alex Schwazer parte in testa dal primo metro, si lascia dietro qualcosa come cinquantamila passi ed arriva primo. Ohh. Finalmente un oro nell’atletica leggera. Ho visto la partenza, di quelle che ti viene da pensare, ma dove vai (nemmeno dove corri, che non si può!), guarda che il traguardo è lontano, rispàrmiati, gli altri ti vengono a prendere. E invece aveva ragione lui. Tre ore e trentasette minuti dopo, eccolo di nuovo, solitario, nello stadio da cui era partito. Un ingresso da trionfatore, più di due minuti sul secondo classificato.

Ma non è la medaglia d’oro la cosa più importante oggi. Oggi vincono i sentimenti, i buoni sentimenti. Questo ragazzo di ventitré anni, che un mese fa ha perso il nonno, e che concorreva con una fascia nera sulla bretellina della canotta, è entrato in quello stadio di gloria e per prima cosa, piangendo, ha baciato la fascia sul suo petto. Poi, superato il traguardo che lo incoronava campione olimpico, si è chinato, si è messo le mani tra i capelli ed ha continuato, sommessamente, a piangere. Si avvertiva, si vedeva che quelle erano lacrime sgorganti da sentimenti misti. Gioia, incredulità, tensione finalmente scaricata, riscatto, rimpianto. Tutto insieme, in quel singhiozzare composto.

Nell’intervista a caldo, ancora grondante gocce di ginnico sudore, ha mostrato il volto umano di un giovane campione, esibendo poche ma sane, fondamentali certezze.

Ha tenuto a sottolineare che lui è pulito. E non è dichiarazione da poco – anche se, in un mondo di sport ideale, e non quello furbesco e truffaldino di oggi, dovrebbe essere la norma, non un fatto da mettere in risalto a distinguersi da altri che invece si dopano. Un giorno potrà arrivare decimo o ventesimo anziché primo, ma ci arriverà sempre solo con le sue forze. Perbacco. Ha difeso ostinatamente la propria privacy, non intendendo rivelare – nonostante l’insistenza dell’intervistatrice in cerca di un futile scoop pettegolo – la provenienza del braccialetto portafortuna ostentato alle telecamere poco prima dell’arrivo. È un messaggio pubblico ma strettamente privato, diretto solo a chi sa lui, e tale deve restare. Ha ricordato il nonno, scomparso di recente, che chissà come sarebbe stato orgoglioso del suo Alex campione, e ancora gli sono affiorate delle lacrime che scorrevano calde sul primo piano del suo viso sudato. Rallegrati, Alex. Il nonno ti vede e oggi festeggia con te. Ha voluto ricordare tutto il gran lavoro di preparazione fatto a Saluzzo con Sandro, e l’intimità del rapporto con il preparatore gli ha fatto dimenticare che non tutti gli italiani sanno che Sandro è Damilano, uno della famiglia dei fratelli marciatori protagonisti di imprese e successi di circa tre decenni fa. Ha detto, suscitando un’arguta simpatia, che il duro non sono stati i quindici giorni di preparazione a Pechino, saranno i prossimi quindici giorni di festeggiamenti a casa. E casa è un paesino minimo di trentuno abitanti, che fanno di Alex il campione olimpico proveniente dal borgo più lillipuziano del mondo.

Bellissima infine una sua dichiarazione, fonte di insegnamento per tanti supposti fuoriclasse. Stimolato dalla giornalista a confrontare la vittoria di oggi e la mala sconfitta di un anno fa ai mondiali di Osaka, ha risposto, con la pulizia e la schiettezza di un ragazzo semplice, da allora sono cresciuto molto. Del resto, non è che dalle vittorie si impari molto. Che cosa sensazionale. In un mondo di campioni boriosi, saccenti, spocchiosi, che hanno visto tutto e vinto tutto e sanno tutto, ecco un ragazzo che istintivamente, in presa diretta, ci dice che è dalle sconfitte che si impara a diventare più forti, più umili, più uomini. Bravo Alex. Benvenuto nell’esclusivo, privilegiato, semivuoto club dei campioni veri. Nonché degli uomini veri.


Prima pubblicazione : 22 agosto 2008

domenica 5 agosto 2012

Artisti di strada (3a parte)

Segue da ieri...


Il virtuoso

Qualcuno deve spiegarmi come ha fatto a partire, una volta caricato il motorino in questa maniera oscena.

Il vizioso

L’ho seguito per un po’. A sufficienza per vederlo estrarre una sigaretta dal pacchetto, mettersela in bocca, accenderla e fumarsela. Il tutto senza fermarsi. E sì, quello che vedete sporgere dalla mano sinistra è il mozzicone quasi finito. Da circo. Chapeau.

L’allegra famigliola


Sicura. Ognuno col proprio casco in testa. Il fatto che poi siano in quattro sulla motoretta è irrilevante. E non scandalizza nessuno.

Senza titolo

E per concludere, esageriamo: in una sola immagine c’è troppo di sbagliato. Dalla postura – detta che-palle-perché-non-sono-figlio-unico – del ragazzetto in pole position sul motore familiare, alla presa tipo wrestling con cui la madre mantiene a bordo la sorella del sullodato. Per non parlare del cap da equitazione calzato sul cappellino a larga tesa della passeggera in giallo. E infine i collant indossati con le infradito, causando il curioso effetto dita-di-cammello. Ma per favore non traducetelo in inglese. Questo non è un sito porno.

Ma il vero capolavoro non sono riuscito a fotografarlo. Una ragazza che, seduta dietro al proprio filarino, faceva da filtro umano. Nel senso che teneva le mani congiunte davanti alla di lui bocca, in un tenerissimo quanto vano tentativo di evitare allo stesso di respirare lo smog emesso dai milioni di altri motorini che affollano Hanoi. Cosa non fa fare l’amore.



sabato 4 agosto 2012

Artisti di strada (2a parte)

Segue da ieri...

L’assicurato

Deve esserlo per forza. Altrimenti non si spiega uno che si azzarda a viaggiare con un pastrano impermeabile monoblocco che si estende da sotto il casco fino alle manopole del mezzo. E nel contempo si aggiusta gli occhiali con una mano, o forse si ripara dallo smog. O entrambi.

Il credente

Non solo perché rappresentante del clero locale. Soprattutto per la fiducia che il proprio curioso cappellino fatto ai ferri sia taumaturgicamente protettore in caso di urti.

L’ottimizzatore

Mi raccomando, non ingrassare, deve aver detto alla passeggera. Se no ci rimettiamo in carico utile. Da notare il sacchetto azzurro: doveva contenere beni importanti per non trasportarlo più comodamente nel portapacchi anteriore. Fidarsi è bene...


Continua domani, con la terza e ultima puntata!

venerdì 3 agosto 2012

Artisti di strada (1a parte)

Ognuno con la sua specialità. Si tratta di funamboli talvolta, ma non intrattengono alcun pubblico. Cercano solo di arrivare a destinazione interi, senza passare prima dall’ospedale. E non si capisce come quasi sempre ci riescano. Eppure.

Lo squatter 


Quando il carico di derrate è più importante del passeggero. E lo stesso deve acquattarsi – senza lamentele – nel vano tra manubrio e conducente. Fortemente consigliato avere un parente dentista – in caso di frenate brusche gli incisivi sono decisamente a rischio.

L’Help Desk 

Con quello che caricano sui motorini, chi mai si stupirà per una CPU di computer? L’importante è avere un buon bilanciamento. Né la merce né la passeggera sono vincolati al pilota. Anche perché ci vorrebbero braccia da orango per agganciare il guidatore, con in mezzo quello scatolone spigoloso. Meglio usarlo come bracciolo.

La fashionista 

Tacchi a spillo? Non sia mai detto che siano un impedimento a guidare le due ruote.


Continua domani, con la seconda parte.