mercoledì 24 dicembre 2014

M** Bun


C'era una volta un piccolo locale di nome mac bun, che in piemontese vuol dire semplicemente “soltanto buono”. Dove soltanto, nel sobrio stile savoiardo, sta per proprio: proprio buono. E siccome vendeva svizzerine di carne messe dentro a dei panini, un brutto giorno una nota multinazionale del cibo (si fa per dire) rapido da di là dell'oceano, non conoscendo il dialetto piemontese, si sentì offesa da questo apparente scimmiottamento e decise che l'onta andava lavata, non col sangue, ma con la rimozione della similitudine.

E poiché le multinazionali hanno potenza di fuoco a sufficienza da vincere contro i piccoli Davide armati solo di vivande proprio buone e niente più, finì che qualche tribunale sentenziò che davvero di scimmiottamento si trattava e che quindi quell’insegna andava cambiata.

E fu così che da allora l’onesta bottega subalpina si chiama M** Bun. Giusto qualcuno non si accorgesse della differenza, nonostante la bontà della carne.

Tutto questo per dire cosa? Per porci una semplice domanda: ma non sarà che per caso noi italiani siamo un po’ succubi delle multinazionali? Perché se no non si spiega come a Tokyo sia possibile vedere, serenamente esposta nel dedalo di negozi proprio sotto la stazione ferroviaria centrale, questa insegna di un venditore di hamburger.


Dai, andate voi a far causa a dei giapponesi a casa loro. E vediamo chi vince stavolta, se Mc Donald o Mc Daniel. Mi sa che sarebbero gli americani a far la fine di Golia, anche se il fromboliere si chiama Daniele e non Davide.




venerdì 5 dicembre 2014

Ho visto un re


Oggi è festa nazionale in Tailandia. Si celebra il compleanno di re Bhumibol, il monarca in carica col primato dell'insediamento più lungo. L'immagine del re da settimane campeggia in ogni dove. Perfino sugli schermi dei telefoni pubblici in aeroporto.

Mi associo alle celebrazioni, ripubblicando un pezzo scritto sette anni fa, quando re Bhumibol compiva ottant'anni.

Ho visto un re

Non di persona. Ma dappertutto. Bangkok è tappezzata di foto, manifesti, gigantografie. Si sta per celebrare l’ottantesimo compleanno di re Bhumibol. Ieri sera passeggio per le strade del centro e incontro una spropositata quantità di persone che indossa alcune varianti su un tema fisso: una polo color giallo brillante con sulla tasca lo stemma simbolo del regno.

Oggi, diretto in aeroporto, ho la rara fortuna di trovare un autista che comunica civilmente in inglese. Ha voglia di parlare. La classica domanda per rompere il ghiaccio, di dove sei. Appreso che sono italiano, ottengo l’associazione mentale che sboccia invariabilmente sulla bocca della totalità dei tassisti asiatici: football. Con la gustosa recente aggiunta, pronunciata con tono ammirato, campioni del mondo. Mi dice che tra Francia, Germania, Brasile e Italia, i più forti siamo noi. Annuisco. Mi parla di Maldini, il miglior difensore del mondo. Ora mi sembra veramente brutto deludere le sue aspettative, rivelandogli che ha caricato un italiano anomalo che se ne impippa totalmente del calcio.

Allora provo a cambiare cautamente discorso. Cosa sono tutte quelle maglie gialle che ho visto ieri sera? Eccoci. Un fiume in piena mi investe. Sono l’omaggio del popolo tailandese al re. Ogni lunedì (il giorno in cui è nato il monarca) la gente si veste di giallo, colore celebrativo, per comunicare visivamente la propria partecipazione alla gioia per il raggiungimento il prossimo 5 dicembre di un bel traguardo, gli ottant’anni dell’amato sovrano. Proprio così. Non è una frase fatta.

È raro percepire un tale genuino, profondo rispetto ed affetto per un leader. Ma re Bhumibol deve essere una persona speciale, per suscitare un simile consenso plebiscitario. Questo giovane tassista dice my king, che bello, il mio re. Il re è di tutti e quindi è anche suo. Ci si sente l’orgoglio in quella dichiarazione. Ci si sente la stima di cui questo sovrano gode presso la sua gente. Ogniqualvolta lo cita, si batte il pugno serrato sul petto, sul cuore, a manifestare un senso di appartenenza reciproco. Roba d’altri tempi. Il mio re.

Una figura magra, quasi fragile, che ispira calma e fiducia, vedendolo non nei ritratti ufficiali ammantato di pesanti broccati dorati ma nelle foto non protocollari, più belle e più autentiche, in semplice giacca e cravatta, dove dimostra di essere persona che sa uscire dallo scrigno prezioso del palazzo reale e scendere tra la sua gente, tra i suoi sudditi, per regalare un’apparizione in un ospedale, una visita in aree difficili, insomma una sincera attenzione per il suo popolo. Uno sguardo vivo e attento dietro alle lenti degli occhiali che indossa. Espressioni intense, partecipi. Non il lontano, ieratico distacco dalle terrene cose di altre maestà fuori dal mondo.

Un curioso vezzo che me lo rende particolarmente simpatico è il fatto di farsi talvolta ritrarre con una macchina fotografica al collo. Come un normale turista. Mi accentua quella sensazione di re della gente comune che i tailandesi percepiscono e apprezzano. Mi piace pensare che, nonostante gli ottant’anni, malgrado il fatto di essere pur sempre un monarca, che potrebbe permettersi cento fotografi pronti a inquadrare e scattare per lui, abbia ancora voglia e passione per fotografare un panorama, un gruppo di persone, un tramonto sul mare. È il re, è tutta roba sua. E con questi comportamenti mostra una grande considerazione per le sue proprietà.

Come dicono innumerevoli cartelli, in giro per Bangkok: lunga vita al re.




Prima pubblicazione : 20 novembre 2007