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sabato 16 agosto 2014

Burocratese


C’era chi aveva parlato di precipitazioni atmosferiche. Dilettanti. Con quelle misere ventisei lettere, non lega neppure le scarpe a questo capolavoro di vacuità burocratese.

Facciamo un confronto. Come si descrive la stessa situazione nella lingua di Albione? Innanzi tutto ci mettono dei disegni, che possono essere interpretati anche da chi non conosce l’idioma locale. Un semaforo – rosso. Una macchina fotografica che scatta.

Basterebbero già le figurine. Ma gli inglesi (o americani, o australiani) ci vogliono umiliare. Gli piace vincere facile. Allora sotto alle silhouettes aggiungono la didascalia. Disarmante nella sua semplicità e sintesi mirabile: red light camera. Tre parole, 14 caratteri. Nessun riferimento al codice stradale, che tanto gli automobilisti mica viaggiano con tomi legulei appresso.

Noi ne abbiamo impiegate – per spiegare che se passi col rosso ti fanno una foto e poi ti arriva comodamente a casa una contravvenzione – la bellezza di sette per un totale di 61 caratteri! Ogni parola, se trascuriamo le preposizioni, è lunga in media undici lettere. Più, in piccolo, come nei contratti delle assicurazioni, il numero di articolo del Codice della Strada, per dare un’aura di boriosa ufficialità al tutto. Ma né uno straccio di traduzione, né un agevolante disegnino.

Maledetti burocrati. Ma voi non viaggiate mai all’estero? Evidentemente no, se no provereste un minimo di vergogna ad offrire ai turisti stranieri simili impervi trabocchetti linguistici.

Che, per inciso, servono perlopiù ai nostri compatrioti, perché all’estero sono già abituati al concetto che se bari col semaforo c’è il fondato rischio di beccarsi una multa. Mentre qui da noi c’è ancora chi si stupisce. Poi addirittura c’è chi si indigna per questo attentato alla libertà di passare con il colore che più gli aggrada, e chiede a gran voce che queste cento trappole siano dichiarate arbitrarie e illegali, con buona probabilità di trovare un giudice spiritoso che gli dà retta. Ma questa è un’altra storia – tutta italiana.





giovedì 14 agosto 2014

Benvenuti in Italia


Che in Italia non ci sia una gran conoscenza dell’inglese è fatto conclamato. Siti turistici ufficiali, spiegazioni su monumenti, riviste bilingui sono una inesauribile fonte di sollazzo per la stirpe della lingua di Albione. Consoliamoci. Non siamo gli unici storpiatori dell’esperanto universale. Evidentemente siamo in buona compagnia, se qualche spirito allegro si è preso la briga di creare un sito come engrish.com, dove si raccolgono le bestialità e gli errori dagli effetti comici nelle traduzioni in inglese dal giapponese o dal cinese. Visitare per credere (e ridere).

Ma qui sappiamo fare di meglio. Avendo una quantità di turisti estivi comparabile ai biblici sciami di locuste, noi pensiamo a loro mettendo cartelli stradali rigorosamente in italiano. Giusta rivalsa per il fatto che nel resto dell’Europa nessuno si sogna di considerare e rispettare l’esigenza del turista italiano medio (totalmente ignorante di qualsiasi lingua straniera e talvolta anche della propria) di trovare indicazioni stradali comprensibili anche nell’Iglesiente o nelle valli della Bergamasca? Può essere.

Per dimostrarsi superiori a questi stranieri che non ci accontentano, in fondo basterebbe prendere qualcuno che abbia un inglese appena migliore di quello raggiunto dopo dieci giorni di corso a dispense comprate in edicola, e già si potrebbe scrivere qualcosa di decente sui segnali. Perché qui non sto parlando dei segnali universali, quelli che basta un’occhiata e non occorre leggere nulla. Qui in Italia infatti abbiamo la specialità di inventarci i segnali “condizionali”, quelli con il simbolo e sotto la chiacchierata esplicativa (solo in italiano).

Il limite dei 50, in autostrada, vale solo in caso di nebbia (per fortuna). Il divieto di parcheggio sui viali è a tempo. Dalle 10 di sera alle 5 di mattina, onde evitare frotte di clienti che affollano le strade per i soliti commerci carnali notturni. Per entrare in una ZTL occorre leggere regole fitte e complicate come il retro delle polizze dell’assicurazione.

E così gli stranieri, per cercare di capire come funziona (se così si po’ dire) la viabilità in Italia, devono viaggiare con dizionario, taccuino e matita per scriversi la prosa sotto ai cartelli e cercare di decifrarne il significato.

Ma sfido chiunque a trovare qualcosa che batta la genialità di chi ha messo una serie di cartelli sulla superstrada litoranea tra Livorno e Grosseto. Premessa: la velocità consentita è 110 km all’ora. Col maltempo è giusto consigliare prudenza ed invitare a ridurre la velocità. Nulla da eccepire sul concetto. Ma considerando la zona ed il clima marittimo si suppone che le nevicate siano un fatto piuttosto eccezionale. Eccettuiamo qualche sporadica grandinata, che comunque costringerebbe i guidatori a ridurre la velocità anche senza bisogno di inviti o cartelli. Dunque che altro potrebbe cadere dal cielo se non della pioggia?

Allora chiamiamola così. Perché un cartello che recita, sotto al simbolo velocità massima 90 km/ora, “in caso di precipitazioni atmosferiche” (le ho contate, due parole fanno ben ventisei lettere) mi suona francamente una presa in giro nei confronti dei turisti. Precipitazioni atmosferiche. Vi immaginate una coppia di inglesi che stanno viaggiando sotto l’acqua a cento all’ora, e passano davanti a tale segnale? Cosa c’era scritto? Non so, ho fatto in tempo a leggere preci.. Aspetta il prossimo. Ah, eccolo. Allora? Ora sono arrivato a precipita.. Ma insomma, sei analfabeta? No, prova tu a leggere queste cavolo di parole italiane che sono lunghe un chilometro! Vai più piano, che così leggo tutta la frase. Sei matta, cara? Così questi indiavolati di italiani ci tamponano e ci portano fino a Roma a motore spento! Forse quando sono arrivati a Grosseto hanno decifrato l’interminabile codice da Vinci. Ora si tratta di guardare sul dizionario. E siccome anche i più attrezzati turisti non viaggiano con incunaboli da otto chili ma con dei tascabili che non brillano per selezione di lemmi, ecco che le possibilità che i tapini hanno di capire che il nostro geniale creativo quando ha scritto “precipitazioni atmosferiche” intendeva dire semplicemente “pioggia” sono tendenti allo zero.

Si dice in caso di pioggia, per la miseria! Vorrei che il nostro redattore di cartelli si trovasse una volta a guidare in un’autostrada cinese, con il volo che gli parte tra due ore, e le indicazioni per l’aeroporto rigorosamente in ideogrammi e senza facilitanti simboli di aeroplanini accanto. Forse allora capirebbe cosa significa far leggere ad uno straniero precipitazioni atmosferiche.

Piccolezze? Forse. Ma quando si viaggia all’estero così tanto come faccio io, queste minuscole sgarberie (magari involontarie, ma non per questo più giustificabili) saltano ancora più all’occhio.

Turisti? Benvenuti in Italia. Anzi. Perché farla breve e semplice? Ispirandomi al creativo di cui sopra, così magari mi capiscono meglio : benvenuti nel bel paese là dove il sì suona. E cari inglesi, se non è chiaro, oltre al dizionario portatevi appresso anche la Divina Commedia.




Prima pubblicazione : 31 dicembre 2007

mercoledì 21 maggio 2014

Rodeo drive


Non siamo a Los Angeles ma in India. Così si viaggia, a cavalcioni di un fascio di tondini di ferro, su un camion in marcia sull'autostrada da Mumbai a Pune.


Servono altre parole?




lunedì 19 maggio 2014

Ritorno al passato


Come descrivere l'esperienza di un viaggio in autostrada in India? Benvenuti in Cina, vent'anni fa. Gli stessi antichi camion, stracarichi e affannati, ma lignei e sgargianti di colori come carretti siciliani. La stessa totale, anarchica, quasi gioiosa mancanza di regole. Lo stesso strombazzare a distesa, urgente e ammonitore, ad avvisare il mondo in movimento del proprio arrivo. Le stesse derelitte auto fumose di vapore dal cofano sbadigliante, arresesi sui tornanti come ciclisti scoppiati. Gli stessi pazienti ingorghi da incidente. Gli stessi panorami polverosi e ancora selvatici. Gli stessi pullman a lunga percorrenza, con le cuccette dove la gente dorme sdraiata sui dei tavolacci di legno, per aria condizionata i finestrini scorrevoli aperti. Gli stessi occasionali motocicli contromano a cui nessuno pare far caso, men che meno meravigliarsene.

Tutto come allora nel Regno di Mezzo. Dicono che l'India diventerà la prossima Cina? Fatte le proporzioni con il traffico, ci vorranno almeno vent'anni. E non è detto che basti.





giovedì 17 aprile 2014

Il tasto giusto

Una volta apparteneva al fantasioso mondo di James Bond. Oggi è realtà. Che cosa? La macchina telecomandata. No, non sto parlando dei modellini per i ragazzi, con cui alla fine giocano regolarmente gli adulti. È un'automobile vera. Con un minuscolo aggeggio grosso come un telefonino potete sterzare, far avanzare o indietreggiare la vettura. Da fuori.


Confesso che la visione di un piccolo video amatoriale realizzato da un amico filippino entusiasta dell'invenzione mi ha messo addosso un senso di inquietudine. Va beh, è risaputo che sono un dinosauro. Peggio: un dinosauro scettico. Oggigiorno sempre più congegni possono essere controllati a distanza. Il senza fili - wireless per i patiti della tecnologia - impazza. Ma una macchina? Faccio l’errore di domandare, a cosa serve un gadget del genere? Subito vengo investito da un esuberante elenco di utilissime applicazioni. Metti che piove, puoi far avvicinare la macchina fino al tuo riparo. Se non vedi quanto spazio hai per parcheggiare, scendi e posteggi finalmente davvero a vista. Sei semplicemente pigro? Invece di camminare tu fino alla macchina lasci che sia lei a venire a te. Eccetera, lasciando sbizzarrire la fantasia umana alla scoperta di altri irrinunciabili vantaggi dell'auto telecomandata.

Lo ammetto: una macchina che sterza da sola, con il volante innaturalmente in moto anche se priva di guidatore, è una cosa che colpisce. Vederla poi andare avanti e indietro da sè fa il paio con l'effetto quasi nauseabondo di quando provai per la prima volta in Giappone un'ibrida: sentirla muoversi in perfetto silenzio a motore spento inganna corpo e testa, e crea disagi viscerali.

E veniamo alla confutazione degli argomenti dell’amico fan. In caso di pioggia, portatevi un ombrello. Non so quanto tiri il telecomando, ma sarebbe carino esser sicuri che uno non possa guidare in remoto da distanze a rischio incidente da mancanza di chiara visuale. Specie se sta venendo giù un acquazzone. Parcheggi? Oggi sempre più vetture hanno cicalini che indicano l'avvicinarsi di un ostacolo - nella fattispecie, la macchina dietro di voi - e sostituiscono egregiamente la vista, agevolando chi non è dotato nell'arte del parcheggio in retromarcia. Scendere per posteggiare accrescerebbe solo il rischio di grasse risate da parte degli astanti e di erogazione gratuita di consigli non richiesti sulle modalità della manovra. Pigri? Fate due passi, che vi fa bene, invece di star sempre col sedere sulla macchina!

E poi a me fa una paura dell'accidente pensare che qualcuno si affidi ad un tastino di telecomando - e non ad una sana, fisica, energica affondata sui freni - per decidere di fermare una vettura vuota che sta per investire un bambino sbucato dal nulla. Quante volte abbiamo cambiato canale cercando di alzare il volume della tivu? Quante volte abbiamo sbagliato numero telefonando a un amico? Quante volte è finita la batteria del dannato marchingegno proprio quando ci serviva di più? Vogliamo affidare la pelle di un passante alla nostra capacità di scegliere il tasto giusto al momento giusto? Ai posteri l'ardua sentenza.




sabato 1 marzo 2014

L’angolo giusto


Un tizio trentenne di Nagoya, tale Ryota Onogi, domenica scorsa ha noleggiato una macchina e dopo poche centinaia di metri è salito di proposito su un marciapiede puntando diritto su una folla di pedoni. Tredici feriti, per fortuna nemmeno un morto. Il mancato assassino ha terminato la sua corsa stampandosi contro un albero. Subito bloccato dalla solertissima polizia, ha dichiarato che voleva fare fuori qualcuno.


Interviste di prammatica a vicini e conoscenti dello squilibrato. Risposte banali a domande imbecilli. Se ne deduce che l’alienazione è tra - se non dentro - di noi, e talvolta solo una sorte cieca ma benevola ti aiuta ad evitarla, anche se purtroppo a qualcun altro toccherà.

Non solo nessuno lo avrebbe mai sospettato capace di una simile impresa, ma anzi, sembrava una persona così normale. La perla la offre un vicino: salutava sempre. Certo. L’importante è sapersi inchinare correttamente, per esser considerato a posto in Giappone. Poi si sorprendono se uno che ha perso il lavoro un giorno decide di noleggiare una macchina (una buona percentuale di giapponesi, pur avendo la patente, non ha una vettura, o perché non se la possono permettere, o perché è superflua, visto il perfetto funzionamento del trasporto pubblico, o anche perché non hanno un posto dove parcheggiarla, e in mancanza di questo non sono autorizzati a comprarsela, almeno a Tokyo) e in un lampo di lucida follia mette sotto della gente scelta a casaccio. Così, tanto per vendicarsi della società perfetta dalle mille regole. Incluso l’angolo esatto a cui inchinarsi, variabile a seconda della persona che si riverisce. Chi l’avrebbe mai detto? E pensare che salutava sempre. Anche all’angolo giusto.





giovedì 6 febbraio 2014

Scatti cinesi: moda e mode

Segue da ieri.


I cinesi somigliano un po’ agli italiani: inguaribili esterofili. E tutto sommato, a ragion veduta. Il rapido arricchimento di una minoranza rumorosa della società genera l’esigenza imprescindibile di esibire il più pacchianamente possibile la propria agiatezza. È un fenomeno comune nei noveaux riches, e non solo in Cina. Unite a questo il fatto che i cinesi tengano in pessima considerazione la qualità dell’industria manifatturiera locale. Tutto ciò che ha un marchio tedesco (meccanica, automobili), francese (moda, bevande alcoliche), italiano (arredocasa, di nuovo moda e vetture di lusso) o svizzero (orologi, che altro?) diventa ambito status symbol di cui vantare e ostentare insistentemente il possesso.


Lo show-room della Ferrari nel pieno centro di Shanghai. Ai giovani rampanti piace il rosso del cavallino di Baracca. Tanto più ambito in quanto raro, difficile da ottenere, estremamente costoso e di immediata riconoscibilità. Per la generazione dei padri in cerca dell’eccellenza automobilistica la scelta cade sull’ovattata e confortevole limousine inglese (si fa per dire, è tutto in mano ai tedeschi). La Rolls-Royce? No, curiosamente è la storica rivale Bentley a farla da padrone in Cina nella fascia dei ricchi cinquantenni.


Un paio di striscioni alti quattro piani di un grande magazzino. Perché non si equivochi, perfino le modelle ritratte sono occidentali. Mai qualche potenziale cliente lo pensasse l’ennesimo scimmiottamento locale di marchi europei. Cosa distingue un negozio di abbigliamento cinese da una boutique d’importazione? La densità per metro quadro di capi esposti. Solo i santoni della moda hanno il vezzo di tenere due oggetti due – ma carissimi – in vetrina, e sporadici, selezionati articoli languidamente sparpagliati per il negozio. Le botteghe cinesi sono invece un affollato marasma di capi di vestiario, la cui soffocante coesione supera quella degli abitanti di Tokyo la mattina in metropolitana.


Rispolveriamo un po’ di orgoglio italiano (almeno come nome, la proprietà della marca è ormai migrata in Svizzera). Comunque, dopo anni passati a trovare la trimurti delle minerali francesi (Perrier, Evian, Vittel) nei frigobar e sugli scaffali dei supermercati in Asia, ecco finalmente la rivincita delle sorgenti nostrane: San Pellegrino e Panna, per veri sommelier dell’acqua, qui servite all’aeroporto di Shanghai.


Gli orari dei negozi cinesi già sono normalmente più estesi rispetto agli europei. Ma metti che a uno a mezzanotte prenda un’improvvisa voglia di aggiornarsi sulle tendenze della moda mondiale o sui prezzi delle vetture più in voga. Niente paura. Ci pensa il distributore automatico di riviste trendy a mantenervi sempre preparati. Ventiquattro su ventiquattro. Cari cinesi, non avete più scuse ora.




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martedì 28 gennaio 2014

Only in Australia

Road train è un termine familiare solo a chi conosce un po’ l’Australia. Ogni tanto in autostrada si incontrano degli autoarticolati di particolare lunghezza e capacità di carico. Il potente trattore stradale tira non il solito singolo rimorchio autoarticolato, ma ben tre. Per una lunghezza complessiva di oltre 50 metri. Per carità, che non debba mai fare manovra in retromarcia!

Un amico mi manda delle foto dalla terra dei canguri. Anche loro, seppur abituati alle esagerazioni, talvolta riescono ancora a sorprendersi di se stessi. Ecco le ragioni.

Un convoglio più somigliante a un treno merci che non ad una fila di camion come la conosciamo noi. Lassù, nel deserto rosso dei Northern Territory, una processione di road trains carica bestiame in una stazione presso Tennant Creek.

Dopo aver terminato le operazioni, il treno dei treni continua il suo lungo viaggio, in parte su sentieri sterrati. Percorrerà oltre milletrecento chilometri per raggiungere il mercato di Longreach, nel Queensland.

Un po’ di numeri, per dare l’idea di quanto eccezionale sia questa traversata desertica.

Diciassette camion; tre trailers per camion; due pianali per trailer: fanno 102 pianali da caricare di bestie.
Circa 28 animali per pianale: in totale, 2.856 capi.
Ogni capo pesa circa 500 chili.
Il prezzo del bestiame all’ingrosso a Longreach è di 1 dollaro e 65 cent al chilo.
Ogni animale viene venduto per 825 dollari.
Il valore totale della mandria trasportata è 2.356.200 dollari.
La colonna è lunga circa 900 metri. Roba da pregare di non doverla mai sorpassare!!

Quasi un chilometro di carovana e due milioni e mezzo di dollari di mucche. Questo si chiama far le cose in grande. Only in Australia.





venerdì 17 gennaio 2014

Acrobati 3

Mandare un SMS oppure scrivere un messaggio su qualche social network mentre si viaggia in motoretta? A due mani? Si può, si può. Basta essere passeggeri, avendo perfino il comfort del bauletto come schienale a cui appoggiarsi, per meglio tener l’equilibrio mentre si digita. Speriamo non ci tocchi un giorno vederlo fare, ma al guidatore. Al peggio non c’è mai fine.






mercoledì 15 gennaio 2014

Acrobati 2

Un bimbetto in sella ad una moto, con le ciabattine infradito, braccia e gambe scoperte, senza casco e nulla che lo regga se non il proprio equilibrio? Non lanciamoci subito in giaculatorie sull'incoscienza di genitori che trasportano figli piccoli sulla motoretta senza adeguate misure di sicurezza. Nel Sud Est Asiatico questa è una visione non inconsueta, e i bambini locali sembrano aver sviluppato speciali abilità.

Questo pargolo, viste le notevoli doti di stabilità motoristica, forse da grande è destinato a una carriera nelle corse. Perchè capace di reggersi con una mano al giubbotto del padre mentre si ciuccia beatamente il pollice dell'altra, ma all'approssimarsi di una curva a sinistra provvede - solo di sensibilità motoria, essendo totalmente privo di visuale - ad aggrapparsi anche con l'altra mano, per meglio bilanciarsi al piegamento della moto. Data l'età apparente, credo si tratti di puro istinto di sopravvivenza.





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martedì 14 gennaio 2014

Acrobati 1

Ci sono poche cose che un motociclista asiatico non oserebbe trasportare sul proprio mezzo. Un vecchio pagliericcio, completo di piedini, evidentemente non fa parte dell’esigua lista. Purtroppo l'aspetto più straordinario del trasporto dalla fotografia non si riesce ad apprezzarlo.

Questo giocoliere contorsionista, ritratto in Malaysia, stava guidando con una mano sola. Perché l'altra impugnava, mediante opportuna rotazione della spalla all'indietro e all’insù, il bordo superiore del pezzo di mobilio. Per rendere più ardita l’operazione, nemmeno un pezzo di corda assicurava il collo al mezzo: solo quella mano innaturalmente torta.


E appariva totalmente a suo agio: non pareva sfiorarlo il pensiero che una vettura potesse urtarlo, nè che stesse ingombrando mezza carreggiata con il suo gingillo appoggiato sul sellino del motociclo.

Una volta in Cina in uno spettacolo ho visto esibirsi dei motociclisti che ruotavano in tutte le direzioni dentro ad una enorme gabbia sferica d’acciaio, incrociando traiettorie folli. Erano in sei, facevano un fracasso d’inferno e mi era sembrata un’insuperabile prova di demenziale temerarietà.

Ora so che c’è chi compie acrobazie non meno incoscienti, rischiando altrettanto la pelle, probabilmente lo fa gratis o per due quattrini, e non c’è neppure un cane ad applaudirlo. Acrobati anonimi.



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domenica 15 settembre 2013

La fiducia...

... è una cosa seria, che si dà alle cose serie. Così recitava una vecchia pubblicità casearia, chissà chi se la ricorda ancora.

È dai piccoli episodi che si riconosce la civiltà: indissolubilmente va a braccetto con la fiducia, quando ben riposta.

Questa foto potrebbe far pensare a una passione – che invece non ho – verso le due ruote americane, rombanti e corrusche di ricche cromature.

Ma osservatela attentamente, nei dettagli. Notato nulla?

Vi aiuto. Ecco il particolare a cui mi riferivo.

Lo scontrino del parcheggio. Che significa le seguenti cose:

- qualcuno si è dato la pena, di tardo pomeriggio, posteggiando nella zona blu, di pagare la sosta.

- Non avendo un ambiente chiuso dove esporre il biglietto, lo ha calzato sotto il cuoio del serbatoio...

- ... partendo dal presupposto che nessun furbo se lo fregasse per usarlo a sua volta e risparmiare magari qualche spicciolo, esponendo però l'onesto motociclista al rischio di un’ingiusta multa.

- E – incredibile dictu – è successo davvero. Nessuno se l’è fregato.

La fiducia è una cosa seria. È bello sapere che talora venga premiata.



sabato 30 marzo 2013

What a difference a word makes

Home. La differenza nella forza, nella potenza di un messaggio è tutta in quella breve ma fondamentale parola.

Gli australiani hanno una vera ossessione per salvare le vite degli automobilisti. Operando senza sosta per impedire agli ubriachi di far danni al volante. E tempestando i guidatori con continue campagne contro l’eccesso di velocità sulle strade.

L’ennesimo cartello troneggia su un viadotto di autostrada nei pressi di Sydney. Avrebbero potuto dire: drive safely. Guida con prudenza. Ma sarebbe stato il solito, trito, barboso ammonimento a rispettare i limiti e a non fare stupide gare tra auto.

Qualche creativo che si merita il posto di lavoro invece ha pensato bene di aggiungere una parola lì in mezzo. Drive home safely. Ossia, tornate a casa sicuri.

Potenza delle parole. Drive home safely. Perché lì c’è qualcuno che ti aspetta. Non deludere la tua famiglia. Torna a casa. Guidando con prudenza.

Grandi australiani.




venerdì 15 marzo 2013

Cani al volante

Guidi come un cane. Non si potrà più dire. Non nel senso offensivo con cui lo si usa, perlomeno. Perchè in Nuova Zelanda hanno trovato la maniera di farli guidare, i cani. Davvero, non è un pesce d’aprile in anticipo.

Si tratta di bestiole di canile, animali abbandonati, o salvati da padroni violenti, o semplicemente randagi raccolti per strada.

I volontari dell’associazione per la protezione degli animali hanno avuto un’idea speciale. Insegnare a tre di loro, su degli improvvisati simulacri di cruscotti, a compiere le manovre fondamentali. Curvare, frenare e perfino parcheggiare. Poi, su delle Mini adattate per l’evenienza, dopo due mesi di corso, questi volonterosi allievi hanno dimostrato in pista di essere capaci di condurre una vettura. Da soli, con l’istruttrice che li guidava alla voce, da fuori. Due su tre hanno passato il test. C’è gente che ci mette di più a prendere la patente, pur avendo la parola e un cervello che – forse a torto – riteniamo superiore a quello degli animali.

Hanno scelto apposta dei cani rifiutati, per sconfessare quel brutto preconcetto che l’ospite di un canile sia un essere di serie b, una bestia da scegliere solo se non si ha un’alternativa migliore, un’incognita da mettersi in casa con cautela.

Il motto di questa eccentrica iniziativa? Cani così intelligenti si meritano una casa.

Ma domandiamoci, piuttosto: noi boriosi e arroganti umani, siamo sicuri di essere degni di meritarci delle creature così?





domenica 10 marzo 2013

Drive & Drink

Si sente sempre parlare di Drink & Drive. A Singapore una creativa e talentuosa pubblicità rovescia l’assioma. Tutti condannano la gente che prima beve e poi guida. Ma qui fanno sul serio. E affrontano la questione a monte del misfatto.

Non raccontiamoci storie: quando esci di casa sai già il programma della serata, e se ci saranno libagioni comunitarie inebrianti, minacciose per la capacità di guida. Nessuno, men che meno i poliziotti, abbocca alla facezia, toh, ma guarda, ero convinto di andare ad una degustazione di tè verde, e invece...

Per cui, al posto del solito non guidare dopo aver bevuto, questi geni della comunicazione sociale ti dicono, non guidare prima di bere. E non guiderai mai ubriaco.

Pensateci prima, per non pagare – e caro – dopo. Only in Singapore.




lunedì 4 febbraio 2013

Buona fortuna...

Manca meno di una settimana al capodanno. Cinese, certo, non mi sono dimenticato questo racconto lì per un mese. Cosa succede nella nazione più popolosa al mondo? La solita frenesia propedeutica al grande, e spesso unico, evento conviviale. Milioni di lavoratori migranti si possono permettere di tornare al villaggio di famiglia solo una volta all’anno, e per meno di due settimane. Gli aerei sono per i ricchi, che peraltro non hanno bisogno di spostarsi da casa. Il 99% dei viaggiatori del festival di primavera sfolla in treno o in autobus. Spesso li usa entrambi, perché nelle zone più remote e montagnose le ferrovie non arrivano, tocca accontentarsi di torpedoni rattoppati e al limite del collasso. Buona fortuna...


Nel weekend appena terminato ci sono stati cinquantotto morti sulle strade della diaspora. Il numero in sé non farebbe notizia: ogni anno in Cina muoiono in incidenti stradali la bellezza di 70.000 persone (sì, avete letto bene. È la popolazione di un medio capoluogo di provincia italiano). A far sensazione è il fatto che questa piccola carneficina sia frutto di soli 5 incidenti. Pullman logori e furgoni stracarichi, magari guidati da incompetenti che si sono comprati la patente al mercatino del documento falso, precipitano giù da dirupi, prendono fuoco o schiacciano le vittime caracollando negli strapiombi. Un bollettino di guerra: 12 morti nel Guizhou, 7 nel Guangxi, 18 nel Gansu, 11 nel Sichuan. Più una pletora di feriti. Senza contare l’assurdo, spettacolare incidente nell’Henan. Sentite qua.


Ma c’era un qualcosa di legale nella sequenza di eventi che ha portato al crollo di un ponte autostradale, con conseguente tuffo nel vuoto – da 30 metri – di varie vetture? La risposta ovviamente è no. Allora, è andata così: un camion carico di fuochi d’artificio è esploso su un viadotto autostradale, ha fatto crollare un pezzo di ponte e una decina di automobilisti si sono spiaccicati nel sottostante baratro. Tanto per cominciare, gli ordigni pirotecnici erano fabbricati illegalmente. L’imballaggio per il trasporto era costituito da semplici sacchi di plastica, fuori da ogni normativa di sicurezza. L’autocarro carico di esplosivi era stato coperto alla meglio con dei teloni, e per concludere in bellezza il produttore aveva scelto un corriere non qualificato a gestire merci pericolose. Manca solo che ci dicano che il camionista si stava fumando una sigaretta col finestrino aperto. Quali erano le chances che tutto filasse liscio e che questa bomba su ruote arrivasse a destino in un pezzo solo? Fate voi. Le ineffabili autorità cinesi minimizzano: hanno avuto il coraggio di chiamare questa catena criminale una serie di errori umani. Qualcuno andrà in galera per questi errori. Ma intanto sono morte dieci persone. T.I.C.






giovedì 4 ottobre 2012

Feticismi – Uno

Quanti di voi conoscono almeno un feticista dell’auto? Uno di quelli che passano le domeniche a lavarla, lucidarla e coccolarla. Che per un graffietto sulla carrozzeria fanno delle tragedie che manco il Re Lear. Che concederebbero il suo volante ad un conoscente più malvolentieri delle grazie della moglie.

Secondo me tra questi invasati del dio motore c’è più d’uno che ha fantasticato di portarsi l’amato bene in salotto. Singapore, terra del lusso e dell’esibizionismo edonista, questo sogno lo ha trasformato in realtà – probabilmente in cambio di un sontuoso gruzzolo di dollari.

Passo accanto all’ennesima torre multipiano, appena sorta – come araba fenice – dalle ceneri di un vecchio e onesto albergo che non rendeva a sufficienza per non soccombere al fato distruttore in guisa di crudeli macchinari dentuti e martellanti. Davanti all’ingresso sbrilluccica una corrusca scultura ipermoderna, una specie di trombone partorito dalla fantasia allucinata di un artigiano in acido. Ma è il montacarichi, innaturalmente a vista, e per di più con opulenti giochi di luci cangianti – dal rosso al giallo al blu – all’interno del vano, a destare i miei sospetti. Dai. Troppo grosso perfino per una lavatrice industriale o un sofà monopezzo ingestibile in una tromba delle scale. E poi, una volta finito il trasloco, a cosa serve una serranda larga come quella di un negozio, anzi di più?

Repentina l’illuminazione. Ora ricordo: ho letto da qualche parte di questa ultima bizzarria. Il garage sotterraneo? Ma che banalità! L’ascensore consente ad ogni proprietario di alloggio di portarsi la vettura (e non ci saranno molte Panda nel casamento) fino al piano. E parcheggiarla nell’apposito locale, adiacente alla zona giorno. Mettici due poltrone e un tavolino lì attorno, ed ecco trasformata la quattroruote in un esclusivissimo – sebbene ingombrante – oggetto di arredamento.

Già mi immagino i nuovi rimbrotti, coniati lì per lì da mogli esasperate dal dernier cri del feticismo maschile. Ti sei pulito le ruote prima di entrare in casa? Guarda lì, io mi spezzo la schiena a lucidare e guarda che cerchi motosi che hai! Insomma, la vogliamo finire con queste macchie d’olio in salotto? Portala una buona volta dal meccanico a cambiare quella guarnizione! Ti ho detto mille volte che non si fuma in macchina, cioè, in casa, vaffanculo, è la stessa cosa ora!!

Signori maschietti, vedete il lato buono della faccenda: se un giorno, stufi delle sgridate delle consorti, finirete per litigare, almeno avrete l’alternativa. O dormite sul divano, oppure approfittate dei confortevoli sedili ribaltabili del vostro personale feticcio al ventiseiesimo piano. Vuoi mettere l’esclusività?



domenica 5 agosto 2012

Artisti di strada (3a parte)

Segue da ieri...


Il virtuoso

Qualcuno deve spiegarmi come ha fatto a partire, una volta caricato il motorino in questa maniera oscena.

Il vizioso

L’ho seguito per un po’. A sufficienza per vederlo estrarre una sigaretta dal pacchetto, mettersela in bocca, accenderla e fumarsela. Il tutto senza fermarsi. E sì, quello che vedete sporgere dalla mano sinistra è il mozzicone quasi finito. Da circo. Chapeau.

L’allegra famigliola


Sicura. Ognuno col proprio casco in testa. Il fatto che poi siano in quattro sulla motoretta è irrilevante. E non scandalizza nessuno.

Senza titolo

E per concludere, esageriamo: in una sola immagine c’è troppo di sbagliato. Dalla postura – detta che-palle-perché-non-sono-figlio-unico – del ragazzetto in pole position sul motore familiare, alla presa tipo wrestling con cui la madre mantiene a bordo la sorella del sullodato. Per non parlare del cap da equitazione calzato sul cappellino a larga tesa della passeggera in giallo. E infine i collant indossati con le infradito, causando il curioso effetto dita-di-cammello. Ma per favore non traducetelo in inglese. Questo non è un sito porno.

Ma il vero capolavoro non sono riuscito a fotografarlo. Una ragazza che, seduta dietro al proprio filarino, faceva da filtro umano. Nel senso che teneva le mani congiunte davanti alla di lui bocca, in un tenerissimo quanto vano tentativo di evitare allo stesso di respirare lo smog emesso dai milioni di altri motorini che affollano Hanoi. Cosa non fa fare l’amore.



sabato 4 agosto 2012

Artisti di strada (2a parte)

Segue da ieri...

L’assicurato

Deve esserlo per forza. Altrimenti non si spiega uno che si azzarda a viaggiare con un pastrano impermeabile monoblocco che si estende da sotto il casco fino alle manopole del mezzo. E nel contempo si aggiusta gli occhiali con una mano, o forse si ripara dallo smog. O entrambi.

Il credente

Non solo perché rappresentante del clero locale. Soprattutto per la fiducia che il proprio curioso cappellino fatto ai ferri sia taumaturgicamente protettore in caso di urti.

L’ottimizzatore

Mi raccomando, non ingrassare, deve aver detto alla passeggera. Se no ci rimettiamo in carico utile. Da notare il sacchetto azzurro: doveva contenere beni importanti per non trasportarlo più comodamente nel portapacchi anteriore. Fidarsi è bene...


Continua domani, con la terza e ultima puntata!

venerdì 3 agosto 2012

Artisti di strada (1a parte)

Ognuno con la sua specialità. Si tratta di funamboli talvolta, ma non intrattengono alcun pubblico. Cercano solo di arrivare a destinazione interi, senza passare prima dall’ospedale. E non si capisce come quasi sempre ci riescano. Eppure.

Lo squatter 


Quando il carico di derrate è più importante del passeggero. E lo stesso deve acquattarsi – senza lamentele – nel vano tra manubrio e conducente. Fortemente consigliato avere un parente dentista – in caso di frenate brusche gli incisivi sono decisamente a rischio.

L’Help Desk 

Con quello che caricano sui motorini, chi mai si stupirà per una CPU di computer? L’importante è avere un buon bilanciamento. Né la merce né la passeggera sono vincolati al pilota. Anche perché ci vorrebbero braccia da orango per agganciare il guidatore, con in mezzo quello scatolone spigoloso. Meglio usarlo come bracciolo.

La fashionista 

Tacchi a spillo? Non sia mai detto che siano un impedimento a guidare le due ruote.


Continua domani, con la seconda parte.