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domenica 30 novembre 2014

A volte ritornano (2)

Dopo una lunga assenza, di quasi due mesi, Homing Pigeon ritorna. Con alcune immagini, visive o solo descrittive, di quel calderone di umanità varia che è Manila.

Raccolta differenziata. Ecco come si applica il concetto, su un camion della spazzatura a zonzo per Manila. Un uomo sta confortevolmente seduto sul tetto e spulcia con cura i materiali, separando la carta dal resto e mettendo ogni foglio che trova in un grosso sacco bianco. Quale ammenda dovrebbero dare al guidatore del mezzo, considerando che...

Ogni uomo ha il suo prezzo, diceva una volta un taxista bahiano. Sono seduto accanto al guidatore di un furgoncino che arranca nel quasi immobile traffico di Manila, e compio un'inusuale imprudenza. Non mi allaccio la cintura di sicurezza. Grave, direbbero i filippini nella loro lingua infarcita di spagnolismi. Un giovane pingue poliziotto si pianta davanti al furgone e mi fissa con interessata attenzione. Cala il finestrino del povero autista, che consegna con fare rassegnato la patente. Il poliziotto recita a mio beneficio ma in uno stentato inglese una litania di articoli di codice, che prevedono la responsabilità del guidatore se i passeggeri non vestono le cinture. Poi non succede altro, sembra una partita di scacchi. Siamo allo stallo. Finalmente, dopo varie chiacchiere in tagalog, il guidatore scende con in mano un paio di fogli da cento. Risale, visibilmente sollevato, patente alla mano. Aveva ragione il mio amico bahiano. E qui il prezzo per poter ripartire senza ulteriori noie è davvero modesto. Meno di quattro euro. Di noi con quei soldi non corrompi nemmeno un cameriere per farti portare una porzione più generosa di antipasto.

A proposito di poliziotti. Parliamo di quello malmenato dal guidatore di una Maserati Ghibli blu senza targa, fotografato dalla guardia alle sei di mattina mentre faceva una svolta a sinistra non permessa. Il tipo se n'è accorto, ha fatto inversione, ha chiamato l’agente e quando gli è stato a tiro da dentro l'auto ha cominciato a tempestarlo di pugni ed è pure ripartito, trascinando il malcapitato per una decina di metri. Permaloso e nemmeno tanto furbo. Quante Ghibli blu ci sono nelle Filippine? Due. L'altro proprietario è già stato sentito dalla polizia, risultando estraneo (magari grazie anche al decisivo indizio di avere perfino una targa sull'auto). La polizia, dichiarano i giornali, è sulle tracce del colpevole. Dei veri Sherlock Holmes!

Clichès, ovvero nomi assurdi dei ristoranti etnici. Qualcuno mi spiega perchè i ristoranti italiani (si suppone siano tali, visto che vendono pasta e pizza) invece di chiamarsi da Gennaro o Peppino di Mergellina debbano esibire degli improbabili Marciano’s o Balboa (solo degli americani possono credere che Rocky, con un cognome così, sia di origini italiane)? E per quelli giapponesi si tirino in ballo i panzoni del sumo, i mostri robotizzati dei manga e perfino la buonanima di John Lennon e della vedova Yoko?

UCPB. Le noci di cocco devono essere un affare serio nelle Filippine, se hanno intitolato una banca ai piantatori delle relative palme. La United Coconut Planters Bank è addirittura uno degli istituti di credito più importanti e vanta alcuni primati, tra cui l’essere stata la prima banca ad avere introdotto i bancomat nell’arcipelago. Mai trascurare la forza dei prodotti più semplici, anche quelli della terra.

In pieno giorno un bambino, con addosso solo dei pantaloncini verdi, dorme sdraiato per terra, su un ruvido impiantito di cemento, vicino alla bocca di sfiato dell'aria condizionata di una stazione. I capelli si agitano per quell'innaturale, forse malsano vento che fuoriesce dalle griglie. Le piante dei piedi sono nere al di là di ogni speranza di ritornare pulite. Il fisico è esile ma non denutrito. Ho riscoperto il piacere della fotografia, ma ci sono immagini che tuttora non riesco a scattare. Questa, paradigma di degrado e povertà, proprio non ce l'ho fatta. Non ho un’istantanea, ma il ricordo è indelebile comunque perché non riuscivo a distogliere gli occhi dall’ennesima scena di un’infanzia rubata.




domenica 8 giugno 2014

Paradossi


Riyadh, Arabia Saudita. Non credo ci sia un posto al mondo dove il carburante costa così poco. Credevo che "l'acqua costa più della benzina" fosse un paradosso o una battuta. Finchè non mi sono fermato a un distributore.

Quarantacinque centesimi di Riyal al litro. Al cambio, sono circa nove centesimi nostri. Il pieno a una macchina di media cilindrata si fa con 5 euro. In compenso l'acqua viene dalla desalinizzazione dell'acqua di mare, ed è la vera risorsa che il reame islamico non si può permettere di sprecare. Chi ti offre una bottiglia d'acqua fa un gesto la cui valenza non va trascurata.

Allora per un attimo ho pensato alle nostre fontanelle dalla testa di toro che buttano in continuazione acqua potabile e ho provato vari sentimenti contrastanti. Vedi come siamo fortunati: perché la vera ricchezza è l'acqua. Senza petrolio si vivrebbe certamente un po' peggio - si tornerebbe all'esistenza frugale dei bisnonni. Ma senza acqua si muore. Vedi quanto siamo spreconi: un bene così prezioso noi spensierate cicale lo facciamo scorrere inutilmente, a metri cubi, verso le fogne, senza che nessuno ne benefici, se non qualche sporadico cane o piccione all'abbeverata. Sarebbe come se gli sceicchi facessero sgorgare il petrolio da sottoterra e poi gli dessero fuoco, tanto chi se frega, sai quanto ne abbiamo ancora là sotto...

I catastrofisti dicono che se le ultime guerre del secolo scorso sono state combattute per il petrolio, la prima del nuovo secolo sarà combattuta per l'acqua. Cominciamo intanto a preoccuparci di non sprecarla. Almeno toglieremo ai guerrafondai una buona scusa per scatenare questo conflitto prossimo venturo.




giovedì 17 ottobre 2013

Beni primari

Domenica pomeriggio, stazione di servizio su un’autostrada vicino a Seoul. In un angolo vedo un’apparecchiatura in parte insolita. Perché quattro rubinetti sporgenti da una specie di frigo blu non sorprendono affatto. Ma la vetrinetta accanto mi incuriosisce troppo. Piena di file ordinate di bicchieri d’acciaio, con un cestino sotto. L’amico locale che ormai conosco da quasi vent’anni mi spiega. Anzi ride, ripensando a vecchie e buffe vicende avvenute in Italia. Ricorda dei suoi clienti lamentarsi perché avevano bevuto una bottiglia d’acqua in albergo e questi strambi italiani insistevano per farsela pagare.

Qui in Corea l’acqua è gratis, chiosa. Vedi? Prendi un bicchiere, bevi per quanto hai sete e poi lo butti nel cestino. Tutto offerto. Acqua filtrata, sana, garantita. Perfino buona.

Vagli a spiegare che da noi, se mai succedesse, la gente per prima cosa si fregherebbe i bei bicchierini d’acciaio. Poi si riempirebbe bottiglie e bottiglie, infischiandosene di quelli in coda per vera sete. Ammesso che l’apparecchiatura durasse in funzione e non venisse vandalizzata dai soliti idioti che pensano sia divertente spaccare tutto.

Generosità è offrire un bicchiere d’acqua gratuito a chi ha sete. Civiltà è farlo con eleganza.




lunedì 28 maggio 2012

S.O.S.

Metti che, una decina di anni fa, tu sia in vacanza in un paese centroamericano. Su una barca. Che tu abbia a cuore la sorte di certe specie di animali, minacciate di estinzione dall’uomo scriteriato. Che tu assista alla crudele – e, per inciso, illecita – fine fatta da degli squali, mutilati da vivi delle pinne e poi ributtati in mare, condannati a una morte lenta e atroce per asfissia, perché senza pinne non son capaci di nuotare, e se non nuotano l’acqua non filtra nelle branchie irrorandole di ossigeno.

Metti che tu provi a opporti a questa barbarie. E che i vili delinquenti, feccia umana al servizio delle mafie, cerchino di speronarti. Per poi andare a dire che invece eri tu a tentare di affondarli, mentre esercitavano il loro diritto a torturare dei pesci con la sola colpa di aver delle pinne appetite dai cinesi.

Metti che questi sadici, invece di limitarsi a menzionare l’increscioso episodio in qualche localaccio da angiporto frequentato da baldracche in disarmo, lo vadano a raccontare alla polizia. E che parta una denuncia internazionale nei tuoi confronti. Con tanto di richiesta di estradizione, per comparire davanti ad un tribunale del Costa Rica, dove verrai processato e rischi di finire in galera, magari per un bel pezzo.

Metti infine che, dopo essere stata dormiente per un decennio, qualcuno decida di rispolverare quella citazione in giudizio, perché nel frattempo forse hai dato fastidio agli interessi di qualche lobby di ipocriti assassini, riducendo sensibilmente il loro sporco giro d’affari.

Credo non piacerebbe a nessuno trovarsi in un ginepraio del genere. Ma proprio questo sta accadendo in questi giorni – salvo il fatto che non fosse in Centroamerica per una vacanza – a Paul Watson. Arrestato a Francoforte l’altra domenica, con sulla testa una richiesta di estradizione verso il Costa Rica, accusato – ribaltando la realtà dei fatti – di tentato omicidio, ha trascorso qualche giorno in cella, per poi essere rilasciato su cauzione, ma con obbligo di non lasciare la Germania fino alla decisione del giudice se estradarlo o meno.

Quando viaggio, non sempre riesco a tenermi aggiornato sui fatti del mondo. Solo l’altro giorno, di ritorno a casa, ho scoperto che il capitano coraggioso stava passando dei seri guai. E mi è presa un’irrazionale rabbia, perché forse, pur nel mio piccolo, avrei potuto contribuire a fare informazione, affinchè chi ha a cuore le sorti della natura scrivesse alle autorità tedesche, per caldeggiare sia la liberazione di Paul Watson sia la ricusazione della richiesta di estradizione.

Per fortuna moltissimi sapevano, e hanno risposto agli inviti di Sea Shepherd. Migliaia di email hanno testimoniato quanto sia importante che il capitano possa continuare la sua crociata ecologista, contro chi fa strage di balene, delfini, pescicani ed altri grandi abitatori dei mari. In Germania, ma anche in Italia, sono stati esposti striscioni di supporto: S.O.S. Save our skipper.

Salviamo il nostro capitano. Perché colpire Paul Watson significa lasciare al loro destino di morte e di sofferenza centinaia di balene, migliaia di delfini, milioni di squali.

Chi pensa che lo squalo sia l’animale più pericoloso del mare si sbaglia di grosso. Per qualche decina di umani attaccati dai Big White sulle coste australiane o della California, ogni anno – provate a dire un numero... - settanta milioni di squali vengono uccisi, e spesso amputati da vivi, per le loro pregiate pinne. Ora chi è il vero terrore del mare: il pescecane o l’uomo?

S.O.S. Lo chiede la natura. Perché gli squali appartengono agli oceani, e non alle zuppe di qualche cinese arricchito in vena di esotiche estrosità culinarie.



domenica 5 giugno 2011

Neologismi 2

Un caro amico pesarese mi scrive, invitandomi a visitare i suoi album fotografici virtuali. E faccio bene a farlo. Sotto uno stuzzicante titolo “Ceriscioli lavora” trovo una bella serie di immagini delle piste ciclabili della città marchigiana. Ma ce n’è una che adoro immediatamente, per la genialità espressa in ogni dettaglio.

Basta l’apax legomenon in alto ad avvincermi: bicipolitana. Ma estrosa anche la grafica del percorso, con distanze, incroci con le altre linee (ossia le piste), perfino le future, ora in progetto. Quel cartello è frutto di creativi che si meritano tale titolo. Bravo Ceriscioli. Ecco della gente che spende bene i soldi pubblici a loro disposizione. Ce ne fossero, in Italia. Per fortuna io non mi posso lamentare. Anche a Cuneo c’è attenzione verso questo tema. Ne avevo scritto più di tre anni fa, e lo ripropongo volentieri, per celebrare un altro amministratore encomiabile.

Dalla parte della coerenza

A nessuno piace pagare le tasse. Voglio fare l’anticonformista. A me piace pagare le tasse. Al mio comune. Cuneo.

Una volta tanto parliamo bene dell’Italia, quando merita. Cuneo è un posto dove con un deposito cauzionale di ben dieci euro (restituibili alla rescissione del contratto) si può avere una tessera magnetica che ti permette di usare una delle tante biciclette in pool, disseminate in varie parti della città, in qualsiasi momento, se ti viene voglia di una pedalata o per fare commissioni evitando di inquinare con la solita macchina che c’è sempre chi la prende anche per fare duecento metri. Stacchi la bici dal colonnino, fai il tuo giretto e la posi, anche in un parcheggio differente, quando hai finito. Gratis. Ti danno perfino, a corredo del contratto, un cavo d’acciaio lucchettato, per legare la bici in caso di compere. Si chiama Bicincittà, ed ovviamente aderisco a tale salutare progetto.

Oggi, passeggiando per gli stand contigui al traguardo della Stracôni, maratona competitiva e non a cadenza annuale, scopro che c’è una nuova iniziativa, il progetto Giù le mani!. Pagando una modestissima mercede, ottieni un adesivo da applicare alla tua personale bicicletta, che viene nel contempo registrata in un’anagrafe generale dei cicli. In caso di furto, chi la ritrovasse può chiamare un numero verde riportato sull’etichetta, avere una ricompensa garantita di almeno 20 euro (o di più, a discrezione del proprietario), vedere il proprio anonimato garantito e fare un gesto di civiltà e di buona convivenza. È bello credere che ci sia ancora gente così in giro.

Tutti questi sono bei gesti, indici di una sensibilità nei confronti della comunità da parte dei nostri amministratori locali. Ma sapete perché mi spingo a fare dichiarazioni bizzarre come il provar piacere nel pagare le gabelle comunali?

Per un esempio. Più di una volta mi è capitato di vedere transitare sotto casa, all’ora dell’uscita dal palazzo comunale, il sindaco Valmaggia in giacca e cravatta – tenuta confacente alle riunioni del consiglio – in sella alla sua bicicletta, diretto a casa sua. La prima volta, sorpreso da tale inaspettata apparizione, l’ho fissato, e c’è stato perfino un fugace saluto reciproco. Mi piacciono queste cose. Mi fanno sentire che ci sono ancora dei responsabili della cosa pubblica che si spingono oltre il concretizzare delle buone idee. Danno addirittura l’esempio, mettendo in pratica in prima persona quello che la cittadinanza è invitata a fare.

Non conosco di persona il nostro sindaco, se non per quel rapido buongiorno scambiato mentre pedalava verso casa. Riporto questo fatto per il puro piacere di testimoniare che ogni tanto, perfino in Italia, ci sono dei piccoli avvenimenti dei quali essere orgogliosi.

Sono schierato? Sì. Dalla parte della coerenza.

Prima pubblicazione : 10 novembre 2007