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giovedì 19 marzo 2015

Acrobati per caso


Per fortuna ci sono gli amici. Che talvolta, proprio nei momenti più bui di totale mancanza di ispirazione - magari senza saperlo - ti vengono in aiuto, offrendoti degli spunti impagabili.

Come questa immagine mandatami da Claudio, amico ormai di vecchia data, che le vicende della vita hanno portato in Cina. Un grazie per il sorriso che mi hai saputo regalare.

Ho sempre sostenuto che in Cina uno con l’occhio attento non si può annoiare. E questa istantanea, rubata al volo di sera in una strada di Guangzhou, ne è la riprova.

Come diceva un europeo di cui ho raccontato anni fa: T.I.C.


Passano le stagioni ma l’acronimo è sempre validissimo.





venerdì 3 ottobre 2014

La fortuna è cieca...


Ma la sfiga ci vede benissimo.

Sei una delle tante giovani cicliste partecipanti ai Giochi Asiatici in corso in Corea. Ti sei allenata strenuamente, per affrontare i 126 chilometri della gara su strada, sognando l'oro. Sei arrivata al grande giorno. Hai l'appoggio della tua squadra nazionale, che ti aiuterà nei momenti di crisi.

Parti. Attacchi. Combatti. Arrivi a condurre. Dopo quasi quattro massacranti ore sei in testa e vedi in lontananza il traguardo e la realizzazione del tuo sogno. Manca un chilometro. Cinquecento metri. Duecento metri. Non ti prendono più. Senti già odore di vittoria, di podio, di festeggiamenti.

Ma a cento metri dal traguardo la sorte decide di colpire duro. Una foratura alla gomma posteriore. A quelle velocità da sprint è come correre nel catrame invece che sull'asfalto. Le inseguitrici ti sono addosso. Una, due, tre concorrenti ti sfilano inesorabili. Mors tua vita mea.

Cento maledetti metri e passi dall'oro al collo ad essere appena fuori dal podio. Quel quarto posto che nessun atleta vorrebbe mai.

Nemmeno un misero bronzo hai racimolato dopo tutta questa fatica inutile. Ma la medaglia per la ragazza più sfortunata dei giochi non te la leva nessuno. E con essa la nostra immensa simpatia verso di te, tenera Diao Xiaojuan, atleta di Hong Kong, per un giorno regina dei Paperino ambosessi di tutto il mondo.








lunedì 19 maggio 2014

Ritorno al passato


Come descrivere l'esperienza di un viaggio in autostrada in India? Benvenuti in Cina, vent'anni fa. Gli stessi antichi camion, stracarichi e affannati, ma lignei e sgargianti di colori come carretti siciliani. La stessa totale, anarchica, quasi gioiosa mancanza di regole. Lo stesso strombazzare a distesa, urgente e ammonitore, ad avvisare il mondo in movimento del proprio arrivo. Le stesse derelitte auto fumose di vapore dal cofano sbadigliante, arresesi sui tornanti come ciclisti scoppiati. Gli stessi pazienti ingorghi da incidente. Gli stessi panorami polverosi e ancora selvatici. Gli stessi pullman a lunga percorrenza, con le cuccette dove la gente dorme sdraiata sui dei tavolacci di legno, per aria condizionata i finestrini scorrevoli aperti. Gli stessi occasionali motocicli contromano a cui nessuno pare far caso, men che meno meravigliarsene.

Tutto come allora nel Regno di Mezzo. Dicono che l'India diventerà la prossima Cina? Fatte le proporzioni con il traffico, ci vorranno almeno vent'anni. E non è detto che basti.





domenica 9 febbraio 2014

Scatti cinesi: T.I.C.

Segue da ieri.


Siamo arrivati alla fine della nostra settimana fotografica a zonzo per la Cina. Terminiamo degnamente con l’acronimo omnicomprensivo, che da solo spiega il continente rosso nella sua complessa semplicità: This Is China.


Sole rosso. Non è un tramonto con la foschia che vela il pallido astro calante. È un’alba inquinata a Wuhan, città costruita attorno al grande Fiume Azzurro, il Changjiang, che noi conosciamo come Yangtze, uno dei due grandi corsi d'acqua cinesi. Scorre ampio e maestoso, la riva opposta è a fatica visibile, le sagome dei grattacieli della capitale dello Hubei si intuiscono appena, come nebbiosi fantasmi amletici. Se vi venisse la fantasia di farvi una passeggiata mattutina, portatevi la mascherina da verniciatore per il naso. T.I.C.


Vi comprate un alloggio al secondo piano di un palazzo di Shanghai. Siete tutti contenti della vista sulla città, finché un bel giorno arrivano ruspe e operai e cominciano a costruire una strada sopraelevata. Quando è finita, questo è il risultato. Vantaggio? Se avete un collega d’ufficio che passa a prendervi in macchina, potete uscire di casa direttamente dalla finestra del salotto. T.I.C.


Cosa non si può pensare di trasportare in Cina con una bicicletta ed un carretto? Un travone triangolare tipo da tetto, che a occhio e croce sarà lungo almeno 10 metri e pesante qualche quintale? No, dai, quello ce la facciamo ancora a caricarlo. Notate la perla di dettaglio: siccome impicciava, la bici l’hanno legata sulla punta della trave, così rimane a vista e nessuno tenta di fregarsela. Il baricentro del trasporto eccezionale è ingegneristicamente imperniato sul carrettino, e il tutto è trainato, un duro passo dopo l’altro, da un singolo ricurvo ometto in maglietta e infradito. Siamo a Xiamen, nel Fujian, ma potrebbe essere ovunque. T.I.C.


Abbiamo iniziato e concludiamo questo breve tour fotografico a Pechino. Un drappello sfila con passo cadenzato e marziale davanti al ritratto di Mao e l’ingresso della Città Proibita. Giusto per ricordare che non si scherza con i simboli. Dopo il tramonto l’enorme piazza di Tian An Men, capace di accogliere un milione di persone, viene chiusa dalle transenne e non si circola più. E a nessuno passa per la testa di trasgredire. T.I.C.



sabato 8 febbraio 2014

Scatti cinesi: people have the power (forse)

Segue da ieri.


I giochi del popolo. Gli adulti amano radunarsi, a tarda sera, davanti a un tavolo da mahjong, bevendo, fumando e scommettendo soldi. I ragazzini giocano in strada, a pallone oppure con i divertimenti d’importazione, anche se sono tutti prodotti proprio qui. Come questo marmocchio che sta calzando un paio di pattini in linea. Tutto il mondo è paese. Impossibile aspettare di trovare una superficie adatta per provare il nuovo gioco. Non farà granchè strada con quell’impiantito sgangherato. Ma vuoi mettere l’invidia degli amici?


I trasporti del popolo. La sensazione, a giudicare da questa pragmatica mamma di Shanghai, è che la Chicco non faccia grossi affari in Cina. Quel che si adopera per la spesa, va bene anche per scarrozzare in giro l’infante. E senza tanti frigni!


La musica del popolo. Ai cinesi per suonare, cantare e ballare non occorre un locale. Basta il sottopasso di una strada sopraelevata. E chi se ne frega se è poco romantico. È al riparo. È gratis. E tanto basta.


L’Opera del popolo. I teatri dalle confortevoli poltroncine imbottite vanno bene per quei fighetti di pechinesi, che oltretutto hanno pure la pretesa di portarci i laowai, quando notoriamente questi né capiscono né apprezzano l’arte dell’opera tradizionale cinese. Mentre invece nel nord ovest della Cina il teatro si mette in scena in piazza, ci si cambia in qualche sgabuzzino dei casermoni fatti di alloggi proletari, si recita tra la gente che si affolla attorno ad un palco improvvisato. Qui sì che c’è ancora l’anima dell’arte più pura.




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venerdì 7 febbraio 2014

Scatti cinesi: animali

Segue da ieri.


Due monumenti, due significati. Il cavallo umile strumento di lavoro e di fatica quotidiana, e quello fiero e impavido di un condottiero. Come tra gli uomini, ci sono animali guerrieri e altri operai. Certi percorrevano per tutta la vita la via del tè, versione minore della più nota via della seta, recando nelle gerle preziosi carichi di foglie essiccate e pressate per risparmiare spazio e al contempo prevenirne l’ammuffimento. Altri, protetti talvolta da rudimentali armature, guidavano i guerrieri in battaglie di conquista o di difesa. Entrambi indispensabili all’uomo per portare a termine le proprie imprese.


A proposito di operai. La seta cinese è famosa, una volta chi cercava di rubare i segreti della lavorazione dei bozzoli rischiava la morte. Oggi, seppur con tutti i macchinari inventati dall'uomo, la cernita dei bozzoli è ancora un'operazione manuale, come in questa fabbrica di Suzhou. Da ogni bozzolo si arriva ad estrarre un singolo ininterrotto filo lungo fino a un chilometro. Sembra che ti spieghino tutto, nel giro di visita. Ma non è vero. Come i maestri di arti marziali: ti insegnano mille mosse, ma mai l’ultima. I segreti sono segreti.


Povera bestia, spaurita dai rumori e dagli odori della città. Un falco, incappucciato per impedirne la fuga. Appollaiato su un misero e sudicio trespolo, su una strada di transito di Shanghai, in balia di passanti curiosi, di motorette puzzolenti di passaggio, di autobus turbolenti che gli agitano il piumaggio. Com’è lontano il cielo terso. Com’è lontana la libertà.


Non poteva mancare in questa rassegna l’animale simbolo della Cina. Forse non tutti sanno che oltre al Panda Maggiore, abitante dello stemma del WWF e delle foreste del Sichuan, c’è anche il Panda Minore. Simpatico orsacchiotto mezzo fulvo e mezzo nero, di taglia come un grosso gatto, dagli occhi furbi e malandrini. Vive in branchi, al contrario del cugino juventino che predilige la solitudine. Non fatevi ingannare né dall’esigua figura né dai curiosi colori da peluche del manto. Un cartello nella riserva vicino a Chengdu avverte di resistere alla tentazione di carezzarli, perché sono mordaci. E quando i cinesi si prendono la briga di avvisare, farete bene a crederci. Se ci tenete alle dita.



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giovedì 6 febbraio 2014

Scatti cinesi: moda e mode

Segue da ieri.


I cinesi somigliano un po’ agli italiani: inguaribili esterofili. E tutto sommato, a ragion veduta. Il rapido arricchimento di una minoranza rumorosa della società genera l’esigenza imprescindibile di esibire il più pacchianamente possibile la propria agiatezza. È un fenomeno comune nei noveaux riches, e non solo in Cina. Unite a questo il fatto che i cinesi tengano in pessima considerazione la qualità dell’industria manifatturiera locale. Tutto ciò che ha un marchio tedesco (meccanica, automobili), francese (moda, bevande alcoliche), italiano (arredocasa, di nuovo moda e vetture di lusso) o svizzero (orologi, che altro?) diventa ambito status symbol di cui vantare e ostentare insistentemente il possesso.


Lo show-room della Ferrari nel pieno centro di Shanghai. Ai giovani rampanti piace il rosso del cavallino di Baracca. Tanto più ambito in quanto raro, difficile da ottenere, estremamente costoso e di immediata riconoscibilità. Per la generazione dei padri in cerca dell’eccellenza automobilistica la scelta cade sull’ovattata e confortevole limousine inglese (si fa per dire, è tutto in mano ai tedeschi). La Rolls-Royce? No, curiosamente è la storica rivale Bentley a farla da padrone in Cina nella fascia dei ricchi cinquantenni.


Un paio di striscioni alti quattro piani di un grande magazzino. Perché non si equivochi, perfino le modelle ritratte sono occidentali. Mai qualche potenziale cliente lo pensasse l’ennesimo scimmiottamento locale di marchi europei. Cosa distingue un negozio di abbigliamento cinese da una boutique d’importazione? La densità per metro quadro di capi esposti. Solo i santoni della moda hanno il vezzo di tenere due oggetti due – ma carissimi – in vetrina, e sporadici, selezionati articoli languidamente sparpagliati per il negozio. Le botteghe cinesi sono invece un affollato marasma di capi di vestiario, la cui soffocante coesione supera quella degli abitanti di Tokyo la mattina in metropolitana.


Rispolveriamo un po’ di orgoglio italiano (almeno come nome, la proprietà della marca è ormai migrata in Svizzera). Comunque, dopo anni passati a trovare la trimurti delle minerali francesi (Perrier, Evian, Vittel) nei frigobar e sugli scaffali dei supermercati in Asia, ecco finalmente la rivincita delle sorgenti nostrane: San Pellegrino e Panna, per veri sommelier dell’acqua, qui servite all’aeroporto di Shanghai.


Gli orari dei negozi cinesi già sono normalmente più estesi rispetto agli europei. Ma metti che a uno a mezzanotte prenda un’improvvisa voglia di aggiornarsi sulle tendenze della moda mondiale o sui prezzi delle vetture più in voga. Niente paura. Ci pensa il distributore automatico di riviste trendy a mantenervi sempre preparati. Ventiquattro su ventiquattro. Cari cinesi, non avete più scuse ora.




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mercoledì 5 febbraio 2014

Scatti cinesi: mangiare e bere

Segue da ieri.


Foglie di Long Jing, uno dei migliori tè verdi cinesi. Talmente buono e fresco, a chilometri zero, che i piccoli produttori sulle colline attorno ad Hangzhou ti invitano a casa loro e te lo servono in un bicchiere di vetro, senza tante artificiose cerimonie. Pura sostanza, profumo e gusto incorrotti. L'essenza più squisita del tè. E il piacere della condivisione, con un grande sorriso, anche quello sincero, non bieco e mercantile.


Mangereste in un locale di cui questa sia la cucina? Io l’ho fatto: dopo averla vista e fotografata. Vi garantisco che carne, verdure e zuppa erano oneste e saporite. E siccome son qui a raccontarlo, vuol dire che non erano nemmeno tossiche.


I contadini del Sichuan portano ancora le verdure nei cesti, sperando di venderne ai turisti. E non parlo di stranieri: grazie ad una certa liberalizzazione dei viaggi interni i cinesi stessi sono i visitatori più numerosi di varie provincie. Un po’ come da noi, quando le macchinate di cittadini si fermano a comprare dai banchetti fuori dalle cascine in aperta campagna. Sacchetti a portata di mano e stadera. Ecco tutto quello che occorre per una minima bottega volante.


Facciamo la classifica dei cibi da sudori freddi. O almeno di quelli che ho assaggiato. Ultimo posto: scarafaggi. Insapori. Inodori. Anche brutti, esteticamente. Da evitare. Terzo posto: crisalidi di bachi da seta (prima foto, nella cassetta blu). Grosse e carnose. A momenti un amico canadese mi vomita addosso, dopo aver tentato di masticarne una. Decenti ma un po’ impressionanti da mordere. Non per tutti. Secondo posto: scorpioni (seconda foto, vassoio centrale e due di quelli in basso). Fragili e friabili, da mangiare evitando il pungiglione di coda (in cauda venenum). Vedere degli intrepidi stranieri mangiarne uno produce nei cinesi un’irrefrenabile ilarità mista a un’inusuale simpatia e confidenza. Podio e medaglia d’oro: Bruchi fritti (terza foto, nel cestino di pasta). Deliziosi. Dolci, saporiti, croccanti. A chi fosse disgustato dall’aspetto consiglio di chiuder gli occhi e provare lo stesso. Almeno uno. Io li adoro.



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martedì 4 febbraio 2014

Scatti cinesi: la tradizione

Segue da ieri.


Cartoline. Il grande lago occidentale di Hangzhou ispira tranquillità. Sporadiche e vetuste barche a remi lo percorrono, contribuendo all'atmosfera d'antan. Peccato per quella fila di macchine parcheggiate sul lungolago. Ma provate voi a convincere un cinese che ha finalmente conquistato il mezzo a quattro ruote a lasciarlo a casa la domenica.


Una processione di monaci buddisti scende la scalinata del Jing'an Si, il tempio più visitato di Shanghai, salmodiando e percuotendo piccoli strumenti musicali. Sereni scenari di un passato soffocato dai grattacieli incombenti ovunque.


Vecchie case tufacee, coi tetti di tegole nere. Stradine di terra battuta, strette, tortuose, a proteggere il villaggio da improbabili invasioni. Una Cina rurale, sopravvissuta alle ruspe della modernizzazione, nella provincia dell'eterna primavera: lo Yunnan.


La Cina moderna e affarista incrocia le armi con la tradizione, e purtroppo la piega alle esigenze del profitto. Così capita di vedere questa bellissima statua del Budda reclinato circondata dalla solita, immancabile mercanzia per turisti di corsa. Sì, proprio nel tempio. Cacciare i mercanti? Robe fuori moda, che si facevano duemila anni fa. E poi vedi che fine ha fatto quel tizio che li aveva cacciati?



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lunedì 3 febbraio 2014

Scatti cinesi: la tecnologia


È appena iniziato l’anno del Cavallo, secondo il calendario lunare tradizionale cinese. Per celebrare una ricorrenza che in giro per il mondo interessa più o meno un terzo della popolazione planetaria, Homing Pigeon offre ai suoi lettori una piccola raccolta a puntate tematiche di foto inedite del Regno di Mezzo.

La tecnologia

Pechino è Pechino. Deve ricordare al celeste impero che è sempre lei la capitale, anche se Shanghai le contende il titolo dell’imponenza. Ecco la sede della CCTV, la televisione di stato, assurda scommessa architettonica finita giusto in tempo per le Olimpiadi del 2008. Accanto, seminascosto, lo scheletro di un edificio bruciato mentre era ancora in costruzione. Criminali negligenze, che son costate la vita di poveri pompieri sacrificati per tentare di difendere la crescente opulenza esibizionistica della capitale.


L'invasione degli alieni? No. Solo degli addetti aeroportuali che salgono a bordo all'arrivo in Cina, per misurare la temperatura dei passeggeri e bloccare eventuali portatori di morbi, prima che possano metter piede nella nazione.


Non ci abitueremo mai all'idea che il bambù sia preferito all'acciaio per i ponteggi da costruzione o restauro delle case. Lo legano con delle corde. Al posto delle tavole di legno dei graticci. E tutto resta su. Compresi gli operai edili che ci lavorano, a cinque o cinquanta metri da terra.


Quando i nostri antenati misuravano il tempo in stagioni, i cinesi già contavano le ore. Non stupitevi dunque di trovare meridiane così ricche di dettagli come questa, fotografata nel campus di una delle università di Shanghai.



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venerdì 31 gennaio 2014

Buono, ma basta (regressione infantile)


Un’esperienza diversa. Ancora una volta. Ero pronto a tutto – credevo – in fatto di cibo. Un motto. Posso mangiare tutto quello che si muove. Ammesso che sappia di cosa si tratta, prima. Per un attimo ha vacillato dalle fondamenta, questo mio principio, questo dogma, questo postulato.

Cina. Jiangmen, provincia del Guangdong. Cena con clienti. Che chiedono premurosi, frutti di mare? Dopo un orrido hamburger a mezzogiorno, trangugiato in macchina, senza manco fermarsi, che se no si perde tempo, non posso che dire di sì.

Ristorante. Sala riservata, con maledetta aria condizionata anche se fuori, di sera, ci sono dodici gradi, e magari il riscaldamento non ci starebbe neanche male. Televisione. Maledetta anche quella, quando non trasmette le lagne del karaoke fa danni anche peggiori. Tutti seduti, sei persone, cerimonia del tè. Al crisantemo. Meraviglioso. Si comincia bene. E poi. Andiamo a scegliere il pesce, propone l’anfitrione. Andiamo. Ci alziamo, visita alla zona vasche con animali vivi. Gamberetti? Bene. Il granchio? Ottimo. Un paio di pesci? Magnifico. Saltiamo le stie con i serpenti, e dopo me ne rammaricherò. Arriviamo al dunque: vuoi provarli? Per la prima volta, in vita mia, ho avuto un’esitazione. Non di ordine morale. Di ordine, come dire?, viscerale.

Scarafaggi. Che sguazzano, vivacissimi, in una bacinella. Nemmeno il tempo di dire che forse, che in fondo, che insomma.., ed eccone un bel retino da farfalle pieno, pronto alla pesa. Ma come si cuociono, provo a traccheggiare. Fritti! E beh, è naturale, come chiedere da noi, ma questa braciolina come la prepari?

Ho il tempo di tornare a tavola, e cercare di prepararmi mentalmente all’operazione. Rifiutare? Non sia mai detto. Ne va della mia stessa parola. Sostenuta a testa alta in mille conversazioni con asiatici increduli. Che dopo, regolarmente, si ricredevano. Accampare banali scuse, tipo un’improvvisa allergia nei confronti degli coleotteri? No, ormai sono in ballo. E devo ballare. Intanto provo ad impormi un training autogeno, in fondo cosa li differenzia da tanti altri animali che letteralmente squarti, apri e divori, vedi gamberi, granchi, lumache, rane… Tento anche con l’autoconvincimento salutista, toh, mi ricordo ora di avere letto da qualche parte di uno che ne andava matto, e che, in sovrappiù, sosteneva che fanno benissimo, che sono pieni di vitamine, insomma un toccasana per la salute...

Arrivano. E sono dannatamente loro. Riconoscibilissimi. Interi. Sembrano quelli della pubblicità del Baygon. Li ammazza stecchiti. Neri, grossi, lucidi come nelle collezioni dei musei. Ammucchiati in un piatto decorato da ruote di cetrioli. Deposti su una carta graziosamente orlata che assorbe l’olio della frittura. Con le zampine rattrappite, come gli insetti che trovi morti nelle docce degli alberghi infimi, che ti riprometti, mai più qui.

E allora? Aspettiamo. Qualcuno darà il via alle danze. Infatti. Ora ti spiego, mima uno. Lo afferra per le zampe, gli stacca con cura le due elitre, poi le ali. Via la testa. In un morso tutto il corpo, corazza addominale compresa, sparisce in un rapido scrocchiare di denti. Come addentare un grissino. Forse. Ma solo per il rumore.

Proviamo. Coraggio. Non è mai morto nessuno – almeno spero – per avere mangiato un insetto. Milioni di uccelli se ne cibano. E crudi. Vivi. Vedi che culo che ho, a mangiarli morti e perfino fritti! Lo agguanto per le zampine, e subito mi se ne tronca una in mano, lasciando cadere il corpo mutilato nel piatto. Sono pure fragili, questi lazzaroni! Stacco un’elitra, poi l’altra. Poi le ali. Come le mosche nei giochi crudeli dei bambini.

Sollevo gli occhi, i miei, dalla preda. Cinque paia di occhi mi osservano con aria interrogativa. Ce la farà? Mi cade lo sguardo sul televisore, una orrendissima storia di spadaccini cinesi scorre sullo schermo. Assurda al punto da apparire ridicola, penosa. Ma come fanno a produrre – e soprattutto a guardare, senza avere conati di vomito – queste porcherie? Roba che il cavaliere intrepido, per salvare la donzella dai cattivi, ne fa fuori venti alla volta, brandomuniti, con una scimitarra più efficace di un Kalashnikov. Highlander gli fa un baffo, a quello.

Meglio, molto meglio tornare al nostro insetto. Lo addento. Anzi, ormai che ci sono, lo mordo, provando a metterlo in bocca come fanno gli altri. Sì. Sembra proprio un grissino. Caldo, croccante, perfino un po’ dolce. Ma per una volta, e mi torna difficile ammetterlo, non dovrei pensare a quello che sto macinando tra i denti.

Lo confesso. Sono stato incerto tutta la sera se mangiarne un secondo. Vile. Non ce l’ho fatta. I maledetti, come una condanna infernale, mi ricapitavano sempre davanti agli occhi, complice il perfido marchingegno rotante dei deschi rotondi cinesi.

Ho riflettuto, mentre i commensali animavano la serata, grazie alle abbondanti dosi di vino cinese. Ho pensato a lungo. Ed ho maturato una serena consapevolezza. Che, come tutto il resto del mondo, anch’io ho diritto ai miei gusti. Saranno anche dolci, faranno anche benissimo, ma a me gli scarafaggi non piacciono.

Buono, ma basta. Mi sono riaffiorate alla mente le eufemistiche parole che, bambino, pronunciavo quando qualcosa veramente non mi piaceva, ma non era bello ammettere apertamente che mi faceva proprio schifo.

Dopo i sorrisi di apprezzamento per il gesto coraggioso, non ho ceduto alle lusinghe ed agli inviti a servirmi di nuovo della prelibatezza locale. No, grazie. Preferisco i gamberetti. Mai quel colore rosa carico mi era stato così simpatico, confrontato col lugubre nero da becchino delle livree da blatta. Mai quell’intenso profumo di pesce mi era stato tanto gradito, se paragonato all’insopportabile mancanza di odore di questi insetti.

Più che tutto, anonimi. A distanza di poche ore, non ne ricordo bene neppure il sapore. E non è rimozione freudiana. È proprio assenza di emozione da gusto, quella che mi è rimasta dentro.

Peccato. Perché gli unici felici sono stati i miei ospiti, che se ne sono andati contenti e soddisfatti, con dentro già l’idea di raccontare agli amici di quella volta che quell’italiano mangiò perfino uno scarafaggio. Beati loro.



Prima redazione : dicembre 2000

mercoledì 10 luglio 2013

T.I.C. 2013 – 3



Prendete dei giapponesi. Portateli in Cina, ad aprire un negozio di crostate e pasticcini. Si accontenteranno di una vetrina, di un’insegna, di un nome magari spiritoso e ammiccante, che richiami folle di golosi attirati dalla conclamata qualità nipponica, applicata perfino al ramo dolci e affini?

Nemmeno per idea. I giapponesi devono riempire un muro con inquietanti farneticazioni in un improbabile inglese senza capo né coda. Calembour mal giocati e una fastidiosa alternanza di caratteri grandi e piccoli. Ahimè, con una triste caduta di stile alla conclusione: dall’aulicità di laghi, angeli e lune scintillanti, al prosaico invito a entrare e scoprire gli zuccherosi segreti della loro pasticceria. Cosa tocca fare per vendere quattro torte in più...





lunedì 8 luglio 2013

T.I.C. 2013 – 2

Che necessità c’è di sprecare dei soldi per fabbricare degli appositi serbatoi, quando rovistando in un qualsiasi cestino dell’immondizia di città si trovano quante bottiglie da bibita si vogliono?

Ecco a voi il fucile ad acqua, versione Regno di Mezzo. Tè, pepsi, aranciata, acqua, succo di frutta. Ognuno si scelga marca e prodotto che più gli aggradano. E se la bottiglietta si bucasse, niente paura. Una frugata nel cassonetto della plastica, et voilà: pronto il pezzo di ricambio. Gratis. Che volete di più? Straordinari cinesi.






sabato 6 luglio 2013

T.I.C. 2013 - 1



Chi se ne importa, paiono dire queste due ragazze che si preparano al servizio fotografico nell’ambiente caratteristico di una Cina antica che non c’è quasi più.

Tanto il vestito è bello lungo, e copre tutto. Allora sotto vanno bene anche le ciabatte rosa, o i sandali con la zeppa color verde mare.

I dettagli, si sa, sono per quegli inguaribili perfezionisti degli europei. Qui, nella terra dell'apparenza, quel che non si mostra non esiste. T.I.C.




domenica 28 aprile 2013

Unsung heroes

Questa è la storia della moglie di Li Shaohua. Lui, come tutti i giorni, era partito la mattina presto per andare a lavorare nel cantiere edile. Lei era rimasta a casa con la figlia di nove anni e la vecchia suocera.

Una mattina come tante altre nel villaggio di Renjia, provincia cinese del Sichuan. Ma alle otto e cinque di sabato scorso, 20 aprile, un sisma di magnitudo sette ha sconquassato il paesello di Li. La moglie ha fatto in tempo, in quegli istanti concitati, a portar fuori la suocera di 86 anni. Poi è tornata dentro, per mettere in salvo la figlia che ancora dormiva, essendo il sabato festivo per la scuola. Ma l’edificio è crollato, seppellendole entrambe sotto le macerie.

Dopo sette giorni, come prescritto dalla tradizione cinese del touqi, Li Shaohua ed il figlio diciannovenne, superstite perché si trovava lontano, all’università, hanno reso omaggio alla tomba dei loro familiari perduti.

È stato il destino di un evento naturale a portarvi via, per favore non dateci la colpa - hanno mormorato piangendo mentre chiedevano loro perdono per non esser stati lì per salvarle.

Una piccola tragedia tra le tante del nuovo terremoto nell’inquieto Sichuan. Neppure il nome sappiamo, di questa coraggiosa donna. Rendiamole almeno un omaggio postumo. La signora Li ha incarnato – fino alle estreme conseguenze – l’esempio della dedizione e del rispetto nei confronti della vecchiaia. I valori di una Cina antica che va scomparendo, con le nuove, viziate, giovani generazioni. È bello – e triste allo stesso tempo – sapere che ci sono ancora donne come la moglie di Li Shaohua. Capaci di eroismi anonimi. Unsung heroes.





mercoledì 6 marzo 2013

Conosco i miei polli

... sembra dire il foglio delle istruzioni di sicurezza dall’aereo. China Eastern Airlines. Mi tocca un posto accanto alla porta. Prima del decollo uno steward fa la solita operazione di routine: si assicura che i passeggeri vicino all’uscita di emergenza sappiano cosa fare, in caso di bisogno. Mi schiaffa in mano un foglietto plastificato pieno di disegnini educativi. Diligentemente – non si sa mai! – lo leggo. Finché mi cade l’occhio su una scritta.

Non distruggete il rilevatore di fumo nei bagni. I cinesi sono notoriamente dei fumatori accaniti. E altrettanto sono riottosi a seguire le regole dettate sia della buona creanza sia dalle recenti leggi circa il divieto di fumare nei locali pubblici. Siccome in una cabina di aereo è francamente difficile mascherare un filo di fumo, l’unico posto dove ci si potrebbe - illegalmente - godere una sigaretta in pace, al riparo da occhi indiscreti, rimangono le toilettes. Peccato che questi guastafeste delle compagnie aeree ci mettano i sensori, che svelano la furberia. E allora? Ma che domande: basta distruggerli!

Da qui il cartello. Only in China.




lunedì 4 febbraio 2013

Buona fortuna...

Manca meno di una settimana al capodanno. Cinese, certo, non mi sono dimenticato questo racconto lì per un mese. Cosa succede nella nazione più popolosa al mondo? La solita frenesia propedeutica al grande, e spesso unico, evento conviviale. Milioni di lavoratori migranti si possono permettere di tornare al villaggio di famiglia solo una volta all’anno, e per meno di due settimane. Gli aerei sono per i ricchi, che peraltro non hanno bisogno di spostarsi da casa. Il 99% dei viaggiatori del festival di primavera sfolla in treno o in autobus. Spesso li usa entrambi, perché nelle zone più remote e montagnose le ferrovie non arrivano, tocca accontentarsi di torpedoni rattoppati e al limite del collasso. Buona fortuna...


Nel weekend appena terminato ci sono stati cinquantotto morti sulle strade della diaspora. Il numero in sé non farebbe notizia: ogni anno in Cina muoiono in incidenti stradali la bellezza di 70.000 persone (sì, avete letto bene. È la popolazione di un medio capoluogo di provincia italiano). A far sensazione è il fatto che questa piccola carneficina sia frutto di soli 5 incidenti. Pullman logori e furgoni stracarichi, magari guidati da incompetenti che si sono comprati la patente al mercatino del documento falso, precipitano giù da dirupi, prendono fuoco o schiacciano le vittime caracollando negli strapiombi. Un bollettino di guerra: 12 morti nel Guizhou, 7 nel Guangxi, 18 nel Gansu, 11 nel Sichuan. Più una pletora di feriti. Senza contare l’assurdo, spettacolare incidente nell’Henan. Sentite qua.


Ma c’era un qualcosa di legale nella sequenza di eventi che ha portato al crollo di un ponte autostradale, con conseguente tuffo nel vuoto – da 30 metri – di varie vetture? La risposta ovviamente è no. Allora, è andata così: un camion carico di fuochi d’artificio è esploso su un viadotto autostradale, ha fatto crollare un pezzo di ponte e una decina di automobilisti si sono spiaccicati nel sottostante baratro. Tanto per cominciare, gli ordigni pirotecnici erano fabbricati illegalmente. L’imballaggio per il trasporto era costituito da semplici sacchi di plastica, fuori da ogni normativa di sicurezza. L’autocarro carico di esplosivi era stato coperto alla meglio con dei teloni, e per concludere in bellezza il produttore aveva scelto un corriere non qualificato a gestire merci pericolose. Manca solo che ci dicano che il camionista si stava fumando una sigaretta col finestrino aperto. Quali erano le chances che tutto filasse liscio e che questa bomba su ruote arrivasse a destino in un pezzo solo? Fate voi. Le ineffabili autorità cinesi minimizzano: hanno avuto il coraggio di chiamare questa catena criminale una serie di errori umani. Qualcuno andrà in galera per questi errori. Ma intanto sono morte dieci persone. T.I.C.






domenica 3 febbraio 2013

Business di moda

Due vetture in direzioni opposte intasano le strette corsie di una strada di Shanghai. Un guardiano dalla giacca stazzonata indica gesticolando che tocca tornare indietro, perché di lì non si passa. Chiedo al vecchio amico con cui viaggio: che succede? Si sono toccati? Ma no, commenta mentre si impegna in una retromarcia senza premura. C’è uno sdraiato per terra davanti ad una macchina. Siamo vicini al capodanno cinese, no? Ogni tanto ancora faccio fatica a vedere il nesso. Ma lui spiega: è un nuovo business del momento. La gente ha bisogno di soldi per la cena celebrativa, per fare regali, insomma, non si può perdere la faccia con i parenti nell’unica occasione conviviale davvero importante dell’anno. Allora cosa fanno? Scelta la loro vittima, sbucano all’improvviso davanti ad una macchina che va piano – per evitare di essere arrotati sul serio – e poi si buttano per terra, come se fossero stati investiti. Per rimediare qualche soldo di compensazione al volo. Bisogna fare attenzione, chiosa. Perché ci sono quelli che si spingono a rompersi preventivamente – e apposta – un braccio. Poi, rotolandosi dal dolore, insistono per andare in ospedale a fare una lastra. C’è chi in un giorno sfrutta al meglio la autoinflitta menomazione, ripetendo l’escamotage più volte, e gli automobilisti, per non avere noie peggiori, sborsano di corsa.

Ne avevo sentite tante, ma uno che si spacca un braccio per spremere qualche soldo ai guidatori ingenui e pagarsi un banchetto mi mancava ancora. T.I.C.



martedì 18 dicembre 2012

Say no to drugs

A volte è più difficile scegliere un titolo che scrivere il testo. Mai Più Senza? Braccia rubate all’agricoltura? Basta con le nostalgie di Cuore, che pur ci sono, inutile nasconderlo. Say no to drugs, dite no alla droga? O ancora, un evergreen dei miei viaggi: T.I.C.? Alla fine ho scelto il più provocatorio.

Perché certi appelli te li strappa da dentro la Cina di oggi. Dove si può trovare, fieramente esibito in uno spiazzo di cemento tra grattacieli di vetro, acciaio e altro cemento, proprio nel centro di Shanghai, questo pregevole manufatto.

Allora un bonario monito all’artista è d’obbligo. Suvvia, basta abusare di sostanze allucinogene, che fanno travisare la realtà e creare bestie fantastiche. È vero, anche gli antichi farneticavano di creature inesistenti, talora frutto di impossibili incroci tra umani e animali. Sfingi, arpie, manticore, chimere, minotauri e sirene hanno popolato la fantasia di cento generazioni – a dir poco.

Ma abbiate pazienza: vogliamo mettere l’enfatica potenza della Sfinge di Giza, o la leggiadria della Sirenetta, sensualmente accoccolata sullo scoglio di Copenhagen, con questo sconclusionato rinoceronte, affardellato da un’incongrua pinna di squalo sul dorso e da una proboscide – che pare un innaffiatoio da balcone – innestata su un buffo muso dagli occhi di sorcio?

È arte? Mah. Per me no. Questa, se permettete, è Arte. Immortale. E con la A maiuscola.



sabato 30 giugno 2012

Una nazione, due sistemi

Esattamente quindici anni fa Hong Kong si ricongiungeva alla madre Cina. Dopo 150 anni di colonizzazione inglese.

Per ricordare com’era allora la città-stato, un’oasi di stile britannico circondata dal continente cinese, pubblico oggi un racconto inedito scritto nell’ottobre 1996, una manciata di mesi prima della fatidica data, con Carlo d’Inghilterra presente alla cerimonia: 30 giugno 1997.

Una sera alla stazione di polizia

Non ci vuole molto a trasformare la vettura più sicura in un ammasso di ferraglia. Così recita un poster in bella mostra sulla parete della stazione di polizia di Tsim Sha Tsui, Kowloon. Con in primo piano, davanti al citato mucchio di rottami in bianco e nero, un’allettante pinta di birra, la schiuma esuberante che trabocca oltre il bordo del bicchiere, madido e freddo come si conviene. Questo è il benvenuto al visitatore. Bel messaggio subliminale, penso. La spiacevole necessità di denunciare la perdita del portafoglio da parte di un amico cinese mi forza a visitare, un sabato sera, questo luogo di sicurezza e di soccorso.

Uomini e donne, tutti giovanissimi, gentili e professionali, quasi allegri del loro compito. Gli utenti attendono tranquillamente il loro turno seduti in alcune file di seggiole tipo sala conferenze, proprio dirimpetto al bancone dove almeno quattro poliziotti si occupano dei casi esposti. Sul fondo della stanza troneggia una foto a colori della regina Elisabetta e consorte Filippo, unica evidenza del fatto che – per ora e non per molto – Hong Kong è ancora un protettorato britannico. Ormai neppure le monete hanno più la testa della regina. Si è già passati al conio di spiccioli esibenti più neutri fiori, che tanto piacciono ai cinesi.

Passano alcuni agenti di rientro da un servizio di ronda. Nella loro uniforme verdina, spiccano il nero sia degli stivali anfibi allacciati a mezza gamba nonostante i trenta gradi della sera, sia del cappello, e soprattutto una cintura, anch’essa in tinta, da cui pende un armamentario incredibilmente vasto. Ogni pezzo ha la sua brava fodera. Ho contato un pistolone a tamburo, lo sfollagente, una pila di dimensione subacquea, le manette, la radio ricetrasmittente, il cui microfono è fissato alla bandoliera che dalla cintura stessa diparte, una borsina presumibilmente contenente penne e libretti per verbali, ed almeno altri tre misteriosi piccoli contenitori di chissà che cosa.

Una radio di servizio continua la cantilena cinese, informando i colleghi di crimini e misfatti. Rientra una graziosa poliziotta, la camicia marcia di sudore sulla schiena, si avvicina alla radio e intavola un dibattito con chi sta dall’altra parte dell’etere. Un’altra nel frattempo, fasciata da una uniforme color kaki, con vezzosa gonna al ginocchio, e con una clamorosa caduta di stile negli scarponi regolamentari con suola a carrarmato, sta stendendo a mano dei rapporti su di un incunabolo formato Divina Commedia illustrata da Dorè.

Non sembra di essere in una stazione di polizia. Manca completamente quella lieve, impercettibile ma fastidiosa sensazione di disagio che capita di provare da noi quando vai per denunciare qualcosa e temi sempre che alla fine si insinui che è colpa tua se ti è successo, anzi, è proprio sicuro che sia andata così?

La denuncia di uno smarrimento qui non ha quella nostra freddezza da pratica burocratica, l’appuntato che arranca sulla tastiera di una Olivetti meccanica d’annata, grossa e pesante come una locomotiva, ma in compenso molto più rumorosa.

I due ragazzi che raccolgono la deposizione del mio amico paiono due assistenti universitari che interrogano una matricola. Lo studente spiega, si aiuta con un foglio sul quale schizza alcuni appunti, i due professori lo prendono, se lo rigirano fra le mani, lo scarabocchiano ulteriormente, l’allievo prima espone i fatti, che loro scrivono, ascoltano e commentano, poi annuisce, come tutti gli studenti che vogliono ingraziarsi il docente che gli dovrà firmare il libretto con un voto. I due sorridono fra di loro in quella maniera riservata tipica dei cinesi, l’atmosfera è rilassata, l’esame è andato bene, chissà che voto gli daranno, il libretto - il passaporto superstite dello smarrimento - viene reso all’esaminando. Grazie ed arrivederci. Un sogno ad occhi aperti. Ho assistito ad una denuncia a due pubblici ufficiali e, complice il linguaggio tuttora misterioso, mi sembrava tutta un’altra cosa. Come un film muto, in cui capisci la trama dai gesti, non dalle parole. E puoi equivocare. Oppure puoi usare la fantasia, e decidere di leggere le immagini come meglio ti aggrada, libero dai vincoli delle parole, che spiegano, ma nel contempo limitano le interpretazioni.

L’ampia stanza è piena di luce, c’è rumore, si avverte la cordialità nell’aria, c’è un sorriso anche per quel buffo straniero là in fondo, è un quarto d’ora che scrive, che diavolo avrà da annotare su quello stupido blocchetto di appunti!?

Il 30 giugno 1997 Hong Kong tornerà alla madre patria cinese. Per ora il livello di civiltà e di civilizzazione è uno dei motivi che fa apprezzare ai numerosi europei residenti questa sovraffollata, caotica, indaffarata città-stato. Poi si vedrà.