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domenica 5 agosto 2012

Artisti di strada (3a parte)

Segue da ieri...


Il virtuoso

Qualcuno deve spiegarmi come ha fatto a partire, una volta caricato il motorino in questa maniera oscena.

Il vizioso

L’ho seguito per un po’. A sufficienza per vederlo estrarre una sigaretta dal pacchetto, mettersela in bocca, accenderla e fumarsela. Il tutto senza fermarsi. E sì, quello che vedete sporgere dalla mano sinistra è il mozzicone quasi finito. Da circo. Chapeau.

L’allegra famigliola


Sicura. Ognuno col proprio casco in testa. Il fatto che poi siano in quattro sulla motoretta è irrilevante. E non scandalizza nessuno.

Senza titolo

E per concludere, esageriamo: in una sola immagine c’è troppo di sbagliato. Dalla postura – detta che-palle-perché-non-sono-figlio-unico – del ragazzetto in pole position sul motore familiare, alla presa tipo wrestling con cui la madre mantiene a bordo la sorella del sullodato. Per non parlare del cap da equitazione calzato sul cappellino a larga tesa della passeggera in giallo. E infine i collant indossati con le infradito, causando il curioso effetto dita-di-cammello. Ma per favore non traducetelo in inglese. Questo non è un sito porno.

Ma il vero capolavoro non sono riuscito a fotografarlo. Una ragazza che, seduta dietro al proprio filarino, faceva da filtro umano. Nel senso che teneva le mani congiunte davanti alla di lui bocca, in un tenerissimo quanto vano tentativo di evitare allo stesso di respirare lo smog emesso dai milioni di altri motorini che affollano Hanoi. Cosa non fa fare l’amore.



sabato 4 agosto 2012

Artisti di strada (2a parte)

Segue da ieri...

L’assicurato

Deve esserlo per forza. Altrimenti non si spiega uno che si azzarda a viaggiare con un pastrano impermeabile monoblocco che si estende da sotto il casco fino alle manopole del mezzo. E nel contempo si aggiusta gli occhiali con una mano, o forse si ripara dallo smog. O entrambi.

Il credente

Non solo perché rappresentante del clero locale. Soprattutto per la fiducia che il proprio curioso cappellino fatto ai ferri sia taumaturgicamente protettore in caso di urti.

L’ottimizzatore

Mi raccomando, non ingrassare, deve aver detto alla passeggera. Se no ci rimettiamo in carico utile. Da notare il sacchetto azzurro: doveva contenere beni importanti per non trasportarlo più comodamente nel portapacchi anteriore. Fidarsi è bene...


Continua domani, con la terza e ultima puntata!

venerdì 3 agosto 2012

Artisti di strada (1a parte)

Ognuno con la sua specialità. Si tratta di funamboli talvolta, ma non intrattengono alcun pubblico. Cercano solo di arrivare a destinazione interi, senza passare prima dall’ospedale. E non si capisce come quasi sempre ci riescano. Eppure.

Lo squatter 


Quando il carico di derrate è più importante del passeggero. E lo stesso deve acquattarsi – senza lamentele – nel vano tra manubrio e conducente. Fortemente consigliato avere un parente dentista – in caso di frenate brusche gli incisivi sono decisamente a rischio.

L’Help Desk 

Con quello che caricano sui motorini, chi mai si stupirà per una CPU di computer? L’importante è avere un buon bilanciamento. Né la merce né la passeggera sono vincolati al pilota. Anche perché ci vorrebbero braccia da orango per agganciare il guidatore, con in mezzo quello scatolone spigoloso. Meglio usarlo come bracciolo.

La fashionista 

Tacchi a spillo? Non sia mai detto che siano un impedimento a guidare le due ruote.


Continua domani, con la seconda parte.

martedì 10 luglio 2012

MCMXI

Millenovecentoundici. Un secolo e un anno fa vedeva la luce questo palazzo.

Cannes? Montecarlo? Sanremo forse?

No: Hanoi, Vietnam. Ecco perché mi piace ancora questo luogo che sta cercando di crescere, con l’ambizione di diventare una nuova, piccola Cina. Ma senza rinnegare il proprio passato. E soprattutto senza radere al suolo le architetture non conformi ai nuovi canoni: se non son almeno quaranta piani, non vale nemmeno la pena comiciare a piazzare le gru. Se non assomiglia ad un cubo di Rubik di vetro e cemento, c’è qualcosa di sbagliato nel progetto.

Mentre invece a volte bastano piccoli particolari, come una lounge dal nome in numeri romani, oppure un teatro dalla facciata d’epoca ben conservata, per farti sentire più vicino a casa, meno straniero. Meno fuori luogo.





martedì 3 luglio 2012

Concentrazione

Quando il gioco si trasforma in arte.

Giocatori di scacchi cinesi, Hanoi



giovedì 28 giugno 2012

Car in a bar

C’è una macchina lì dietro, mi dice il collega con cui sto viaggiando in Vietnam. La scena si svolge in un modesto baretto di Hanoi, dove servono quel caffè particolare con un sistema a filtro individuale che mi fa riaffiorare alla mente ricordi di fanciullezza: la vecchia napoletana – ormai in disuso – con la quale si preparava una tazzina davvero speciale, apprezzata dall’antichissimo ingegnere partenopeo che di tanto in tanto passava a far visita.

Insomma, dopo questa coppetta di vetro riempita goccia a goccia con un liquido dolciastro e denso, oleoso quasi, il collega azzarda una visita ai servizi. Che, come di consueto, sono in fondo a sinistra. Torna con lo sguardo sbigottito e mormora poche perplesse parole. Devo capire cosa intenda. Mi vien da pensare: è normale che le macchine stiano dietro ai negozi, vista l’impossibilità di parcheggiare nel dedalo di stradine strette e appena adatte alla miriade di ronzanti motocicli. Vado a vedere, simulando una necessità corporale.

La macchina c’è davvero. Coperta da un telo polveroso, una volta argentato, di quelli che usavano negli anni sessanta. Ma è dentro al negozio. Bottega e garage, pezzo unico. Straordinario. La padrona stava ricamando un delicato motivo floreale su un cencio qualsiasi. Per fortuna ha supposto che volessi riprendere lei, e mi ha sorriso a piena dentatura. Ma quello che mi interessava era dietro la sorridente anfitriona. A car in a bar.


giovedì 5 agosto 2010

Saigon o cara

Cara Saigon, come sei cambiata in due anni. La bolgia oscena di motorette arrembanti e rumorose è sempre la stessa. La disarmante cordialità dei tuoi abitanti anche. Ma molto ribolle nel tuo ventre inquieto ed affamato di crescita.

Sei cambiata. E di recente, molto in fretta. Proprio nel tuo centro basso e coloniale, non lontano dagli storici alberghi Rex e Continental, antiche costruzioni a due, massimo quattro piani, ricche di boiseries e dall’atmosfera ovattata da Indocina francese, sta sorgendo un arrogante siluro di ferro, cemento e vetro, con tanto di elisuperficie laterale, dal quale si sovrasterà il sinuoso e lento incedere del fiume Saigon, con le anse che disegnano la topografia della città. Nuovi colonizzatori: scritte in coreano costellano gli ultimi piani ancora da finire. Presto sarà completato, e offenderà per sempre la delicata armonia fatta di teatri barocchi, viali larghi e fioriti, case color ocra e vetrate art-decò.

Anche le persone si adattano al rapido sviluppo. Una nazione giovane e scalpitante attorno alle nascenti opportunità. Molti imprenditori sono a malapena trentenni. Un’azienda con cinque anni di storia è già un traguardo di cui vantarsi. Thong è il personaggio del giorno. Si racconta nello stentato inglese di chi ha imparato a masticarlo per necessità, non sui banchi di scuola. Voglia di rivincita, di arrivare, di dimostrare con la propria caparbia determinazione che non occorre la laurea per aver successo. I vecchi compagni di scuola, quelli più bravi, hanno cominciato ad apprezzarlo. Ha conosciuto la fame, Thong. Trent’anni o poco più, i ricordi sono vividi, i crampi allo stomaco ancora freschi. Parla delle condizioni miserabili (dice proprio così, miserable) in cui viveva la sua famiglia. Cresciuto in campagna, tutti lavoravano come somari senza saper bene per cosa. Se non per il diritto ad unirsi a quelle lunghe file pazienti, una volta al mese, per ricevere l’essenziale, in mano il libro che sanciva le razioni di riso e di vestiario – quando ce n’era, se no ci si accontentava di scampoli di stoffa e poi si confezionava a casa, la sera, dopo la giornata nei campi o nelle officine. Troppo recente la fame per averla già dimenticata. Troppo grande l’occasione offerta dall’apertura delle frontiere nel non lontano 1993. Fino ad allora non si usciva dal Vietnam. Né gli investimenti stranieri erano permessi. Tutto cambia. Ora Thong ha un’azienda sua e importa macchinari, parla anche cinese con la stessa esuberante approssimazione con cui si esprime in inglese, fuma sigarette costose dal pacchetto multicolore, ride di gusto e guida nel traffico orrendo una inutilmente spaziosa Honda. E non se la prende se l’occasionale motociclista lo tampona con un botto sordo di plastica deformata, vai vai sembra dire magnanimo, è stato a lungo un forzato dello scooter e sa quanto sia difficile divincolarsi in quel caos. Il tapino fa la faccia mortificata, chiede scusa con gli occhi di cane bastonato, forse teme che gli si chiedano dei soldi per il minimo danno al paraurti, ma Thong è gentile e tollerante, non ha dimenticato cosa vuol dire arrivare a fine mese avendo fame e nemmeno un soldo in tasca.

Per i mille Thong – e per molto altro ancora – continua a piacermi il Vietnam. Perché la gente non ha perso quella genuina dose di rispetto per gli altri. Perché tutti ti sorridono per strada, e senza necessariamente volerti vendere qualcosa. Perché mi sembra di essere tornato indietro nel tempo, e di rivivere la Cina di quindici anni fa. Anche se, cara Saigon, non mi parli più in francese come facevi un tempo. Anche se non trovo più il venditore ambulante che mi saluta la mattina presto, dicendomi bonjour monsieur e offrendomi l’Equipe. Sei meno coloniale e solo un pochino più puttana. Ma sei bella lo stesso, Saigon, o cara.