I miei più vecchi lettori (temporalmente, non d’età) sanno che ho poche, ma ricorrenti fissazioni. Una è la lotta senza quartiere all’idiozia umana che porta a bere alcolici e poi a guidare una macchina (e purtroppo spesso ad ammazzare degli innocenti). Un’altra è la condanna senza mezzi termini della ripugnante sconcezza chiamata pedofilia. Poi c’è la passione per certi sport minori (almeno, da noi sono tali), tipo il rugby, e l’idiosincrasia per l’osannato pallone (sferico).
Infine c’è Sea Shepherd. Le sue lotte contro la dissennata caccia alle balene e ai delfini. Contro l’incongruenza di un sistema che formalmente proibisce tali stragi, salvo offrire la comoda scappatoia della “ricerca scientifica”. Contro chi, forte di potere economico e carico di arroganza, pratica una caccia illegale ed in territori marini protetti, santuari di riproduzione violati degli arpioni esplosivi della flotta mercantile nipponica.
Se non puoi sconfiggerli faccia a faccia, devono aver pensato i cinici responsabili di tali stragi, attaccali al fianco, quello scoperto e potenzialmente debole, con un espediente che si chiama citazione in tribunale. Così la Kyodo Senpaku Kaisha, armatrice (in più di un senso) delle navi baleniere, insieme con l’Istituto per la Ricerca sui (o dei?) Cetacei – che nome pomposo, vero, per una macelleria formato gigante – hanno chiamato in giudizio negli Stati Uniti la Sea Shepherd Conservation Society ed il suo fondatore e uomo simbolo Paul Watson, per cercare di far proibire la loro interferenza nelle consuete attività di caccia alle balene.
Queste bestie devono proprio valere un bel gruzzolo, se i succitati signori hanno potuto investire qualcosa come trenta milioni di dollari in una guerra legale contro chi si prodiga – e con successo – per impedir loro di razziare, stagione dopo stagione, i Mari del Sud. Sea Shepherd afferma che tali ingenti capitali sono stati stornati dai fondi governativi giapponesi allocati per la ricostruzione post-tsunami. Sarebbe interessante sapere quanti senzatetto della prefettura di Miyagi preferiscano un bel filettino fresco di balena ad una nuova casa.
Capitan Watson sa che questo attacco è strumentale, mirato a distrarre risorse, morali e finanziarie, dall’unico obiettivo di disturbare e prevenire la prossima strage nell’oceano australe. Critiche, burocrazia, processi, politici collusi con il potere economico non lo spaventano.
Lo spaventa invece la prospettiva di un mondo spopolato dai grandi cetacei. E per questo continua a lottare, giorno dopo giorno, con l’entusiasmo di un ventenne, contro i nuovi predoni.
Il crimine non è impedire alle navi Nisshin Maru e le varie Yushin Maru di eseguire la loro mattanza. È di continuare a lasciargliela fare, e per di più ipocritamente mascherata da ricerca scientifica. Speriamo che il tribunale statunitense se ne renda conto. E sentenzi coerentemente.
Nessun commento:
Posta un commento