venerdì 9 marzo 2012

Dieci piccoli lemmi

Ma fastidiosi. Le dieci parole (alcune sono concetti compositi) il cui uso – ed abuso – meriterebbe loro l’immediata elisione dal dizionario. Basta. Non se può più di ritrovarcele tra i piedi – o meglio, tra gli occhi e le orecchie – ogni tre per due. Per favore.

Fashionista. Uuh, che brutta parola. Già di per sé suona male, come tutte le storpiature dell’inglese adattate alla lingua di Dante. Per non parlare del significato. Personifica la vacua attenzione al superfluo, quando siamo in momenti di mancanza – per molti – del necessario, del basilare per sopravvivere dignitosamente. Rappresenta l’ostentazione di una spesso mal meritata e superficiale opulenza. Promuove l’assenza di pensiero, strangolato dalla assoluta mancanza di tempo per esercitarlo, tutta presa come è la fashionista nell’apprendere e memorizzare il calendario degli eventi mondani a cui non si può assolutamente mancare. Per sfoggiare l’ultima mise e il totale vuoto di argomentazioni. Voto: Due. A casa, il lemma e la schiera di nullafacenti fashioniste.

Sondaggi. La maledizione quotidiana ci investe in ogni campo dello scibile umano sondabile. A casa anche i manipolatori del nostro pensiero, che ci sussurrano subdolamente quali obbligatorie opinioni avere. Come è messo il tale partito? Sondaggio. Come va a finire la guerra in Vattelappesca? Sondaggio. Come reagiscono gli italiani all’ostensione di farfalle inguinali? Il sondaggio ve lo dice (un bel chi se ne frega non ci sta proprio bene ora??). Roba di oggi: meglio Messi o Maradona? Vi sentite tagliati fuori? Nessuno ha mai chiesto il vostro parere? Niente paura. Ci pensano gli instant poll: le maggiori - e perfino le minori - testate, con una strizzata d’occhio esterofila, vi invitano a dire la vostra, spesso in questioni talmente ininfluenti e scontate da rasentare la banalità. E potete vedere subito se siete nella maggioranza o fate parte dell’opposizione: eeeh, son soddisfazioni. Utilità: tendente allo zero. Perdita di tempo: cento per cento. Proposta: radiazione dal vocabolario e dall’uso quotidiano.

Spread. Insieme con downgrade, junk-bonds e austerity fanno parte della litania diuturna che ha sostituito, come potere iettatorio, il funebre frac nero con cilindro e occhiali in tinta coordinata. Ogni volta che si sentono nominare questi quattro cavalieri dell’apocalisse finanziaria la gente esegue complicati riti di scongiuro con toccamenti nemmeno reconditi di parti auspicali. Lasciateci in pace. Abbiamo capito che siamo nella melma. Non c’è bisogno di ripetercelo ad ogni piè sospinto. Soprattutto per quel vago ma aleggiante sentore di manipolazione. Perché i soloni della finanza creativa cadono quasi sempre in piedi? Per un Madoff in galera, quanti artisti della manovra ai limiti dell’illecito internazionale sono a piede libero e pontificano dagli scranni di consigli d’amministrazione di banche e istituzioni finanziarie che vendono due gatti da un milione di euro per comprare un cane da due milioni di euro? Voto: zero. Perché non se ne può più di questo subdolo terrorismo dell’informazione, che va ripetendoci, con voce chioccia e melensa: stai fallendo, stai fallendo, guarda che stai fallendo...

Mito. Non passa giorno che i nostri giornali e notiziari non riportino almeno una notizia chiosata dal fastoso termine. Ora, va bene parlare di miti classici. Una mostra dedicata a Leonardo può a buon diritto intitolarsi il genio, il mito. Archimede: mito e realtà? Ottimo. Ma che a calciatori in disarmo, boy-band di trent’anni fa, serie cinematografiche con agenti segreti più lesti nello smutandare giovani spione di coscia lunga che nel combattere il cattivo di turno, perfino chitarre rock vengano attribuiti meriti tali da giustificare l’uso della parola mito, questo proprio mi indispone. Perché, per la legge dell’assuefazione, se si tende a mitizzare ogni cosa, alla fine si banalizzano anche gente come Omero, Archimede e Leonardo. Equiparandoli a tizi in brachette che prendono a calci un pallone, a degli sfiatati strimpellatori e ai loro strumenti elettrici. Sette in condotta: manteniamo le distanze.

La profezia Maya. Ragazzi, abbiamo nove mesi davanti. Manco un figlio riusciamo più a fare. Penitenziagite. La fine del mondo è dietro l’angolo. Ma guarda un po’ tu che razza di sfiga. È cinque miliardi di anni che questo cavolo di pianeta gira, e proprio quando ci sono io deve decidere di autodistruggersi, come l’astronave di un pessimo film di fantascienza? Ci sono già schiere di buontemponi che vanno in giro con cartelli appesi al collo, invitando alla redenzione dei propri peccati, prima che l’apocalisse ci spazzi via tutti. Un momento: ma il mondo non doveva finire già lo scorso ventuno ottobre? Ah, no, il pastore rincitrullito si era sbagliato. Aveva fatto male i calcoli, ha dichiarato. E non doveva succedere qualcosa di terribile allo scattare dell’anno duemila? Mille e non più mille, tuonavano degli arcigni catastrofisti. Si son sentiti dei buddisti, che sono avanti di più di cinquecento anni rispetto al nostro calendario, farsi delle grasse risate. Ahahah, il duemila. Mi ricordo. Quand’ero piccolo il bisnonno mi raccontava che a quell’epoca i suoi avi… Voto: Uno. Lasciateci campare in pace. Avete delle certezze? No. E allora tenetevi le vostre profezie e le vostre superstizioni. E non ci fracassate i gioielli con iettatorie previsioni calamitose.


Continua domani, con la parte alta della classifica...

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