Uluru, nella lingua degli aborigeni, è il nome di un enorme monolito rosso che si trova nel centro geografico dell’Australia. Ed attorno a questa colossale pietra che sorge solitaria nel deserto è stata costruita una specie di industria del turismo. Non c’è neppure un paese qui, solo una serie di alberghi che attirano come mosche frotte di turisti, soprattutto giapponesi.
Mosche. A proposito. Una presenza costante, un tormento continuo. Mai fare l’errore di mettersi profumo o dopobarba. Ti svolazzano in faccia, negli orecchi, sul collo. Al punto da trasformare i camminatori che percorrono gli otto chilometri del perimetro dell’Uluru in specie di apicoltori, il viso riparato da veletti che si suppone facciano parte del business locale. Una passeggiata sorprendente, una vista mozzafiato su vertiginosi muri verticali di pietra rossa.
L’incontro del giorno è con Les, australiano di Sydney, attivo e allegro come un ragazzino nonostante i suoi 74 anni. Percorriamo insieme il tracciato, dopo esserci incontrati sul pulmino che porta fin qui dagli alberghi. Un by-pass coronarico alle spalle, non ha paura né del caldo orrendo né delle mosche. Si arma di un fuscello fronzuto che strappa dagli arbusti, e per tutto il tempo si percuote con regolarità il collo e le spalle per cacciare i fastidiosi insetti.
E non smette mai di parlare, colorando i discorsi con vivaci espressioni tipicamente australiane. Mi chiama Fernando dieci volte al minuto, facendomi notare quanto siano “bloody terrific” - qualcosa come “maledettamente grandiosi” - certi scorci di questo luogo. E poi si fa fare delle fotografie, per portarsi a casa il ricordo di questo viaggio. Nei posti dove è consentito, perché alcuni, secondo le credenze - o la religione - degli Anangu, gli aborigeni Mala padroni naturali della roccia, sono luoghi sacri di culto, e non è permesso né fotografarli né accedervi.
Una piacevole passeggiata attorno ad un luogo di grande suggestività, arricchita dalla presenza di questo gioviale nonnetto, che saluta come se si conoscessero da sempre un paio di aborigeni che incrociamo, e trova una parola per qualsiasi persona con cui entra in contatto. Voglia di fare, voglia di vivere. Lezioni di vita. A poco prezzo. I quindici dollari dell’ingresso al parco - parco? - che vanno al fondo per il sostentamento degli aborigeni. Non è molto, in cambio di un incontro che ti mostra quanto sia importante godere appieno della vita. Ogni giorno. Diem carpere, e di sicuro senza avere letto Orazio.
Fortunati i turisti in Australia che se la cavano con 15 dollari per vedere questa meraviglia e il nonnetto come bonus. Da noi per vedere l'Akagera ne occorrono 150 e per vedere i gorilla 350. Bloody terrific!
RispondiEliminaCiao HP, a presto
dragor (journal intime)
Ciao Dragor,
RispondiEliminagrazie della visita! Caspita, non te le regalano le escursioni in Africa!! E' vero che il mio racconto è un po' datato, ma di certo anche oggi non avrà prezzi del genere la passeggiata attorno ad Ayers Rock...
Con 150 dollari invece si sale sulla cima dell'Harbour Bridge di Sydney, attraverso scale d'acciaio e camminamenti mozzafiato (naturalmente in cordata, e con moschettoni e funi di sicurezza, che non vogliamo mica turisti che si tuffano nella baia da cento metri e si spetasciano sui vaporetti!). Al tramonto è uno spettacolo indimenticabile.
Ma i gorilla devono valere tutti i soldi che costa vederli. Bisognerà proprio che prima o poi ci faccia un salto, dalle tue parti!
Ciao, a presto,
HP
Mi piace l'idea di usare Uluru invece di Ayers Rock. Ma, allora, perché non hai scritto Pitjantjatjara invece di aborigeni :-)
RispondiEliminaA casa, ho il libro-inchiesta di John Bryson : Evil angels, dedicato alla vicenda di Azaria Chamberlain....In francese, il libro si intitola : le chien du désert rouge. Allora, il titolo e la foto del post mi hanno ingannato subito. Ho letto terrific e mio cervello ha stampato terrify....Sollievo. era soltanto una piacevole passegiata in compagnia di un ragazzino australiano di 74 anni....
Alex
ciao Alex,
RispondiEliminaè vero, spesso l'inglese degli australiani inganna. Terrific suona male per noi, lo associamo a terrore, terribile, terrorizzare, terrorista... Mentre per loro è un aggettivo molto positivo. Terrific!, ti dirà l'amico a cui proponi il sabato mattina di andare a fare un round di golf al club dietro l'angolo, e poi a bere qualcosa insieme alla 19th hole (la diciannovesima buca, il bar della club house che accoglie gli assetati reduci da qualche ora in mezzo al verde di eucaliptus e a canguri che osservano pigramente questi buffi bipedi che insistono a spingere d'intorno piccole palline bianche con dei bastoni sottili, anzichè godersi la natura semplicemente osservandola, e poi sacramentano se la detta pallina non cade subito in un buco da cui prontamente la recuperano, mah, proprio strani...)
E grazie del suggerimento librario. Grazie a te ho scoperto più di un libro che si è rivelato degno di esser letto. La prossima volta cercherò questo Evil Angels.
Buon weekend, a presto,
HP