I giapponesi hanno tutta una serie di frasi stampate nel cervello, con le quali ti investono con inquietante frequenza, ossessionati come sono dalla puntualità a tutti i costi e dalla fobia di sprecare del tempo e soprattutto di abusare di quello agli altri. Please wait a moment (un momento dura il minimo indispensabile, e mai più di venti secondi, se no è buon costume reiterare l’invito). Sorry to keep you waiting (detto a un cliente quando arriva il suo turno nella fila. L’impiegato non era fuori a fumarsi una sigaretta, stava servendo gli altri di fronte a te). Thank you for waiting (in altre parole: grazie per avere rispettato un’altra passione collettiva giapponese, la coda).
Sentono la necessità di riempire quegli spazi di conversazione che nel resto del mondo resterebbero vuoti. Non parlare, non scusarsi, non mostrare una magari non genuina ma formalmente ineccepibile cortesia equivale a uno sgarbo pari a rubare il tempo degli altri.
Per favore aspettate un momento. Mi guardo intorno. Evidentemente sono tutti talmente assuefatti ad ascoltare quelle frasi vacue e garbate, che nessuno si mette a ridere. Nessuno pensa al contesto in cui viene pronunciata.
Seduti in un aereo che si accinge a decollare da Shanghai alla volta di Tokyo. Compagnia aerea ed equipaggio giapponese. Il velivolo si sgancia dalla baia, percorre il raccordo che collega alla pista, si accoda ad altri pronti a prendere il volo. Ci si prepara alla rincorsa che lo librerà in aria. Passa un minuto e non succede nulla. Siamo fermi. Una hostess sente il bisogno di rassicurare i passeggeri. Afferra l’interfono e inventa questo gioiello. La pista è temporaneamente congestionata. Per favore aspettate un momento.
Ora, dico io. Siamo tutti imbragati dalla cintura di sicurezza. Non puoi muoverti, non puoi alzarti. Non puoi reclinare il sedile e non puoi aprire il tavolino. Men che meno dire, ah beh, allora se c’è da aspettare quasi quasi scendo un attimo e vado a bermi un caffè.
Aspettate un momento? A fare cosa? A fare brum brum con la bocca e a mimare il pilota che tira indietro la cloche e fa alzare l’apparecchio, come i bambini sulle giostre?
Fantastico. Solo su un aereo giapponese poteva capitare di essere lì, inutilissimo fardello in attesa che qualcuno ti traghetti da un’altra parte, e di sentirsi dire: chotto matte kudasai.
Prima pubblicazione : 14 novembre 2007
Forse voleva dire "a fare pipi'". Doveva temere che qualcuno le sporcasse i sedili :-)
RispondiEliminaPost divertente come sempre. Nella mia prossima visita vorrei nascere giapponese. Tutto tranne un particolare
dragor (journal intime)
A volte, la fraseologia giapponese non è tanto divertente...Chotto matte kudasai, Chotto matte kudasai...il mantra è stato ripetuto all'infinito durante quasi due mese dalla Tepco. La Tepco ha confessato solo la settimana scorsa che le barre di uranio nei cuori dei reattori 1, 2 e 3 si sono fuse nelle prime 48 ore dopo lo tsunami...Chotto matte kudasai, Chotto matte kudasai...il mantra ha funzionato, due mesi dopo, la notizia non ha commossso nessuno...
RispondiEliminaAlex
ciao Dragor,
RispondiEliminachissà, forse ho perso l'occasione di chiedere alla signorina in questione a cosa si riferisse il cortese invito...
Bellissimo finale di commento. Non riesco proprio a immaginare a che particolare tu ti riferisca...... ;)
Grazie della visita, a presto,
HP
Ciao Alex,
RispondiEliminapurtroppo hai ragione, il mantra, a volte usato per alleggerire attese innocue, viene oggi usato per temporeggiare, per non raccontare, per non terrorizzare con una situazione forse inenarrabile, certo inquietante. L'incidente di Fukushima si conoscerà nella sua piena entità quando forse noi non ci saremo già più. Oggi è tutto un chotto matte kudasai...
Grazie del commento, a presto,
HP