giovedì 27 ottobre 2011

La cara salma

Sta arrivando il fine settimana dei fiorai. Tra sabato e domenica – tempo infame permettendo – si ripeterà la tradizionale visita dei vivi ai morti. Ai pochi che vanno al cimitero indipendentemente dal calendario e per un omaggio sincero ai propri defunti, si aggiunge una maggioranza rumorosa di chi lo fa per sentirsi la coscienza a posto. Sono quelli che ci vanno una volta all’anno perché si deve, con lo stesso spirito con cui si va a messa o a teatro (quando non ce ne importa un fico né del prete né della recita): perché bisogna esserci, perché gli altri ci notino e non pensino, vedi, quello lì non frequenta. Presenzialismo perbenista.

Voglio fare un omaggio postumo a mia madre che, pioggia, freddo o solleone, non mancava mai di fare una visita, lungo tutto l’arco dell’anno, alla tomba di mio padre, offrendogli sempre e solo dei garofani rossi, l’unico fiore che lui adorava, ed una carezza alla foto dopo un rapido segno della croce. Il suo spirito toscanaccio ed anticonformista la spingeva a non andare al camposanto proprio il due novembre. Una settimana prima magari sì. Ma in quei due giorni quasi obbligatori proprio no, quello mai. Diceva: vai lì e trovi comari che stanno lì a ore a chiacchiera, oh, signora, come sta bene, guardi, anche lei, non invecchia mai, ma come mai qui, davvero, il suo povero marito?, aah, quanto mi dispiace… Ma ti pare che mi possa confondere con tutta questa gente che si comporta come se fosse al caffè in centro, e non in un posto di silenzi e di rispetto? E, infervorata, rincarava la dose: e quelli che sanno tutto di tutti, leggono le scritte sulle lapidi e spettegolano? Guarda lì tizio, fu consorte integerrimo, sì, poi era scappato con una ballerina, o quella, invece?, che coraggio scriverci madre e moglie esemplare, il marito, poveromo, aveva più corna lui che un corbello di chiocciole...

Tanto per stare in tema, che è la stagione giusta. Nelle piccole città di provincia usa ancora incollare ai muri gli annunci mortuari. Quando toccherà a me, gradirei che sul mio foglietto non si scrivessero le bestialità che ho scoperto in questi giorni sulle colonne dei portici cuneesi. Per favore. Un minimo di rispetto, se non per il morto, almeno per l’italiano.

Forse devo essere previdente, e contattare con largo (si spera) anticipo una rispettabile casa di onoranze funebri. Mai e poi mai sopporterei, seppur trapassato, di essere definito “la cara salma”. La cara salma riposa... Non sarei capace di riposare per l’eternità, sapendo di essere stato proditoriamente qualificato così, e senza neppure la possibilità di tornare dagli inferi sotto forma di fantasma e prendere per la palandrana gli autori di tale orripilante misfatto lessicale.

Non fiori ma eventuali opere di bene. Eventuali. Robe da matti. Già “opere di bene” è vecchio e consunto, ai limiti dello sfilacciamento. Ma eventuali, che puzza di se proprio vi avanzano dei soldi e non sapete cosa farne, è veramente uno sproposito. Via, via. Questi non fanno per me. Rivolgiamoci a gente che, oltre al cannello ossidrico, sa usare anche la penna e il dizionario.

Una nota di ottimismo in cotanta luttuosa desolazione. Ho conservato da anni un affettuoso annuncio pubblicato da figli amorosi sul quotidiano di Singapore, estremo tributo di gratitudine per una madre che sarebbe valsa la pena conoscere. È una poesia dolce ma non sdolcinata. Eccone qui la traduzione.


Wu Chuen Chuen è morta nel sonno il 17 maggio 2004, dopo una breve malattia. Avrebbe compiuto ottantanove anni a settembre. Ha vissuto la sua vita al massimo, senza tempo per alcun rimpianto. Una buongustaia prima che la parola fosse inventata, amava mangiare quasi quanto amava cucinare. Stamford Cafe, il ristorante in Bras Basah Road che lei gestì per circa 30 anni, nutrì legioni di locali, espatriati, turisti e soggiornanti. C’erano militari inglesi affamati di bistecche e tortini e pudding di pane e burro, marinai americani con la nostalgia di casa, alla ricerca di un hamburger o delle patatine fritte, e l’occasionale russo contento di trovare un borscht dignitoso.

Quando i suoi figli furono cresciuti, lei decise che era tempo di chiudere lo Stamford Cafe. Trasferì la cucina a casa per continuare a cibare famiglia e amici. La sua cucina era sempre aperta. Stufato di coda di bue, pollo arrosto, gallina al curry o dei frutti di mare si trovavano spesso sui fornelli, oppure nel frigorifero, pronti ad essere saltati in padella.

La cucina ora è chiusa.


I cinque figli di Madame Wu non hanno cercato né paroloni né voli pindarici per raccontare una madre che ha offerto a lungo, e a tanti, la semplice, basilare gioia di una refezione. Ma hanno saputo concentrare in poche righe una vita di passione e di impegno. Bravi.

Prima pubblicazione : 1° novembre 2008

domenica 23 ottobre 2011

Quale allegria (2)

Sarebbe potuta (e dovuta) essere una domenica di festa. Di celebrazioni, almeno da una parte. Dopo sei settimane di battaglie, Francia e Nuova Zelanda si affrontavano ad Auckland, nella tana degli All Blacks, per decidere chi avrebbe sollevato la Coppa del Mondo di Rubgy.

Per la cronaca, hanno vinto gli All Blacks, con un risicatissimo punteggio di 8 a 7. Una meta per parte, un solo punticino di distacco, che fa un mondo di differenza.

Ma proprio mentre agli antipodi si battevano i rugbisti, a Sepang, in Malaysia, Marco Simoncelli perdeva la sua giovane vita in un incidente, al primo giro del Gran Premio di motociclismo. Difficile trovare le parole. Perfino i solitamente caciaroni commentatori televisivi alternavano momenti di silenzio a frasi gravi e imbarazzate. Un’ora di incertezze e di agitazione. Quelle immagini, riproposte più volte, inquietanti, evocavano ricordi di altri scontri, di altri investimenti, purtroppo finiti tragicamente. L’aria era pesante, non faceva presagire nulla di buono. Fino all’annuncio ufficiale, in diretta: Marco Simoncelli is dead.

Non ci si pensa mai che un ragazzo ventiquattrenne, famoso, guascone, spassoso, possa andarsene così, in un’istante maledetto, per di più davanti agli occhi di un padre frastornato da un evento troppo madornale per farsene una ragione.

Addio, Marco. Forse un giorno saresti diventato un campione del mondo, come già lo eri stato nella classe 250. Vai a far compagnia a quella stirpe di combattenti che hanno acceso la fantasia dei tifosi degli sport motoristici e che, come te, sono morti troppo presto. Ma la loro leggenda rimane: Gilles Villeneuve, Ayrton Senna, Jarno Saarinen, Daijiro Kato. Da oggi, lassù, c’è un asso in più.


lunedì 17 ottobre 2011

Professioni a rischio

Ammetto le mie carenze. Fino a tempi relativamente recenti ignoravo l’esistenza di una categoria professionale detta sciampista. Non avendo l’abitudine di frequentare saloni di acconciature per signora, non mi ero mai reso conto che ci fossero chiare e nette distinzioni di ruolo tra le varie addette ai lavori. Colpevole lacuna, provvidenzialmente colmatami dalla estemporanea – e fortunatamente breve – osservazione di programmi cosiddetti d’intrattenimento, nei quali si fa spesso riferimento a fenomenologie dell’essere umano quali il tronista (confesso qui il mio rifiuto di concepire tale lemma come una professione, della quale – per di più – magari andare fieri), la letterina (ennesima variante della ragazza-tappezzeria da studio televisivo) ed appunto la sullodata sciampista.

Tale inopinata scoperta ha scatenato in me la curiosità di intuire le caratteristiche necessarie ad affrontare con successo codesto mestiere.

Cominciamo, lombrosianamente, dalle fattezze fisiche: come per i fantini, una statura medio-bassa deve essere d’ausilio, onde evitare esiziali mal di schiena, a chi trascorra tutto il giorno chinata in avanti su dei curiosi lavandini a mezzaluna, confricando cautamente epiteli di signore dall’agenda d’impegni semivuota.

Passiamo alle competenze richieste: una generale conoscenza dei pettegolezzi riguardanti le attività amatorie di attricette, soprammobili e comparse televisive più in voga del momento è basilare per intraprendere una qualche parvenza di conversazione con quelle, delle suddette clienti, che abbiano piacere di scambiare due parole su decisivi temi d’attualità e d’interesse generale.

Mentre una improbabile laurea in filosofia potrebbe essere un punto di demerito (ci sarebbe il concreto pericolo di surclassare, sul piano intellettivo, le proprie ingioiellate clienti, e ciò non è ammissibile), è certamente proibito alla sciampista di possedere anche solo i fondamentali di taglio, messa in piega a phon e acconciatura artistica, mai un domani l’operosa massaggiatrice di cuoi capelluti decidesse di aprire un salone per conto proprio, mettendo a repentaglio la fedeltà della clientela alla coiffeuse dove lavora ora.

Voglio lanciare un monito a questa folta categoria di oscure addette minori alla bellezza muliebre: care sciampiste, attente. Forse non lo sapete, ma siete una specie a rischio estinzione, come la foca monaca.

In Giappone è stato appena presentato un robot che in un futuro nemmeno lontano potrebbe rendere inutili i vostri servigi.


Ma avete ancora una speranza. Pare infatti che alla Panasonic non abbiano pensato di dotare l’avanguardistica macchina di un magazzino di memoria ad elaborazione vocale, pronto ad intrattenere le clienti con dovizia di dettagliate e gustose notiziole su Ruby, Belen, Simona, George, la lady dai vestiti di bistecche, per non parlare dell’intera guarnigione di perdigiorno granfratellati. Insomma, tutto ciò di cui si tratta non solo su rotocalchi balneari ma anche nei vari telegiornali, programmi con apocrife pretese culturali, testate di richiamo, e – ahimè – perfino librerie.

Salviamo dei posti di lavoro: non facciamoglielo sapere, a quei tecnici nipponici, cosa manca per essere veramente una perfetta sciampista in Italia.


sabato 15 ottobre 2011

Shanghai la nuit (2)

Shanghai la nuit è questa, ritratta alla vigilia del giorno di festa nazionale, la celebrazione della nascita della nuova Cina: 1° ottobre 1949. Sessantadue anni che hanno cambiato il mondo. Per sempre.

I ♥ SH. Proiettato a caratteri cubitali su uno dei tanti grattacieli che si affacciano sul fiume Huang Pu.

Il Bund con i suoi edifici storici e le bandiere che garriscono in una serata insolitamente ventosa e tersa.

Yu Yuan, il giardino di Yu. Atmosfere di altri tempi e grattacieli incombenti che al buio, per fortuna, passano quasi inosservati.

Mercato notturno: chi torna a casa alle dieci di sera ha diritto di trovare frutta, verdura (magari per terra), polli e maiali, cotti o da cucinare. A Shanghai non si smette mai di commerciare, di vendere, di comprare qualcosa.

Focacce ripiene di verdure, perché non è vero che in Cina si mangia solo riso.

La signora in rosso: variante patriottica delle classiche foto degli sposini con sullo sfondo l’inconfondibile promenade del Bund.

I cinesi consumano quantità impressionanti di uova. Queste sono bollite a lungo in un’infusione di tè nero, ed assumono un’interessante tonalità di marrone. Snack economico e favorito nelle ore piccole della notte, richiede nel turista medio una notevole fiducia nei propri anticorpi. Ma – per chi osa – ne vale la pena.

Ma Shanghai la nuit è anche questa. Un racconto di ieri a cui rimando oggi, perchè non ha perso né forza né validità.

domenica 9 ottobre 2011

Man of the match

Non ha portato neppure una palla in meta, e del resto non era il suo compito. Ma con uno score perfetto di calci di punizione, sette su sette, ha regalato agli All Blacks più di metà dei punti fatti contro l’Argentina. Ed il passaggio alla semifinale di domenica prossima: il più classico dei derby, contro i Wallabies.

Onore al merito, Piri Weepu. Ka mate, ka mate, ka ora, ka ora. Questa volta l’Haka ha cantato per te. È la vita, per la Nuova Zelanda, è la morte – delle speranze – per i combattivi Pumas argentini.


giovedì 6 ottobre 2011

Dacci oggi la nostra radiazione quotidiana

La fissazione giapponese per la precisione tocca livelli tragicomici nella ossessionante presenza quotidiana, a pagina tre del giornale, della mappa circostanziata del livello di radiazioni rilevate in un raggio di quattrocento chilometri circa intorno alla centrale di Fukushima. Come se fosse:

- ben chiaro quale è il livello accettabile di radiazioni a cui un corpo umano può sottoporsi senza beccarsi leucemie e cancheri assortiti.
- evitabile, per i milioni di abitanti nella zona più popolosa del Giappone, di farsi bombardare ogni giorno da plutonï e cesï e stronzï (l’elemento chimico, si intende) che svolazzano liberamente nell’atmosfera.
- confortante il sapere che le radiazioni oggi sono scese di qualche millesimo di microsievert all’ora rispetto a tre giorni fa, nella località dove mi trovo.

Siamo a 0,039 invece che 0,040 μSv/h. Ben un miliardesimo di sievert in meno. Ahhh. Mi sento già meglio.

lunedì 3 ottobre 2011

Fratelli d'Italia

Per un tempo abbiamo creduto tutti al miracolo. Poi il sogno si è infranto contro l’Irlanda dominante dei secondi quaranta.

Ma non abbiamo mai smesso di sperare, né di lottare. Fino all’ultimo. Il copioso sangue sul viso di capitan Parisse, la sua intervista a partita appena finita, parole rubate da un giornalista a chi soffocava a fatica le lacrime, in un misto di rabbia, dolore, delusione, ne sono la prova.

C’è modo e modo di uscire da una Coppa del Mondo. Noi ne usciamo sudati, maculati, sanguinanti, battuti: ma non umiliati. Grazie, ragazzi.