giovedì 28 agosto 2014

Tragedie americane


In Arizona un trainer di un poligono muore mitragliato da... una bambina di nove anni. Nove. E la chiamano tragedia. Le vere tragedie sono altre: laggiù è normale che una coppia di genitori in vacanza per divertirsi non trovi di meglio da fare che andare a sparare a delle sagome (e non stiamo parlando di un lunapark coi suoi sgangherati fucilini ad aria compressa). Non solo: è normale che si portino appresso - a scopo educativo - una figlioletta di nove anni. Di più: è normale che la suddetta, invece di baloccarsi con bambole o videogiochi tascabili da fanciulle, possa avere accesso alla zona di tiro. È normale, infine, che le venga messo in mano un Uzi, una mitraglietta che spara a raffica, e che venga incoraggiata a testarne le più nefaste capacità.

La tragedia è che questo episodio sia solo percepito come un disgraziato incidente di percorso, una fatale imprudenza dell'istruttore. Esperti ora dichiarano: non si può mettere in mano un Uzi ad una bambina di nove anni...

La tragedia è che la frase non finisca qui, come buon senso e sensibilità suggerirebbero, ma continui cosí: ... aspettandosi che sia in grado di controllarlo.

Dai. Come puoi confidare che una bimbetta, oltretutto anche un po' gracilina, riesca a tenere, a mano libera, un fucile mitragliatore sulla corretta linea di tiro? Che pretese, signori istruttori! Mica sono tutti dei rambo questi turisti della sparatoria fai da te!

Capite: non viene considerato profondamente immorale e sbagliato che un'arma automatica e letale venga spacciata per un divertente gioco agli occhi ancora innocenti di una bimba. Non è scandaloso e osceno che questa povera fanciulla si sognerà di notte l'immagine del tizio mentre gli fa saltare le cervella, in perfetto stile Pulp Fiction, roba da fare invidia a Tarantino. Non è vergognoso che la madre stesse orgogliosamente filmando l'edificante scenetta, come si fa coi figli quando si tuffano in piscina o costruiscono un castello di sabbia in riva al mare, del tutto inconsapevole che stava per riprendere un assassinio.

No. Tutto questo negli Stati Uniti continuerà ad esser normale. Fino al prossimo impallinamento. Ecco la vera tragedia: che nulla cambierà.

Lobby delle spingarde 1 - Vita 0. Palla – di fucile – al centro.





sabato 16 agosto 2014

Burocratese


C’era chi aveva parlato di precipitazioni atmosferiche. Dilettanti. Con quelle misere ventisei lettere, non lega neppure le scarpe a questo capolavoro di vacuità burocratese.

Facciamo un confronto. Come si descrive la stessa situazione nella lingua di Albione? Innanzi tutto ci mettono dei disegni, che possono essere interpretati anche da chi non conosce l’idioma locale. Un semaforo – rosso. Una macchina fotografica che scatta.

Basterebbero già le figurine. Ma gli inglesi (o americani, o australiani) ci vogliono umiliare. Gli piace vincere facile. Allora sotto alle silhouettes aggiungono la didascalia. Disarmante nella sua semplicità e sintesi mirabile: red light camera. Tre parole, 14 caratteri. Nessun riferimento al codice stradale, che tanto gli automobilisti mica viaggiano con tomi legulei appresso.

Noi ne abbiamo impiegate – per spiegare che se passi col rosso ti fanno una foto e poi ti arriva comodamente a casa una contravvenzione – la bellezza di sette per un totale di 61 caratteri! Ogni parola, se trascuriamo le preposizioni, è lunga in media undici lettere. Più, in piccolo, come nei contratti delle assicurazioni, il numero di articolo del Codice della Strada, per dare un’aura di boriosa ufficialità al tutto. Ma né uno straccio di traduzione, né un agevolante disegnino.

Maledetti burocrati. Ma voi non viaggiate mai all’estero? Evidentemente no, se no provereste un minimo di vergogna ad offrire ai turisti stranieri simili impervi trabocchetti linguistici.

Che, per inciso, servono perlopiù ai nostri compatrioti, perché all’estero sono già abituati al concetto che se bari col semaforo c’è il fondato rischio di beccarsi una multa. Mentre qui da noi c’è ancora chi si stupisce. Poi addirittura c’è chi si indigna per questo attentato alla libertà di passare con il colore che più gli aggrada, e chiede a gran voce che queste cento trappole siano dichiarate arbitrarie e illegali, con buona probabilità di trovare un giudice spiritoso che gli dà retta. Ma questa è un’altra storia – tutta italiana.





giovedì 14 agosto 2014

Benvenuti in Italia


Che in Italia non ci sia una gran conoscenza dell’inglese è fatto conclamato. Siti turistici ufficiali, spiegazioni su monumenti, riviste bilingui sono una inesauribile fonte di sollazzo per la stirpe della lingua di Albione. Consoliamoci. Non siamo gli unici storpiatori dell’esperanto universale. Evidentemente siamo in buona compagnia, se qualche spirito allegro si è preso la briga di creare un sito come engrish.com, dove si raccolgono le bestialità e gli errori dagli effetti comici nelle traduzioni in inglese dal giapponese o dal cinese. Visitare per credere (e ridere).

Ma qui sappiamo fare di meglio. Avendo una quantità di turisti estivi comparabile ai biblici sciami di locuste, noi pensiamo a loro mettendo cartelli stradali rigorosamente in italiano. Giusta rivalsa per il fatto che nel resto dell’Europa nessuno si sogna di considerare e rispettare l’esigenza del turista italiano medio (totalmente ignorante di qualsiasi lingua straniera e talvolta anche della propria) di trovare indicazioni stradali comprensibili anche nell’Iglesiente o nelle valli della Bergamasca? Può essere.

Per dimostrarsi superiori a questi stranieri che non ci accontentano, in fondo basterebbe prendere qualcuno che abbia un inglese appena migliore di quello raggiunto dopo dieci giorni di corso a dispense comprate in edicola, e già si potrebbe scrivere qualcosa di decente sui segnali. Perché qui non sto parlando dei segnali universali, quelli che basta un’occhiata e non occorre leggere nulla. Qui in Italia infatti abbiamo la specialità di inventarci i segnali “condizionali”, quelli con il simbolo e sotto la chiacchierata esplicativa (solo in italiano).

Il limite dei 50, in autostrada, vale solo in caso di nebbia (per fortuna). Il divieto di parcheggio sui viali è a tempo. Dalle 10 di sera alle 5 di mattina, onde evitare frotte di clienti che affollano le strade per i soliti commerci carnali notturni. Per entrare in una ZTL occorre leggere regole fitte e complicate come il retro delle polizze dell’assicurazione.

E così gli stranieri, per cercare di capire come funziona (se così si po’ dire) la viabilità in Italia, devono viaggiare con dizionario, taccuino e matita per scriversi la prosa sotto ai cartelli e cercare di decifrarne il significato.

Ma sfido chiunque a trovare qualcosa che batta la genialità di chi ha messo una serie di cartelli sulla superstrada litoranea tra Livorno e Grosseto. Premessa: la velocità consentita è 110 km all’ora. Col maltempo è giusto consigliare prudenza ed invitare a ridurre la velocità. Nulla da eccepire sul concetto. Ma considerando la zona ed il clima marittimo si suppone che le nevicate siano un fatto piuttosto eccezionale. Eccettuiamo qualche sporadica grandinata, che comunque costringerebbe i guidatori a ridurre la velocità anche senza bisogno di inviti o cartelli. Dunque che altro potrebbe cadere dal cielo se non della pioggia?

Allora chiamiamola così. Perché un cartello che recita, sotto al simbolo velocità massima 90 km/ora, “in caso di precipitazioni atmosferiche” (le ho contate, due parole fanno ben ventisei lettere) mi suona francamente una presa in giro nei confronti dei turisti. Precipitazioni atmosferiche. Vi immaginate una coppia di inglesi che stanno viaggiando sotto l’acqua a cento all’ora, e passano davanti a tale segnale? Cosa c’era scritto? Non so, ho fatto in tempo a leggere preci.. Aspetta il prossimo. Ah, eccolo. Allora? Ora sono arrivato a precipita.. Ma insomma, sei analfabeta? No, prova tu a leggere queste cavolo di parole italiane che sono lunghe un chilometro! Vai più piano, che così leggo tutta la frase. Sei matta, cara? Così questi indiavolati di italiani ci tamponano e ci portano fino a Roma a motore spento! Forse quando sono arrivati a Grosseto hanno decifrato l’interminabile codice da Vinci. Ora si tratta di guardare sul dizionario. E siccome anche i più attrezzati turisti non viaggiano con incunaboli da otto chili ma con dei tascabili che non brillano per selezione di lemmi, ecco che le possibilità che i tapini hanno di capire che il nostro geniale creativo quando ha scritto “precipitazioni atmosferiche” intendeva dire semplicemente “pioggia” sono tendenti allo zero.

Si dice in caso di pioggia, per la miseria! Vorrei che il nostro redattore di cartelli si trovasse una volta a guidare in un’autostrada cinese, con il volo che gli parte tra due ore, e le indicazioni per l’aeroporto rigorosamente in ideogrammi e senza facilitanti simboli di aeroplanini accanto. Forse allora capirebbe cosa significa far leggere ad uno straniero precipitazioni atmosferiche.

Piccolezze? Forse. Ma quando si viaggia all’estero così tanto come faccio io, queste minuscole sgarberie (magari involontarie, ma non per questo più giustificabili) saltano ancora più all’occhio.

Turisti? Benvenuti in Italia. Anzi. Perché farla breve e semplice? Ispirandomi al creativo di cui sopra, così magari mi capiscono meglio : benvenuti nel bel paese là dove il sì suona. E cari inglesi, se non è chiaro, oltre al dizionario portatevi appresso anche la Divina Commedia.




Prima pubblicazione : 31 dicembre 2007

giovedì 7 agosto 2014

Gli spot da urlo


Da un po’ una domanda mi assilla: è la calura estiva che scatena i peggiori obbrobri pubblicitari? Credono i creativi che il cervello dei consumatori vada anch’esso in vacanza? È questo l’assunto che li fa sentir liberi di propinarci qualsiasi oscenità commerciale passi loro per la testa?

Per il secondo anno, e stavolta con una classifica più ricca, ecco i piccoli orrori televisivi di stagione.


Quinto posto

La moglie e le altre. Una consorte apprensiva e melodrammatica sorprende il marito in atteggiamento meditabondo. Uditolo pronunciare le fatidiche parole stavo pensando… con artistica pausa ad effetto che lascia adito a un ampio spettro di scelte possibili, si porta la mano aperta al cuore, a rappresentare una fitta da ambasce tumultuose come solo quelle dei patimenti d’amore e immediata replica con voce da tragedia greca: a un’altra donna?

Poco importa che il buonuomo chiosi tranquillizzante che no, non a una specifica ipotetica amante pensava, ma alla categoria muliebre in generale, a milioni di donne, non con mire carnali e adulterine ma solo per l’appagamento dei di loro sensi gastronomici.

Signori pubblicitari, per favore. Un borghese piccolo piccolo la sera al massimo può pensare a che film scegliere senza troppe pubblicità in mezzo, se concedersi il modesto lusso della partita allo stadio domenica prossima o accontentarsi della diretta sul canale a pagamento, se farsi una grappetta o un cognacchino prima di andare a sonoramente dormire.

E signore mogli: non sopravvalutate i vostri uomini. Non sono i Rodolfo Valentino che magari sotto sotto, segretamente, fantasticate che siano. Se vi paiono assorti in trasognate meditazioni, molto probabilmente stanno pensando ai polpacci di Balotelli, non a quelli della signorina Silvani di fantozziana memoria.


Quarto posto

Tra biondi ci si intende. Biondo è Owen Wilson, come l’aperitivo che reclamizza. Parodiando James Bond si strappa di dosso una muta da sub e rivela – oltre a degli abiti impresentabili perfino su un campo da golf californiano – i suoi comici superpoteri presso una piscina ritrovo di nullafacenti.

Apre tappi di bottiglia con un dito, scatena esplosioni di gas rosso e arancio, che investono come getti di iprite (purtroppo non con gli stessi perniciosi effetti) i bighelloni, si sgargarozza nel miglior stile 007 bicchieroni di bibita colorata manco fossero cocktail Martini (shaken, not stirred).

Di questa pubblicità mi intriga immaginare la fase del casting. L’agenzia contatta il biondo attore americano: ci sarebbe da fare uno spot per il crodino. Per cosa?, replica con aria perplessa il nostro. È una bevanda analcolica estiva che piace agli italiani. Ah. Davvero? E perché proprio io? Perché il crodino è biondo, giusto come te. E cosa dovrei fare? L’agente segreto pirla in un consesso di bellone ai bordi di una piscina. Va beh, ho fatto parti peggiori in qualche mio film. Accetto.


Terzo posto

L’idiota al volante. Che in uno sconfinato parcheggio vuoto, dopo un vacuo e ciondolante peregrinare, decide di posteggiare tra le uniche due – mastodontiche – macchine lasciate lì da dei minacciosi brutti ceffi.

Ci deve essere qualcosa di ancestrale che spinge gli uomini a fare branco. Un’amica acuta osservatrice di costumi tempo fa chiosò causticamente un mio parcheggio in aree comuni, quando avevo scelto di fermarmi accanto ad una vettura pur essendoci posti circondati da spazi vuoti. Ma perché voi uomini posteggiate sempre così (sottintendendo: ve ne fregate se poi noi uscendo dobbiamo contorcerci come anguille per evitare tragiche escoriazioni alla sacra vernice dell’amata vettura, alla quale evidentemente voi tenete molto di più che alla salute della nostra schiena)?

Tutto questo per propagandare il modernissimo gadget a disposizione di questa utilitaria: la telecamera posteriore con monitor che mostra il parcheggio quando si è in retromarcia. Ma c’era proprio bisogno di ridurre l’homo sapiens al livello intellettivo del cercopiteco, per vendere qualche macchina in più?


Secondo posto

Inquinamento acustico. Spiegatemi, o copywriters, l’inquietante serie di incongruenze che ho riscontrato nella vostra creazione, ossia:

  1. Cosa ci fanno tre Mariachi su una spiaggia deserta.
  2. Perché l’uomo dello spot non reagisce o dando loro una lauta mancia perché vadano a suonare da un’altra parte, o cacciandoli malamente per aver interrotto l’idillio con l’amata.
  3. Come si spiega che la dolce metà abbia a disposizione un tablet guarda combinazione collegato a internet (si presuppone a costi di roaming stratosferici, vista la location esotica), aperto proprio alla pagina in cui va inserito il codice dell'aromatica e salvifica pasticca protagonista dello spot.
  4. Infine – so che questa è una domanda retorica, ma ciò non mi frena dal porla ugualmente – come si giustifica il loop spazio-temporale che permette alla fortunata fanciulla non solo di vincere seduta stante due cuffie con la sola immissione di un codice desunto dalla scatola dei sullodati dolciumi, ma altresì di averle magicamente e inopinatamente subito a disposizione, come materializzate dal nulla, per preservare gli orecchi con celestiali melodie dai tre assordanti messicani che continuano a fracassare i timpani di cernie e saraghi?


Campione d’estate e primo posto

L’imbecille e il tonno. Tonno perché di tale pesce inscatolato si fa la réclame. Imbecille perché non riesco altrimenti a qualificare un ganimede che, vestito come un pappone marsigliese e come questi fornito di coltellaccio da sbuzzo di rivali nel controllo del meretricio, mentre infuria una tempesta di forza mai vista neppure nei flutti perigliosi del Golfo di Biscaglia, infischiandosene di aiutare i compagni di navigazione che, mal riparati da cerate gialle e bagnati come pulcini, si dannano a sottender funi cercando di salvar la pelle sull’ingovernabile natante, preferisce sbocconcellare pezzetti di tonno estratti in punta di coltello dalla lattina in bella mostra, rischiando nell’ordine:
  • Di conficcarsi, grazie ad una provvidenziale ondata anomala, la lama nel palato molle, con buone probabilità – vista l’inusitata lunghezza dell’arma bianca – di raggiungere il cervelletto e privare di colpo il mondo della sua imbarazzante presenza.
  • Di essere scaraventato fuori bordo con lo spuntino e tutto, e di finire in pasto ai pesci a causa della palandrana zuppa d’acqua che lo trascina fatalmente verso gli abissi.
  • Di sopravvivere indenne alla procella, solo per venir punito alla maniera della Filibusta dai prodi ma indignati argonauti, ignorati nel momento del bisogno a vantaggio dell’inopportuna merenda ittica. 
Naturalmente nessuna di queste fauste ipotesi si avvererà, perché siamo nel regno del buonismo. E dell’imbecillità.