domenica 24 aprile 2011

Happy Easter


Life is too short to wake up with regrets.
Love the people who treat you right.
Forget about the ones who don't.
Believe everything happens for a reason.
If you get a second chance, grab it with both hands.
If it changes your life, let it.
Nobody said life would be easy.
They just promised it would be worth it.

Friends are like balloons.
Once you let them go, you can't get them back.


La vita è troppo breve per svegliarsi con dei rimpianti.
Ama le persone che ti trattano bene.
Dimenticati di quelli che non lo fanno.
Credici: tutto accade per una ragione.
Se ti viene data una seconda possibilità, afferrala a due mani.
E se ti cambia la vita, lascia che lo faccia.
Nessuno ha detto che la vita sarebbe stata facile.
Ti hanno solo promesso che ne sarebbe valsa la pena.

Gli amici sono come i palloncini.
Se te li lasci sfuggire, non li puoi riprendere.

sabato 23 aprile 2011

Merci biodegradabili

La grande, immutabile legge del mercato dice: se un prodotto esiste, ci deve pur essere chi lo compra.

Pur contrario, in linea di principio, alle schedature di qualsiasi tipo, sarei disposto a fare un’eccezione nei confronti degli acquirenti di questa trovata. Non condanno a priori – sebbene non accetterei un invito a cena da parte dell’inventore – chi ha deciso che da qualche parte del mondo ci doveva essere qualche spirito allegro intenzionato ad esibire nel proprio bagno un pezzo di sapone che tutto fa salvo invitare ad afferrarlo per detergercisi le mani.

I veri responsabili di questa ignominia sono, uno per uno, tutti coloro che hanno speso della valuta di corso legale per ottenere cotale merce. E non devono essere nemmeno pochi, se il fabbricante si può permettere un sito internet dedicato. Sarebbe interessante tracciare un generico profilo psicologico del consumatore tipo. Giusto per capire se un domani potremmo essere anche noi – per impreviste e complicate influenze astrali o per una repentina inefficacia del Prozac – a rischio di improvvisamente desiderare questa coprolitica invenzione, di cui oggi non sentiamo affatto la mancanza nella nostra toilette.

Caro (si fa per dire) produttore, permettimi alcune domande.

È di grande pregio e rilevanza il fatto che i pezzi di... sapone siano fatti a mano, al punto da pubblicizzarlo sulla confezione?

Quanto paghi i tuoi operai? Di sicuro non abbastanza, visto che i loro figli a scuola non potranno mai rispondere alla ricorrente domanda, cosa fa tuo papà?

Perché questo prodotto ha per nome una risposta – No... è sapone! – ad una domanda che nessuno dovrebbe essere costretto a porsi, nella vita?

E infine, con quali maghi del marketing ti sei consultato, prima di decidere che questo irresistibile articolo avrebbe venduto di più se lo aromatizzavi... al cappuccino?!?!

Sapone fatto a mano al gusto di cappuccino – e non aggiungo altro : Mai più Senza!!!


Prima pubblicazione : 21 marzo 2010

venerdì 22 aprile 2011

Dog day afternoon

Un pomeriggio di un giorno da cani. Nel senso che i cani – e i loro amici umani – hanno molto da celebrare. Le cose stanno lentamente cambiando in Cina. Fino a qualche anno fa nessuno si meravigliava della tradizione culinaria di mangiare il cane. Né a qualcuno sarebbe passato per la testa di opporsi a tali commerci. In fondo i cinesi sono sempre stati abituati a non ribellarsi. Si comincia sempre da qualcosa di modesto, poi ci si fa la bocca e, parla oggi e vocia domani, si rischia di arrivare a protestare contro le istituzioni. Che non avrebbero apprezzato. Meglio evitare.

Invece. Un camion carico di cani è stato fermato da un’agguerrito manipolo di circa duecento manifestanti. Un audace automobilista ha bloccato l’autocarro chiudendolo con la propria vettura, poi ha dato l’allarme ad altri attivisti per la protezione degli animali, convocandoli sul posto. Col passaparola una folla si è presto radunata sull’autostrada nei dintorni di Pechino, bloccando la circolazione e impedendo di fatto che il carro bestiame continuasse il suo viaggio verso il nord, dove i cani erano destinati ad essere venduti a dei ristoranti. E non per far la guardia.

Dopo quindici ore di confronto a muso duro – e di paralisi del traffico – i difensori degli animali l’hanno avuta vinta. Hanno comprato l’intero carico, salvando i cani dal finire in pentola. Molti di essi avevano ancora collari e medagliette, segno che erano stati rubati ai legittimi proprietari. Sporchi e affamati, sono stati presi in cura del gruppo di amanti delle bestie, che hanno provveduto a ripulirli e offrir loro del cibo.

Due Cine si scontrano oggi. Quella delle consuetudini secolari, che vedono cani e gatti come pietanze, e quella della recentemente scoperta passione per gli animali da compagnia. Nelle edicole si trovano riviste con foto di cani agghindati in copertina. I giornalai hanno capito, e per fortuna non le mettono nel settore dedicato alla gastronomia. Signore, e perfino signori, portano a spasso i loro amici a quattro zampe la mattina presto, in alternativa o come complemento al tai-chi. L’ultima moda, un po’ kitsch ma sintomatica di un’attenzione differente verso le bestiole, è quella di vestire i propri piccoli beniamini con abitini buffi. Vien da pensare che i cani ricoprano la suppletiva funzione di quei secondi figli che il governo non permette ai cittadini medi.

Intanto i cani stanno cambiando ruolo, e soprattutto ambiente, nelle case cinesi. Dalla cucina sono passati al salotto. E – scodinzolando – ringraziano.

giovedì 21 aprile 2011

Affinità

Politicians are like diapers; they need to be changed often and for the same reason.


I politici sono come i pannolini: andrebbero cambiati spesso. E per la stessa ragione.


Mark Twain [1835 – 1910]

domenica 17 aprile 2011

Non aprite quella porta

Quella del taxi di Shanghai che avete incautamente fermato e sul quale vi accingete a fare un viaggio. Presto pregherete che sia breve e soprattutto immune da sinistri, se il tassista cinese appartiene ad uno dei grandi ordini, identificati collettivamente come i quattro cavalieri dell’apocalisse. Perché non vorreste mai averci a che fare, ma un giorno – è destino – vi troverete a dover fare i conti con loro.

Il Nicky Lauda.
Solo apparentemente il più pericoloso. Guida come se dovesse stabilire il record della pista per il gran premio del giorno dopo. Appena vede un tratto rettilineo, affonda il piedone pesante sul gas. Per fortuna sotto il sedere non ha una Mc Laren, ma solo una modestissima Santana spompata, con più chilometri di un Esadelta da museo del camion. Ciononostante è in grado di suscitare emozioni paragonabili a quelle di un giro di pista con un vero pilota di formula uno. Perché dal sedile posteriore di un taxi cinese i novanta all’ora reali si percepiscono come se fossero duecentosettanta, per il livello di rumorosità, vibrazioni e spifferi di portiere che non chiudevano bene nemmeno a chilometri zero, figuriamoci ora. Di solito il Nicky Lauda è giovane, sa spiccicare quattro parole d’inglese e ride di gusto se gli rispondete in cinese. Non bara sui resti e dà addirittura la ricevuta senza bisogno di sollecitarla.

L’Alberto Tomba.
Vive abbarbicato al volante. Il suo piantone dello sterzo si suppone sia uno degli organi meccanici più sollecitati. Infatti viaggia eseguendo continui slalom tra le corsie, evitando millimetricamente collisioni con i mezzi a cui taglia la strada, non curandosi per nulla dell’esistenza di chiunque altro abbia l’ardire di viaggiare sul suo stesso tracciato. Esibisce un ghigno perennemente incazzato. Sembra che ce l’abbia col mondo intero, e talvolta pronuncia oscure minacce dialettali all’indirizzo di certi imbecilli che gli ingombrano la viabilità con la loro inopportuna presenza. Alla fine della corsa grugnisce e spesso tende a dare il resto sbagliato – autoconcedendosi una mancia non meritata. È una della principali ragioni dell’esistenza della categoria successiva.

Il Musicista.
Usa con ammirevole costanza l’unico strumento musicale in dotazione alla vettura: il clacson. Non occorre che si trovi in presenza del succitato Alberto Tomba, per esercitare la sua specialità. L’autentico tassista musicista suona a prescindere. Ogni tre o quattro secondi un colpetto di avvertimento. Impegnando un incrocio, doppia nota. Un pedone minaccia di attraversare? Suonata. Non succede assolutamente nulla e non c’è un veicolo in vista per trecento metri? Non importa. La tromba c’è, usiamola. Una volta (giuro, potessi morire!) mi è capitato uno che ha acceso la macchina e prima ancora di ingranare la marcia ha dato un colpo di clacson. In un cortile. Deserto. Quando si dice: la forza dell’abitudine.

Lo Xamamina.
Si può dire che guidi come i piloti di formula uno, ma per una peculiarità: un piede sull’acceleratore e uno sul freno. Contemporaneamente. Con un sapiente e sadico dosaggio dei due gesti, provoca nausee e moti di vomito perfino in vecchi lupi di mare adusi a tempeste tropicali e doppiature invernali di Capi Horn. Pochi passeggeri sono in grado di uscire indenni dal sedile posteriore di un taxi guidato da un rappresentante di tale categoria. Il fenomeno si accentua a tarda sera, dopo le abbondanti libagioni e le scriteriate bevute di distillati ad alta gradazione. Questo spiega le variopinte strisce di colore che rallegrano le portiere di certi taxi, la mattina presto. Requisito essenziale dello Xamamina è di non essere superstizioso. Perché se credesse alla forza delle maledizioni, a giudicare da tutte le disgrazie che gli vengono augurate dai passeggeri in una giornata media di lavoro, avrebbe vita piuttosto breve.

sabato 16 aprile 2011

Riposo a mano armata

La crisi creditizia planetaria è stata lo spauracchio di milioni di risparmiatori angosciati per i sudati, minacciati gruzzoli. Di qua e di là dall’oceano parecchie banche hanno rischiato di fallire, quando non sono andate davvero a gambe levate. Oggi, con gli interessi azzerati, la gente paga letteralmente gli istituti di credito per dar loro i propri soldi.

Mi è capitato di sentire qualcuno far affermazioni apodittiche: meglio nel materasso o sotto la mattonella. Signori, per favore, aggiorniamoci: oggi la tecnologia viene incontro agli scettici che si fidano solo di se stessi. Né sotto la mattonella, né cuciti dentro al materasso. Una via di mezzo: sotto al materasso.

Questa volta, non dal Giappone, usuale fucina di invenzioni bizzarre, ma dagli Stati Uniti, ecco a voi il Bed Bunker. Una bella cassaforte da seicentocinquanta chili, ignifuga, multiserratura e antiscasso, disponibile in varie misure, tutte adattabili al vostro giaciglio. Sostituite la rete ortopedica a doghe di larice finlandese con questo imperdibile pezzo d’arredo. E dormirete finalmente sonni tranquilli. Soprattutto se, invece di zepparla soltanto con contanti o titoli, gioielli di famiglia o qualche orologio di pregio ereditato da un vecchio zio collezionista, seguirete il consiglio del promo originale americano, dove vi si informa che il capace caveau può ospitare fino a 32 fucili o 70 rivoltelle (forse la dotazione media di armi da fuoco di una famigliola texana?).

E se poi, prosegue il faceto inserto pubblicitario, doveste mai avere un incidente con uno dei vostri schioppi, potete sempre usare il Bed Bunker come originalissima bara!

Che altro si può aggiungere? Hanno già detto tutto loro. Bed Bunker: Mai più Senza!


Prima pubblicazione : 14 marzo 2010

giovedì 14 aprile 2011

La scuola peripatetica

Terra di valori antichi che rischiano di perdersi, la Cina reagisce alle conseguenze delle sue rigide scelte demografiche.

La politica del figlio unico è la principale concausa del pessimo atteggiamento di molti adolescenti cinesi. Trattati come principini, esentati da qualsiasi fatica manuale, straviziati da genitori e nonni, serviti e riveriti, molti approfittano di questa situazione diseducativa e deludono le sole aspettative che i genitori ripongono in loro, mostrando zero interesse per lo studio, racimolando voti scadenti e talvolta scappando da casa o facendo le ore piccole in giro con gang di coetanei parimenti sbandati.

Hanno un solo ideale in testa. Altro che cultura, senso del dovere o modelli classici come farsi una posizione e una famiglia. Diventare ricchi, in fretta, e faticando poco. Tutto è loro dovuto, ed al primo ostacolo scoppiano i drammi, le ribellioni anche violente e le fughe da casa. Inconcepibile, nella Cina di una generazione fa. Genitori costernati, che si domandano ingenuamente in cosa hanno sbagliato. Dicendo che cercavano solo di dare ai figli una vita migliore di quella che hanno avuto loro, senza capire che i beni materiali da soli, senza una guida morale, senza un legame tra applicazione e ricompensa, stavano scavando la tomba della relazione familiare.

Xu Xiang Yang viene loro in soccorso, con un’idea semplice ma efficace che concepisce qualche anno fa, vedendo i figli di amici consumati in un vortice di infingardia e prepotenza.

Non è di certo il metodo Montessori. Ma funziona, con questi giovani ribelli che hanno perso il senso della famiglia (ammesso che ce l’abbiano mai avuto) e sono in rotta con i genitori. Una scuola peripatetica, della durata di un anno. Itinerante nel vero senso del termine, sposta i propri studenti indisciplinati da un luogo all’altro della Cina. A piedi. Marce fino a quaranta chilometri per volta. Arrivati a destino, ci si accampa come i militari. E come le truppe, tutti gli allievi (maschi e femmine) vestono tute mimetiche, per meglio ricordare che la disciplina è ferrea e non si sfugge alle punizioni.

Lo scopo delle marce è triplice, dice il maestro Xu: culturale, formativo del carattere, proficuo per il fisico. Si visitano luoghi che hanno fatto la storia della Cina. Si marcia nella neve, sotto la pioggia, con quaranta gradi e il sole che cuoce il cranio. Alla fine del tragitto gli allievi avranno percorso più di mille chilometri a piedi. Avranno portato a termine la loro personale grande marcia di maoista memoria per ritrovare – o scoprire – il proprio ruolo in famiglia.

L’obiettivo dichiarato (e raggiunto): forgiare il carattere attraverso le avversità. Sconfiggere, uno per uno, i nemici che si sono impossessati di menti immature e viziate: l’indisciplina, la pigrizia, l’egoismo, il sottrarsi alle responsabilità, che portano questi giovani ad essere dei codardi, dei fuggitivi, degli irresponsabili, dei subdoli piccoli manigoldi.

Si insegnano le faccende domestiche più elementari: rigovernare piatti e ciotole in cui si mangia, lavare a mano i vestiti in un catino d’acqua fredda, ripiegare ammodo le tute, fare il cubo col letto come a naia. Cose mai apprese a casa, dove tutto era dovuto a intoccabili reginette e scioperati tirannelli. Xu racconta con incredulità di aver visto genitori inginocchiarsi di fronte ai figli, altri chiamarli con appellativi di rispetto una volta dovuti ai dignitari di corte imperiale.

Gli studenti ricevono la posta a date fisse. Le visite dei parenti sono sconsigliate, sia per non interferire con il programma del corso sia per la sua natura girovaga che porta i ragazzi molto lontano dalle mura domestiche. La famiglia, che prima era disprezzata, viene improvvisamente rivalutata e agognata.

Disciplina e amore severo (bellissima definizione del maestro Xu) compiono il miracolo. Quei piccoli ribelli egoisti, dopo un anno di fatica fisica che quelle indolenti membra non avevano mai provato, sono pronti a rientrare in famiglia con una visione totalmente differente. Ragazzi che odiavano o volevano fuggire dai genitori scoprono giorno dopo giorno quanto hanno sbagliato, e quanta nostalgia provano per la tanto vituperata mamma. Spesso piangono al telefono, invocandola.

Ma Xu sa che i ragazzi sono solo la metà del problema. L’altra metà sono i genitori, che devono cambiare atteggiamento. Xu spiega loro che non è riempiendo i figli di falso benessere che si forma il giusto carattere, rendendolo pronto alle sfide della vita. Meno elargizioni di beni materiali, più comprensione e partecipazione. Le cose sono cambiate, insegna ai genitori con la tendenza a dire ai miei tempi. All’epoca non c’era la legge dell’unico erede, la pressione sui figli era distribuita tra vari fratelli e sorelle. Oggi il sogno di ogni genitore è che il suo solo rampollo eccella nella vita. La ricetta, purtroppo sbagliata, è: insistere a tutti i costi per farli studiare e, nell’illusoria speranza di non distrarli dal loro unico dovere, sollevarli da qualsiasi altra preoccupazione o responsabilità terrena, nel contempo riempiendoli di vizi e regali immeritati.

Per fortuna c’è il maestro Xu, con il suo senso del dovere verso le famiglie che a lui affidano dei figli da recuperare, e il suo amore severo che cura le malattie immaginarie di uno sbandato esercito infantile. Umano e comprensivo quando i piccoli allievi non fingono, inflessibile quando sa che cercano di approfittarsene. Sono gli stessi ragazzi a dire che è un giusto. Se vengono puniti – con ulteriori giri di corsa dopo le sfiancanti marce – è perché se lo sono meritato. Al termine dell’anno di camminate la ricompensa più bella per Xu è l’abbraccio di quei ragazzi alle madri che sono venute a riprenderseli. Dietro quella scorza dura, severa, militaresca, si intravede la soddisfazione di un uomo con una missione. I suoi occhi brillano mentre si congeda dai suoi ragazzetti redenti. Alcuni gli promettono lettere dove racconteranno dei loro progressi a scuola. Altri lo baciano timidamente sulla guancia. Xu sorride a tutti e li carezza paternamente sul capo rasato. Missione compiuta.

Prima pubblicazione : 25 febbraio 2009

mercoledì 13 aprile 2011

Vicious killer

Pagina di pubblicità su una rivista australiana. Che magnifico ossimoro! Nulla di più stridente, come il contrasto tra le due parole, scritte in viola e nero, malvagio assassino, e l’immagine sottostante del tenero, dolce orsacchiotto di pezza, che evoca solo serene immagini di fanciulli che lo abbracciano e se ne baloccano.

L’assassino, talvolta artigianalmente imbottito di semi, paglia o altri cascami dell’agricoltura, potrebbe portare dall’estero, dove incauti turisti lo hanno comprato, malattie, germi o malanni letali all’ambiente, all’industria agricola e perfino alla salute umana. Così, un apparentemente innocuo ed innocente regalo, ospitando killer nascosti, si trasforma in potenziale assassino.

Dichiarazione e quarantena sono obbligatori per tali prodotti. L’importazione di qualsiasi genere di cibo crudo è vietata. Quando si arriva in aeroporto, anche il panetto del burro da dieci grammi inutilmente fregato in aereo va gettato nei bidoni dei rifiuti. Ogni bagaglio viene passato ai raggi ics prima di mettere piede in Australia. Basta un paio di scarpe da ginnastica in valigia per fare scattare il controllo visivo, mai ci fosse della terra attaccata alle suole. Cani appositamente addestrati annusano tutti i colli alla ricerca non di droga ma di frutta, verdura, fiori, legno, sementi. Non si scherza con la salute pubblica. Per chi fa il furbo a tutti i costi, ignorando i mille avvisi, infischiandosene dei cestini di cui sono pieni gli aeroporti, con tanto di cartello dove la mela, l’arancia, il salame, il pezzo di formaggio ti ammiccano e ti ricordano, io vado qui, c’è la multa, salatissima. O la prigione. O entrambi. Gente seria, gli australiani.

Prima pubblicazione : 23 agosto 2007

martedì 12 aprile 2011

Memento mori

Lo scatto ricorda Pompei e i suoi morti calcinati dal Vesuvio. All’autore Zou Sen è valso il premio di foto dell’anno, nel quinto Concorso Internazionale di Fotografia, conclusosi ieri a Shanghai.

Un gruppo di soccorritori raggiunge troppo tardi una madre irrigidita in un ultimo, vano e disperato gesto di protezione verso la propria creatura. Entrambi sepolti, a fine agosto 2008, da un terremoto meno disastroso, ma pur sempre mortale, nel già sconquassato Sichuan.

C’è rispetto e pietà nelle mani guantate degli uomini, che scavano caute tutto intorno ai due corpi. Il lavorare prudente, in punta di dita, rivela il timore di poter ulteriormente offendere quelle povere salme fuse nella polvere color mattone.

Cento, mille volte quei valorosi avranno disseppellito la morte. Ogni volta con la speranza che invece la vita vincesse. Questa volta ha perso.


Prima pubblicazione : 26 marzo 2009

lunedì 11 aprile 2011

Honesty Box

La cassetta dell’onestà. Così sta scritto su una scatoletta provvista di fessura per le monetine, in un parco vicino a Brisbane, dove vivono quasi al naturale koala e canguri.

Cassetta che invita, con discrezione e facendo leva solo sul sentimento dell’onestà di ciascuno, a versare il modesto obolo di venti centesimi – diciamo trecento delle vecchie lire – in cambio di un sacchettino di carta pieno di mangime per i canguri.

Ce n’è un cartone pieno vicino al barattolo dei soldi e nessuno, lì, che possa controllare. Ognuno è libero di essere onesto, o meno. E per un prezzo irrisorio.

Prima pubblicazione : 17 luglio 2007

domenica 10 aprile 2011

Nanny state

Lo Stato tata. Attento e onnipresente come si addice ad una bambinaia rigorosa ed ammonente. No, questo non si fa, non sta bene. Cammina ben dritto. Stai seduto compostamente. Finisci quello che hai nel piatto. A che punto sei con i compiti?

Non siamo ancora arrivati a questo livello di ingerenza. Ma non siamo così lontani. Serie di adesivi sul pavimento davanti a una scala mobile. Tieni la mano di mamma e papà. E fin qui, siamo nei limiti della decenza. Insegniamo ai bambini a non farsi del male. Agli adulti: reggetevi al mancorrente. Che schifo, tutto umidiccio, chissà chi lo ha toccato. Ma la tata è in agguato: state sui piedi blu. Piedi blu? Quali piedi blu? Ah, ecco. Per far capire alla gente che non deve stare in mezzo allo scalino, che impiccia e ruba spazio agli altri, hanno verniciato due paia di orme blu su ogni gradino. Mi raccomando, piedi ben al loro posto.

Nanny State. Ovvero Singapore. Dove altro, più di così?

sabato 9 aprile 2011

Lotte titaniche

In Australia sta per scatenarsi una battaglia tra potenti. Da una parte l’ente governativo che si occupa della salute pubblica. Dall’altra le multinazionali del tabacco. Oggetto del contendere, la proposta lanciata di recente per rendere meno attraente (siamo ai limiti dell’eufemismo) l’aspetto dei pacchetti di sigarette.

Da molto tempo, ed in svariate misure, in altre nazioni i produttori di sigarette devono stampare sui contenitori moniti ed avvisi, la cui efficacia tende a svanire con l’abitudine. Fumare uccide. Sì, va beh, di qualcosa bisogna pur morire. Il fumo fa male alla salute. Fatti i fatti tuoi. Il fumo passivo nuoce a chi ti è vicino. Chi se ne frega, sono un egoista. E via discorrendo.

Ma il provvedimento che – salvo sterzate dell’ultima ora – diverrà legge, è davvero rivoluzionario. E proprio per questo ha suscitato le ire di chi dal fumo ha tratto proventi miliardari. I pacchetti – indipendentemente dalla marca – dovranno essere tutti dello stesso colore. Un orrendo verde marcio, scelto apposta in quanto colore meno gradito dall’occhio dei consumatori. La gran parte della facciata sarà occupata da immagini che solo un patologo con dei problemi psicologici può trovare attraenti. Denti marci, occhi ciechi, bambini ospedalizzati e magari frattaglie assortite sciupate e incancrenite dai veleni del fumo. Infine, lo spazio per il nome della sigaretta: niente più loghi con le consuete forme e colori a cui la gente è abituata, ma collocazione, carattere e tinta unici per tutte le marche.

Proprio quest’ultima bordata, un vero attentato all’immagine conquistata a suon di carissime campagne pubblicitarie planetarie, ha suscitato il grido di dolore e di ribellione di più di un avvelenatore in guanti bianchi. Sono stati subito tirati in ballo la minaccia alla proprietà intellettuale, la mancanza di rispetto nei confronti dei marchi registrati, l’iniquità dell’appiattimento di tutti i più famigerati nomi del fumo con un anonimo, neutrale, omogeneo carattere universale. Insomma, come ha dichiarato con molto senso pratico un produttore, una confezione del genere metterebbe in crisi le vendite.

Certo: è esattamente l’obiettivo dei governanti australiani. Che si preoccupano sia del benessere fisico della loro gente, sia del bilancio economico nazionale. Su una popolazione di appena una ventina di milioni di persone, ben 15.000 muoiono ogni anno per malattie derivanti dal vizio del fumo. E il tabacco costa alla collettività, tra assistenza ospedaliera e perdita di produttività, la bella cifra annuale di circa ventitré miliardi di euro (avete letto bene, 23 miliardi!).

E allora ben vengano i pacchetti disgustosi. Se servono a convincere qualche giovane a non cominciare, o qualche fumatore a ridurre o smettere del tutto, ecco una legge che andrebbe non solo encomiata, ma anche esportata verso altre nazioni di ciminiere fumanti. Come sempre, gli australiani si distinguono per la loro civiltà. Perfino i governanti. E scusate se è poco.

Ozii di Capua

Pigroni del weekend televisivo. Tifosi e fissati di calcio in attesa dell’orgia di partite della Coppa del Mondo. Pantofolai professionisti, che vi muovete dal divano solo se costretti da improcrastinabili necessità corporali, e che avete già contemplato come ipotesi non strampalata il dotarvi di un pappagallo per ridurre al minimo il rischio di dover abbandonare la poltrona prediletta mentre la vostra squadra del cuore sta arrivando in area di rigore.

Se siete soliti condividere questi riti dionisiaci con vostri sodali di altrettanto pesanti terga, che impediscano loro qualsiasi spostamento una volta collocate le stesse sul sofà e sintonizzato il canale della partita, allora questo è l’indispensabile accessorio che completerà il consueto piacere pallonaro.

Perché costringere qualcuno di voi ad abbandonare la postazione per recarsi fino al frigo in cucina e procurare alla combriccola un bel cartone di birre gelate? Le mogli, si sa, non sono più quelle di una volta, e non riconoscono, tra i loro doveri, quello di servire – a semplice richiesta vocale – bevande e magari sfiziosi tramezzini al marito e i suoi amici, convenuti lì per assistere, tra allegri schiamazzi e qualche occasionale rutto recensorio all’indirizzo dell’arbitro, all’importante match di campionato atteso per tutta la settimana.

Ciò acclarato, la generosa tecnologia viene incontro agli uomini in affanno da calcio di punizione. Con il secchiello telecomandato, ecco arrivare – senza schiodare una natica dal canapè – fino a dodici birre immerse nel ghiaccio. Ozii capuani, che nemmeno nei villaggi turistici. Funziona a batterie ed ha un raggio di azione di ben quindici metri, più che sufficienti se non abitate a Palazzo Pitti. Se così fosse, disporreste di domestici a sufficienza da non aver bisogno del solerte robottino.

Finalmente qualche spirito sagace ha pensato a coniugare in un solo manufatto il piacere e la ricreazione del maschio medio. Procurarsi una birra alla giusta temperatura e giocare con un modellino radiocomandato come un bambino di otto anni. Suscitando nel contempo l’invidia e l’ammirazione degli amici convitati. Solo col Remote Controlled Beverage Cooler. Signori maschietti, prendete nota. Alla domenica, Mai più Senza.


Prima pubblicazione : 7 marzo 2010

venerdì 8 aprile 2011

In morte di un cigno

Anche nella civile Australia accadono fatti ignobili. Un branco di teppistelli da strada, tra cui tre ragazzine, ha preso a sassate una femmina di cigno nero in un parco di Melbourne. Per proteggere le uova che stava covando, la generosa bestia non è fuggita ed è stata colpita in testa da una pietra. Pochi minuti dopo, nonostante il sollecito intervento di qualche animo pietoso, il cigno è morto.

I giovani bastardi sono scappati. La polizia sta esaminando le telecamere a circuito chiuso del parco, nella speranza di individuarne le fattezze. Un ispettore ha dichiarato, ci auguriamo che si rendano conto di ciò che hanno fatto e che si palesino. Ma da vigliacchi quali sono io ci credo poco. Sarà meglio che i gendarmi si diano da fare. E che questi farabutti in erba vengano trovati ed esposti alla pubblica vergogna.

I bambini e le mamme del parco aspettavano con ansia la schiusa delle uova, per vedere i cignotti sguazzare nel laghetto insieme a mamma e papà cigno. Una madre addolorata ha deposto un piccolo mazzo di fiori con un messaggio: grazie, mamma cigno, per la gioia che ci hai donato. Quelle crudeli canaglie che l’hanno ammazzata non l’avranno del tutto vinta. I cigni fanno parte degli animali monogami, che creano legami di coppia a vita. Il maschio, privato della propria metà, ne ha preso il posto. Non mangia quasi più, non nuota nella laguna. Non abbandona un minuto il nido, per covare, per portare a termine quello che la sua femmina non ha potuto fare. Il meraviglioso istinto animale gli indica la strada, quelle uova sono la continuazione della sua specie.


Ah, se solo gli uomini avessero la stessa nobiltà d’animo degli animali. Sarebbe un mondo migliore.

giovedì 7 aprile 2011

G’day mate

Meno male che ci sono gli australiani che provvedono, con il loro impareggiabile stile di vita e humour, ad offrirci un lampo di allegria in questa valle di lacrime piena di tragedie e scelleratezze quasi quotidiane.

Ad Alice Springs, ridente cittadina di venticinquemila anime, spersa nel cuore del deserto australiano, distante circa mille e cinquecento chilometri dalla prima città degna di tale nome (Adelaide a sud, Darwin a nord), il guidatore di una vettura si è visto appioppare una multa di quasi cinquecento euro per avere leggermente sbagliato a manifestare le sue priorità nella vita.

Il poliziotto Wayne Burnett si è dichiarato sbalordito e scandalizzato quando ha fermato una macchina con – apparentemente – quattro adulti a bordo. Tra i due seduti sui sedili posteriori faceva bella mostra di sé una scatola con trenta lattine di birra. Amorosamente assicurata dalla cintura di sicurezza ventrale solitamente riservata al quinto passeggero. Sul pavimento dell’automobile, seduto sulla gobba centrale sotto la quale passa l’albero di trasmissione, un bambino giocava sereno e libero da ogni fastidioso vincolo.

Oltre a questo, il proprietario non aveva assicurato l’auto. Né l’aveva registrata. Ma queste sono quisquilie, nell’outback australiano. Quello che trovo fantastico è a chi ha deciso di attribuire l’ultimo posto sicuro. Immagino la scena. Apri il bagagliaio. Perché? Così ci mettiamo la cassa di birra. Sei scemo? Con le buche che ci sono, chissà in che stato arriva. Corriamo il rischio che ce ne scoppi qualcuna per strada. No no, niente da fare. Le birre le mettiamo in macchina. E dove, che siamo in cinque? Ma in mezzo a voi due, che diamine! Come in mezzo? E little John? Il piccolo John lo mettiamo a cavalcioni del tunnel del mozzo, che si diverte pure e intanto si allena alla gara di doma dei cavalli. E mi raccomando, la birra legala bene con la cintura di sicurezza, che se si danneggia una sola lattina me la paghi cara questa!

Poi, sul più bello, ecco quel ficcanaso di poliziotto con la paletta di fuori. Il guidatore accosta, si affaccia al finestrino e, lontano mille miglia dal pensiero di aver fatto alcunchè di sbagliato, con aria serafica fa: g’day mate...

Prima pubblicazione : 18 maggio 2008

mercoledì 6 aprile 2011

Il silenzio degli innocenti

L'Aquila. Sono passati due anni. Tanti i drammi privati: immagini di dolore, sconcerto e disperazione. Non dimentichiamo.

Il silenzio degli innocenti

Quando le parole mancano.

E il cuore fa male.

Prima pubblicazione : 9 aprile 2009

Non siamo soli

Abbiamo sempre sentito citare la nomea dei turisti italiani all’estero (e talvolta verificato, ahimè, di persona la veridicità di tale fama). Tutti intenti a lodare la propria cucina regionale e a lamentarsi in continuazione dei cibi locali e a sbavare scambiandosi ricette venete e calabresi. Sempre alla ricerca del posticino dove servono spaghetti e chianti nel fiasco, ed alla fine perfino il caffè. Tali informazioni, una volta acquisite, vengono tramandate sottovoce, con fare carbonaro, mai la guida dovesse origliare e costringerli ancora una volta a mangiare con i bastoncini degli oggetti non identificabili che i locali amano spacciare per alimenti. Ovviamente alla visita al ristorante supposto italiano segue la rituale querimonia che inizia invariabilmente con la frase: eeeh, certo che come si mangia in Italia… Candidamente sconcertati per il misterioso fatto che la popolazione autoctona non solo parla idiomi gutturali e incomprensibili, ma – evento ancora più grave – si ostina a non comprendere una parola di italiano, rendendo impossibile qualsiasi comunicazione che vada al di là della trattativa commerciale per acquistare una maglia palesemente falsa o per negoziare l’ingresso al tempio o al museo esibendo improbabili tesserini ministeriali per ottenere sconti e favori vari (come saltare la coda, specialità nella quale gli italiani contendono ai cinesi il primato mondiale).

Sentite questa: siamo in buona compagnia. Quei burloni degli australiani hanno colpito di nuovo, prendendo di mira i loro parenti alla lontana, i Pommies, come li chiamano loro con un nomignolo non esattamente politicamente corretto. Gli inglesi non sono mai stati nella top ten delle simpatie nella terra dei canguri. Se trovate in qualche cineteca Gallipoli, un raro film con Mel Gibson, capirete perché. Storia della prima guerra mondiale, quando il contingente australiano fu sacrificato dagli inglesi contro i Turchi. Parafrasando: dagli alleati mi guardi Dio, che dai nemici mi guardo io. Oppure Ned Kelly, storia del bandito australiano più famoso dell’ottocento. Una specie di Robin Hood della prateria, difensore dei coloni australiani dalla prepotenza dei gendarmi inglesi, che si facevano la legge a loro comodo, nella colonia così lontana dalla corte della regina Vittoria.

Una risata vi seppellirà. Gli australiani sono tipi accomodanti, quando viaggiano. Abituati ad essere distanti da tutto, se fanno un tour stanno via un mese. O tre. O sei, girandosi mezza Europa o tutta l’America come dei nomadi. Magari ogni tanto si lamentano anche loro. Ma in generale sanno prendere la vita con humour, battendo in questo caso quelli che iconograficamente dovrebbero essere i maestri. Lo humour inglese non si applica, evidentemente, a certi turisti, le cui lamentele sono state – immagino fra grasse risate – raccolte e catalogate da un consesso di mattacchioni che di mestiere fanno gli albergatori in Australia.

Un turista britannico ha fatto un pandemonio al ristorante di un albergo, lamentandosi che la sua minestra era troppo spessa e forte di sapore. Gli è stato spiegato che stava sorbendosi l’intingolo dalla salsiera.

Un altro ha dichiarato che le sue vacanze erano state rovinate da spiagge “troppo sabbiose”. E poi nessuno lo aveva avvertito che il mare fosse pieno di pesci. I suoi figli si erano spaventati per tale inverosimile spettacolo.

Una moglie infuriata ha richiesto che venga proibito prendere il sole in topless, affermando che il marito trascorreva la giornata rimirando le altre donne.

Ed ecco un piccolo campionario di rimostranze. Una lode alla professionalità degli impiegati che le hanno registrate e sono riusciti a non scoppiare a ridere in faccia ai clienti, ascoltandole.

Abbiamo comprato dei Ray-Ban per 5 Euro da un venditore di strada, e poi abbiamo scoperto che sono falsi.

Ci sono troppi spagnoli. L’impiegata al banco parla spagnolo. Il cibo è spagnolo. Troppi stranieri.

Sono stato pinzato da una zanzara. Nessuno mi aveva avvisato che pinzassero.

Nel vostro catalogo dovrebbe essere precisato che il negozietto locale non vende biscotti ammodo, come i custard creams o i ginger nuts [tipici biscotti inglesi].

Abbiamo prenotato un’escursione ad un parco acquatico, ma nessuno ci ha detto di portare il costume ed un asciugamano.

La sabbia non è come quella nelle foto del catalogo. Lì sembrava gialla, ma in realtà è bianca.

Abbiamo dovuto fare la coda fuori, senza aria condizionata.

La brochure del villaggio dice “niente parrucchiere nel complesso”. Noi siamo apprendiste parrucchiere: possiamo prenotare lo stesso da voi?

Ed infine il capolavoro. Una turista inglese, tornata in patria, ha scritto questa perla di lamentela all’hotel che l’aveva ospitata: il mio fidanzato ed io avevamo prenotato una stanza con due letti singoli, ma ci è stata assegnata una stanza con un letto matrimoniale. Vi considero responsabili del fatto che adesso mi ritrovo incinta.

Turisti inglesi: per favore, continuate a viaggiare. State facendo una seria concorrenza a quelli italiani. E poi ridere fa bene alla salute.

Prima pubblicazione : 14 aprile 2009

martedì 5 aprile 2011

Fortuna da cani

In mezzo alle mille preoccupanti e incerte notizie sulla reale situazione delle radiazioni nucleari in Giappone, ancora più inquietanti in quanto ogni giorno si assiste ad un balletto di informazioni di tono e atteggiamento spesso contrastanti tra due edizioni successive dei notiziari, finalmente una storia a lieto fine, per dare un po’ di speranza all’umanità.

Una cagna è stata scoperta in mare, sul tetto di una casa spazzata via dallo tsunami dell’undici marzo, e salvata. Dopo tre settimane, la bestiola era comprensibilmente stressata: affamata, a circa due chilometri dalla costa, in un mare di detriti trasportati al largo dall’ondata assassina. E non ha particolarmente collaborato al suo recupero, spaventata dal turbinio delle pale del salvifico elicottero che l’aveva individuata. È occorsa una barca con tre volontari per potere approcciare l’animale e portarlo infine a bordo.

Non recando il collare alcun dettaglio del suo proprietario, la cagnetta bruna di un paio di anni è stata mostrata in tivù, la sua foto è finita sui giornali, nella speranza che qualcuno la identificasse. Una sorpresa dopo l’altra: la padrona – sfollata come altre migliaia di giapponesi – l’ha riconosciuta. Ed oggi la cagna e la sua proprietaria sono state ricongiunte. Ho capito subito che era lei, ha dichiarato. Anche nella desolazione del dopo terremoto, anche da un essenziale centro di accoglienza, anche se i beni materiali sono stati portati via dalla furia della natura, il cuore di chi ama una bestiola non smette di battere per lei. L’anonima padrona ha potuto riabbracciare l’anonima cagnetta. Bello.

lunedì 4 aprile 2011

Ricordo di Ettore

Sono passati sette anni da quella domenica delle Palme del 2004, quando don Ettore Rollè se ne è andato. Per scelta e non per caso. Smorzato dal tempo il dolore, ma non il rimpianto, oggi ti voglio ricordare con il racconto che ti avevo dedicato appena saputo della tua scomparsa. Requiescat in pace.

Coraggio estremo

Un sacerdote che si ammazza. La Chiesa sotto choc. Ma non un prete qualsiasi. Originale fino in fondo. Don Ettore, te ne vai da protagonista. Una pagina intera sulla Stampa e su Repubblica, a parlare di te, di un gesto tanto più inaspettato proprio perché compiuto da un prete.

Sei passato nella mia vita, brevemente ma intensamente. Un prete singolare. Ti ricordo, ed ero poco più che ventenne, insegnante di religione a scuola. Eri giovane, ordinato da pochi anni. Davi del tu a tutti, indistintamente. Avevi un sorriso per ognuno. Ricordo le tue risate contagiose, i tuoi occhi allegri. Eri talmente strano e inconsueto da rendere naturale lo sceglierti per celebrare il mio matrimonio. Eri sempre pronto a sdrammatizzare, a offrire un sorriso agli altri.

Di tanti momenti, un ricordo su tutti. Durante una chiacchierata che avevi scelto di fare con noi nubendi, al posto dei soliti ufficiali ma tediosi corsi per fidanzati, ci stavi spiegando come si sarebbe svolta la cerimonia. E con finta solennità recitavi le formule del rito: … prendi la qui presente come tua sposa, e prometti di amarla, onorarla ed esserle fedele fino alla prima occasione … Serio. Geniale. Aspettavi una reazione. E allora. La nostra risata, spontanea, da dentro, quasi fino alle lacrime.

Tu eri così, Ettore. Ecco perché eri speciale. Perché sapevi fare – e bene – il tuo mestiere di prete e di insegnante. Eri orgoglioso della tua duplice missione. Ma non dimenticavi mai di regalare una risata, la miglior cura per il corpo e per l’anima.

Oggi, passati tanti anni da quei ricordi ancora vivi dentro di me, ho letto sul giornale che il diabete ti aveva minato, e che hai scelto di andartene senza aspettare che la malattia ti portasse via. Con grande choc e dolore della Chiesa, che non ammette il suicidio, e men che meno di un prete. Ma con un dolore infinitamente più grande, in chi ti ha conosciuto, apprezzato, stimato ed amato.

La tua ultima provocazione, il tuo gesto di coraggio estremo, stanno a testimonianza di quanto fossi differente. Di quanto fossi speciale. Mi mancherai. Addio, Ettore.

Prima pubblicazione : 4 aprile 2008

domenica 3 aprile 2011

Il pinguino nudo

Accade a Singapore. Nel grande parco aviario, il Jurong Bird Park, Belle, un pinguino di Humboldt della colonia di un centinaio di esemplari, ha perso le penne. Tutti i pinguini fanno una muta annuale del piumaggio, ma a Belle stavolta non sono ricresciute. Squilibrio ormonale o stress, i veterinari stanno studiando il caso. Intanto i suoi simili hanno reagito nell’unica maniera che l’istinto di sopravvivenza insegna loro: becchettando Belle e cercando di cacciarla dal gruppo. In natura un esemplare ammalato è un richiamo per i predatori ed una minaccia per la comunità.

Così gli uomini sono corsi ai ripari. Prima hanno separato Belle dagli altri pinguini. Poi si trattava di proteggere dal freddo il suo corpo nudo. Così, con fantasia e spirito di iniziativa, hanno tagliato una gamba di una muta da sub e ne hanno fatto un provvisorio indumento per Belle. Infine hanno telefonato ad un negozio specializzato nel confezionamento di mute su misura. Credevamo fosse uno scherzo, ha dichiarato il titolare, quando abbiamo sentito che era per un pinguino. Presto Belle avrà un bel guardaroba di tre vestitini, uno blu, uno nero e uno giallo, per poter sguazzare allegramente nella sua piscina senza disperdere calore ed energia, che le servirà per la ricrescita del piumaggio, processo stimato dai veterinari in circa sei mesi.

È solo un piccolo episodio. Ma non insignificante. Ci sono umani che si prodigano per la salvezza ed il benessere anche di un solo esemplare da loro accudito. C’è speranza per il mondo. A Singapore.

Orgoglio indiano

La democrazia più grande della Terra ha vinto. Campioni del Mondo. Di che cosa, si chiederà chi non ha letto i miei recentissimi racconti. Ieri nello stadio Wankhede di Mumbai l’India ha battuto lo Sri Lanka nella finale del torneo più importante disputato tra le ex colonie del passato impero britannico: il Campionato Mondiale di Cricket. Con un percorso quasi perfetto, battendo l’Australia ai quarti ed il Pakistan in semifinale, l’India si è presentata all’appuntamento con la storia pronta a cogliere l’occasione, perfino favorita dal fattore campo. E non l’ha mancata.

Sachin Tendulkar, icona del cricket indiano e miglior battitore in attività, si congeda a 37 anni con il titolo più ambito: campione del mondo. L’orgoglio nazionale è alle stelle. Un miliardo di indiani oggi sta festeggiando, dimenticando per un giorno l’assurda forbice tra poveri e ricchi, le tensioni interreligiose, le immutabili separazioni tra le caste, i palazzi fiabeschi da un miliardo di dollari e le catapecchie di cartone e lamiera. Da domani si torna alla normalità dell’anormalità.

sabato 2 aprile 2011

IncrEdibile... ma vero

C’è un luogo ed un tempo, nella nostra cultura, per apprezzare un cibo dal sapore indimenticabile. Il piacere del convito. L’attenta, amorosa preparazione. La presentazione in tavola, il profumo che inonda la sala, promuove l’acquolina e fa bramare la vivanda.

Ecco la grande differenza. A quanto pare nella cultura americana del bite and run, mordi e fuggi, non è così. E allora capita che uno possa essere scorto passeggiare per strada reggendo tra le mani qualcosa che assomiglia ad un tubo di silicone per sigillare docce ed infissi del bagno. Mentre invece si tratta, orrore e raccapriccio, di una porzione di maccheroni (che poi sembrano più fusilli) alla salsa piccante, con carne di manzo e formaggio. Da consumare, si presume, sorbendone rumorosamente una boccata alla volta, ungendosi faccia e vestiti, quindi spingendo dal di sotto con l’apposito steccolo infilzato nel fondo del cartoccio, di modo che altra vile pasta – molle, sbrodolona di sugo e addestrata a proiettare zacchere di vermiglio pomodoro sulla camicia fresca di bucato – emerga dal cilindro, pronta per la prossima goffa risucchiata.

Spingi e mangia, dice l’involucro. E suggerisce – già, lessata fa meglio alla salute – che si può riscaldare nel microonde. IncrEdibile, si chiama questa succulenta specialità. Pensavo si fosse toccato il fondo con i barattoli contenenti una porzione di spaghetti già precotti e mal maritati a non meglio identificati intingoli. Ma evidentemente c’è un pubblico che, al motto di anytime, anywhere, pretendeva penne alla puttanesca disponibili in trenta secondi alle quattro di pomeriggio, e occorreva andare oltre: così abbiamo incominciato a scavare.

Edibile, forse. Incredibile davvero. Pasta al ragù da passeggio. In confezione da due, che non è bello imbrattarsi da soli. Mai più Senza.

Prima pubblicazione : 28 febbraio 2010