lunedì 30 aprile 2012

Tornare bambini

L’uomo ragno ti dà il benvenuto, sospeso in alto nell’androne del Museo del Fumetto di Lucca.

Chi si ricorda di Tiramolla? È una piacevole sorpresa ritrovare personaggi dei fumetti di gioventù, come l’eccentrico ed esile omino o il signor Bonaventura ed il suo – allora favoloso – milione di lire.

Andrea Pazienza, come tutti i miti, se ne va giovane. Lasciandoci personaggi come Pentothal o il cattivo Zanardi, detto lo Zanna. Eccolo in un fumetto a grandezza naturale e in tre dimensioni.

Un tenero Pinocchio viaggiatore, sulle ali di una colomba bianca, in un cielo blu orlato di nuvole. Non so perché, ma questa tavola mi piace particolarmente. Forse sono io che volo e osservo il mondo da lassù.

Lo sbigottito stupore negli occhi di un bambino emigrante nella New York del secolo scorso. Un acquerello luminoso ed eloquente più di tante fotografie.



domenica 22 aprile 2012

Inimitabili

Pechino, piazza Tiananmen. Il modaiolo d’imitazione. Errore compreso.


Shanghai, la via pedonale di negozi e boutiques. Ecco gli Sturmtruppen degli stilisti. Naturalmente designed in Italy.


Copie al quadrato. Ossia la copia della copia. Perché in Cina c’è una marca che si chiama Crocodile (serve specificare chi scimmiotta?). Allora, sull’onda del successo, ecco Clio Coddle. Cosa vuol dire dio solo lo sa.


A proposito di dio. Altro che il San Pietro della Lavazza. Qui il caffè lo fa proprio lui in persona. Robe paradisiache.
 

Pronto. Come dice? Il suo computer non funziona? Le mando subito il servizio assistenza.


In Italia si sentono freschi padri di famiglia lamentarsi del costo stellare di certi fantascientifici passeggini da infanti. In Cina invece si suppone che la Chicco faccia magri affari.
 

giovedì 19 aprile 2012

Glassless glasses

Ossimoro? Forse in italiano apparirebbe così, ma in inglese no. La lingua di Albione, grande semplificatrice, usa glass indifferentemente per vetro, bicchiere, ma anche occhiale.

La giovane generazione shanghainese legge troppo? Le diottrie in calo, segno dell’approssimarsi dell’età matura, affliggono già i cinesi da teenagers o poco più?

Neanche per sogno. È solo l’ultima moda che impazza questa primavera. Glassless glasses, montature senza lenti. Tanto più grandi e appariscenti su quei nasini corti e paciocconi di fanciulle dagli occhi a mandorla. Ma non solo. La tendenza del momento è unisex. Ogni tanto si vede anche qualche modaiolo che porta con supponenza questo vacuo accessorio.

Voglia di apparire grandi? È quello che per la nostra generazione rappresentava l’accendersi una sigaretta (e spesso, agli esordi, fare figure barbine tossendo disperatamente fuori quel fumaccio urticante)? O forse è il pedissequo spirito di imitazione del branco, del cui senso di appartenenza i giovani hanno un disperato bisogno?

Queste trovate bizzarre mi incuriosiscono sempre. Ci sarà pure uno, un giorno, che si è svegliato e ha detto: vediamo un po’ se riesco a raccattare un po’ di soldi vendendo qualcosa che non serve a nulla? E altrettanto, ci sarà ben stato un qualche divetto da reality del Regno di Mezzo che per primo ha indossato queste inutili montature, lanciandone la moda? Poi la necessità di omologazione ha fatto il resto. La nuova generazione cinese non è meno pecora di quella italiana. Forse di più. Così strade, metropolitane e ritrovi giovanili di Shanghai sono pieni di finti miopi.

Mala tempora currunt, anche per i nipotini di Mao Tse Tung.



martedì 17 aprile 2012

Fiumi di parole

Sono quelli riversati a velocità impressionante dai cinesi nei loro telefoni cellulari. Fanno concorrenza ai migliori rappers. Osservo una signora appoggiata alla porta di un vagone in metropolitana. Sembra che tiri un respiro profondo, alla Maiorca. Poi si getta, in apnea, in una ininterrotta sequenza di monosillabi che devono saper succingere i concetti come nessun’altra lingua sa fare. Una breve attesa, indice di un’attività di risposta altrettanto celere dal capo opposto della conversazione. Seguono un paio di grugniti conclusivi, nessuna forma di saluto come invece siamo abituati noi imperdonabili spreconi di tariffe telefoniche. Ecco fatto.

Quello che all’italiano medio avrebbe richiesto tre o quattro minuti di chiacchiere (di cui almeno un terzo di inutili e leziosi convenevoli di commiato), un cinese riesce a concentrarlo in venti o trenta secondi di mitragliate vocali. E subito preme il pulsante rosso con un misto di urgenza e di soddisfazione. Maledetta TIM, non avrai i miei soldi – sembra dire con quel gesto perentorio. Dovremmo imparare da loro, che son più bravi non solo a farli, ma anche a risparmiarli, i quattrini. 


lunedì 16 aprile 2012

Perché Shanghai… - 2a parte

Perchè Shanghai di giorno in questo scorcio mi fa pensare a Metropolis. Ma di notte a Hong Kong.


Perché Shanghai non è – per fortuna – tutta scintillanti grattacieli e prezzi impossibili. È anche quiete periferie brulicanti di vera vita - per il cinese medio.


Perché Shanghai sembra che ogni tanto ne abbia abbastanza di tutta la gente che la affolla, e te lo faccia sapere. Ma non è colpa sua, solo di un nome commerciale infelice.


Perché Shanghai, se la guardi bene, è bicolore: gialla e rossa.


Perché Shanghai la domenica trasforma una coppia qualsiasi, in strada, in Ginger e Fred. E non ho mai visto una ballerina muoversi in maniera più sensuale, in nessuna sala, nemmeno tra i professionisti in frac.



domenica 15 aprile 2012

Perché Shanghai…

Perché Shanghai al tramonto dà il meglio di se stessa.


Perché Shanghai di notte balla sui tavoli e sui banconi dei bar. E non è la stessa che raccontano le guide turistiche.


Perché Shanghai è tecnologicamente all’avanguardia, per la gente. Più di molta Italia.


Perché Shanghai celebra la Pasqua. All’americana, con gli Easter Bunnies. Roba commerciale. Come molta Italia.


Perché Shanghai ai cinesi piace modernissima, ma ai turisti piace immaginare come fosse negli anni venti. Shanghai ha capito. E, da furba puttana, si adegua.



Continua domani, con altre immagini di Shanghai.

sabato 14 aprile 2012

Niente sesso, siamo cinesi

Che cosa succedeva (almeno, prima dell’avvento di certi segnali d’avviso) nei cessi della metropolitana di Shanghai? Perdonate l’apparente volgarità del lemma. Avrei potuto usare termini più raffinati ed eufemistici. Ma questi, per igiene, pulizia generale, basilarità d’istrumentazione, forza di un tanfo che ne consente l’individuazione col solo olfatto a una distanza di almeno venti metri, e non ultimo dimensione, sono proprio dei cessi.

Spinto da improcrastinabili necessità sono stato costretto ad usarne uno. E non poca è stata la sorpresa quando mi sono trovato davanti un cartello che indicava i comportamenti vietati in tali esclusivi locali. A costo di rischiare equivoci e sguardi imbarazzanti da parte di potenziali co-fruitori della struttura, ho sfoderato la macchinetta fotografica ed ho scattato. Un po’ di fretta, per la verità, e questo spiega la qualità non impeccabile dell’immagine, peraltro inequivocabile.

Vi garantisco che non c’è alcun lavoro di Photoshop da parte mia. Né l’intervento di qualche improbabile burlone cinese armato di pennarello. Quei segnali di divieto sono stati stampati proprio così dall’autorità preposta. Serve che aggiunga altro?

martedì 10 aprile 2012

Overkill

Viaggiare in Italia con un australiano è fonte inesauribile di divertimento. Non perché siano tutti dei comici naturali, ma per la schiettezza e la stuporosa ingenuità con cui ti fanno notare cose che a noi ormai scivolano addosso come acqua tra le dita.

Ecco uno spettacolare esempio accaduto giusto stamattina. Carabinieri su una rotonda, paletta fuori. Rapido esame di coscienza. Cinture a posto, fari accesi, velocità ben dentro i limiti cittadini. Può solo essere un banale controllo di routine. Esco dalla vettura e, su richiesta, porgo la patente e il libretto. Uno si rigira tra le mani la mia ormai quasi improponibile patente, pietosamente tenuta insieme da una foderina plasticata che si apre a fisarmonica. L’altro fa qualche acrobazia per dipanare il libretto e verificarne l’aggiornamento. Tutto a posto, grazie, vada pure. Buona giornata. Se non cordiali, perlomeno molto cortesi. Raro, ma può capitare.

Risalgo in macchina ed il mio ospite mi guarda sconcertato e mi domanda: cosa volevano? Solo controllare patente e libretto, niente di più. Scoppia in una risata fragorosa ed esclama: fucking ridiculous! Cosa è fottutamente ridicolo?, gli chiedo. Che cosa?!? Ma è normale qui da voi che uno che vuole semplicemente controllarti la patente ed il libretto della macchina lo faccia con addosso il giubbotto antiproiettile, imbracciando qualcosa che assomiglia ad un mitragliatore Uzi, e per di più tenendo per tutto il tempo il dito sul grilletto? Non so se lo hai notato, ma muovendosi in qua e in là ti ha puntato un paio di volte la bocca da fuoco verso la pancia da un metro di distanza.

È vero. Non è proprio per niente normale. Ma noi ci siamo purtroppo assuefatti alla normalità dell’anormalità. Non ci facciamo nemmeno più caso. Basterebbe uno starnuto, parte una raffica e tanti saluti.

Mi chiede ancora, ma di che cosa hanno paura? Terroristi? Delinquenti? Forse. O forse, mi dice, è solo l’abitudine a mostrare i muscoli, ad esibire l’armamentario. Gli australiani non hanno un grosso amore per l’autorità. Deve essere un retaggio ancestrale, visto che due secoli fa la loro terra era la colonia penale del Regno Unito, e i trisnonni facevano i galeotti. Gli deve essere rimasta nel DNA qualche istintiva goccia di avversione nei confronti della forza pubblica. A guardie e ladri fanno sempre fatica a trovare chi vuole fare la guardia. Uno dei più celebrati eroi nazionali è un fuorilegge ottocentesco, Ned Kelly, giustiziato per impiccagione a venticinque anni. Una specie di Robin Hood moderno, difensore dei coloni australiani contro la cialtroneria dei giannizzeri inglesi e irlandesi.

Anche in Australia ti fermano per strada. Eccome. Anzi, con molta più frequenza e rigore che da noi. Ti fermano per controllare se hai bevuto. E se lo hai fatto, te ne fanno pentire. Amaramente. Ti fermano, e ti tartassano, per quattro chilometri in più oltre il limite di velocità. Quelli della Roads and Traffic Authority ti possono anche fermare per appurare se la tua macchina è a posto con le emissioni di gas. Se guidi un vecchio scatanfrone che fuma come una ciminiera, ti multano, sequestrano il libretto e te lo rendono solo dopo che dimostri di averla portata in officina, e che ora emette scarichi lindi e tersi come aria di montagna.

I poliziotti che eseguono controlli, sia nei posti di blocco, sia di pattuglia in macchina, è logico che non siano disarmati. Ma non sono bardati da guerra come i nostri carabinieri. Al massimo una pistola, che se ne sta placidamente riposta nella fondina. E se ci fosse il caso di tirarla fuori, mai con l’indice sul grilletto.

Con un’ultima sonora risata dedicata al buffo paese che temporaneamente lo ospita, descrive tutta questa sproporzionata esibizione di potenza di fuoco con una parola: overkill. Che si può liberamente tradurre con: che esagerazione. Come dargli torto?

Prima pubblicazione : 17 aprile 2008

sabato 7 aprile 2012

Furisode

Così si chiama questo capolavoro, opera d’arte d’infinita pazienza manuale, sete rare e fili d’oro e paesaggi e personaggi e occhi stremati nella parossistica e microscopica ricerca della perfezione ricamatoria.

Chiamarlo semplicemente kimono sarebbe un insulto. Questo è un pezzo unico, un Raffaello da indossare, ma con maniacale cura e attenzione a nemmeno sgualcirne un sia pur minimo lembo. Se è esposto in una minimalistica vetrina nel cuore di Ginza, Tokyo, ci sarà certo qualcuno prima o poi che sarà disposto a dipartirsi da una iperbolica somma di danaro, per il raffinato ed esclusivissimo piacere di vedere la propria figlia - in procinto di sposarsi – soavemente abbracciata da questo manufatto supremo.

Perché l’altrettanto minimalistica targhetta nera del prezzo sussurra cifre iperurane: oltre otto milioni di Yen. Al cambio, qualcosa come ottantamila Euro. Ma qui si trascende il mero significato di vestirsi. Come ho già sottolineato, siamo già nel campo delle opere d’arte. Da sfoggiare addosso.



venerdì 6 aprile 2012

Racconto di Pasqua

Perché qui siamo, e non a Natale. Ma è quanto di più inusuale – e edificante – mi sia capitato da parecchio tempo.

Allora, fate bene attenzione alla sequenza di eventi. E soprattutto alla cascata di nazionalità, razze, colori, credi che – mischiati in un ribollente melting pot – vanno a creare questo racconto.

Shanghai, Cina (1). Venerdì di Pasqua. Due australiani (2) ed un italiano (3) decidono di salutarsi in una churrascaria brasiliana (4) dove una manager filippina (5) li accoglie e offre loro un palco di proscenio, proprio davanti alla musica dal vivo, stante una vecchia amicizia con l'italiano di cui sopra.

Tre cariocas, un colossale nero dal sorriso contagioso alle congas e due ragazze che da ogni poro sprizzano gioia ed energia, alle tastiere ed alle percussioni le più varie, sviluppano il loro consueto trascinante repertorio fatto di garote di Ipanema, di immancabili Terrasamba, di dolci Araketu, di trascinanti percussioni che sembra di essere in un sambodromo e non a Shanghai.

Accanto al tavolo assortito c'è una famigliola. Lui, lei vistosamente incinta, e una bimba di un paio di anni che si gira ad ogni piè sospinto ad osservare questi curiosi stranieri che ridono, mangiano, bevono, cantano e perfino ballano al ritmo delle passionali e quasi erotiche percussioni di quell'avvincente sorriso femminile brasiliano che inebria e trascina sulla immaginaria pista da ballo.

Due domande di rito alla famiglia di vicini di tavolo, che scattano sempre in terra straniera, la curiosità più forte del ritegno: di dove siete? Israele (6), è la risposta. Sono stati in Australia, proprio a Melbourne, ma hanno belle parole anche per l'Italia.

Poi l'italiano si alza per servirsi di un pudim de leite che non dico sembri di essere a Salvador de Bahia ma quasi. Un paio di ragazze belle e appena velate, ma con colori sgargianti che le fanno supporre mussulmane ma non poi così osservanti, sono lì a cincischiare con piattini zuccherosi e di improbabili frutti tropicali. La inguaribile curiosità del piccione viaggiatore ha la meglio sulla correttezza verso donne che non conosce, né che dovrebbe approcciare così sfacciatamente: di dove siete? Saudite (7), rispondono all'unisono le due. Chi l'avrebbe detto che lontano da casa si permettano look così poco coprenti e modesti?

Abbiamo fatto il giro del mondo. E mondi lontani, apparentemente. Ma i piccoli miracoli succedono.

Ignari – forse – gli uni dell'esistenza degli altri, la piccola cucciola dai capelli corvini di una di quelle ragazze saudite va a zonzo per il locale, e si ferma, di tanti tavoli, proprio a quello degli israeliani. La mamma carezza per un momento sul testolino quella creatura così differente ma poi così uguale alla sua.

I bambini sono totalmente avulsi dalle tristezze dell'umanità. Quelle piccole, tenerissime coccole verso una bambina sconosciuta, che un domani potrebbe diventare una nemica ma oggi è solo una figlia come la loro, sono state un'illuminazione e la fonte per il racconto di Pasqua. Come meglio celebrare una microscopica vittoria dell'umanità sulle brutture del mondo?

In quel momento ho capito che siamo noi, gli adulti, il problema. I bambini, nella loro innocente incoscienza, sono molto più saggi. Non ci sono razze, religioni, fazioni, partiti, squadre che fomentino l'odio. Solo puro, primordiale bisogno d'amore. E scusate se è poco.



mercoledì 4 aprile 2012

Cave canem

Se vi siete stupiti per la pizza da sedici euro, preparatevi a trasalire. Ho in serbo un paio di sorprese che vi faranno domandare: ma quanto guadagna un giapponese?

Negozio di cuccioli in centro a Osaka. È sera, dopocena con shopping (magari per parecchie coppiette di fidanzatini è quello che gli inglesi chiamano window-shopping, ossia guardare le vetrine e non comprare nulla). Una sequela di adorabili cuccioletti, ognuno chiuso nella sua superaccessoriata celletta con porta-finestra. Gattini accoccolati che pisolano pigri. Qualche estroso furetto, una gabbia con delle scimmiette formato pollicino.

C’è un barboncino che ispira un’istantanea tenerezza e simpatia. Voglia di coccolarlo. Poi mi cade l’occhio sul ben visibile cartellino del prezzo. Faccio una rapida conversione. Ho letto bene? Sì, ho proprio letto bene. Tremila e duecento euri. Più IVA (per fortuna al 5%, beati loro).

Mi fermo qui, senza commenti. La prossima puntata vi racconterò del vestito più caro che abbia mai visto.



domenica 1 aprile 2012

Comunicazione di servizio

Sono in Cina per alcuni giorni. Forse pubblicherò qualcosa, forse no. Dipende dalla vena e soprattutto dalla possibilità - remota - che qualcosa sia cambiato dei filtri e nelle censure cinesi verso un bel numero di siti. E i blog non fanno eccezione. Anzi, sono fra i primi ad essere oscurati, perchè rappresentano una libertà di espressione malvista.

Qualcosa l'ho già programmato prima di arrivare qua, per questo non vi lascerò soli per troppo tempo. Non potrò però rispondere ai vostri commenti, abbiate pazienza, lo farò appena possibile. Nel frattempo, se ne avete voglia, lasciatemi comunque i vostri pensieri!

Grazie,

HP