lunedì 19 novembre 2012

I colori dell’autunno

Le Langhe sono un posto magico. Sarà quell’atmosfera speciale, il susseguirsi di piani di colline e saliscendi a perdita d’occhio. Sarà il fascino di quel terreno giallo e friabile che genera anno dopo anno vini straordinari. Sarà l’irripetibilità di un microcosmo sempre uguale a se stesso, che in tempi di mordi e fuggi da globalizzazione esibisce con fierezza contadina aziende pluricentenarie ancora saldamente in salute.

Le Langhe sono uno di quei rari posti che sanno esser belli tutto l’anno. D’inverno, immersi nelle brume, con i filari spogli, mille e mille dita che indicano un cielo incupito e gravido di neve. In primavera, col risveglio dal letargo invernale, le prime foglioline che fanno capolino nei vigneti e i noccioli intirizziti che si scuotono di dosso la rugiada. D’estate, quando il calore del sole esalta le vigne e ogni filare mostra orgoglioso i suoi grappoli preziosi. E infine d’autunno.

L’arcobaleno della natura è un tramonto novembrino con il sole sospeso in quella lingua di cielo tra le nuvole e i crinali puntuti di campanili e torri. E illumina con i suoi ultimi raggi una gamma tonale degna di un Pissarro. Signori: ecco a voi le Langhe. D’autunno.







giovedì 8 novembre 2012

A un’amica scrittrice

Conosco Silvia da un annetto a malapena. Eppure ci sono dei momenti, nel suo libro, in cui mi sono detto, ma qui sta parlando di me, qualcosa come quindici anni fa. Le stesse parole. Gli stessi pensieri.

Molte donne si identificheranno in Viola. Io mi ritrovo ritratto in Mauro, l’altro protagonista. L’antagonista. Lei passata attraverso un’esistenza in secondo piano, docile compagna di vita offuscata dalla pubblica fama di un geniale direttore d’orchestra, costretta in un ruolo che alla fine si rivela opprimente e frustrante. Lui sempre in fuga da qualcosa, i fantasmi di un’infanzia infelice, pronto a negarsi per paura di soffrire.

Sono un pessimo lettore. Se un libro non mi prende, arranco faticosamente fra le pagine come un ciclista scoppiato sulle rampe del Ghisallo, finché mi arrendo, lo poso e so già che non riuscirò a riaprirlo. Poi ci sono libri che scorrono, facili, belli da leggere, un capitolo via l’altro, piluccati di gusto, come ciliegie succose. E – rari davvero – quelli che, appena terminati, avrei voglia di ricominciare a leggere, solo per apprezzare appieno ogni sfumatura, per sottolineare – a matita, per carità – le frasi più belle, le immagini più vivide, le parole che mi emozionano e mi fanno pensare, come mi piacerebbe saper scrivere così. Il Tempo Tagliato appartiene a questa rara stirpe.

Una prosa curata, raffinata. La capacità di rappresentare i sentimenti narrati, la penna trasformata in pennello che affresca dolori, timori, sussulti di cuore e passioni incipienti. E poi quel viaggiare tra Cuneo e la costa Nizzarda, che mi è cosa cara, vicina, familiare. La delicatezza di un finale annunciato ma non detto. Mai una sbavatura. Mai una caduta di stile. Una signora scrittrice, una scrittrice signora.

La storia non ve la racconto. Ci sono mille maniere per sapere di cosa parla il primo libro di Silvia Longo. Vi dico solo questo. Una che scrive, la morte è viva: la mia mente si ostina su questo ossimoro, va assolutamente letta. Parola di Homing Pigeon.