sabato 26 gennaio 2013

Happy Australia Day

Due categorie di persone non potranno godere dello spietatamente scorretto umorismo di questa serie di vignette, commemoranti il giorno in cui l’Australia festeggia se stessa: chi non conosce l’inglese, ma soprattutto quelli che facilmente si offendono (e li invito caldamente a desistere dalla lettura immediatamente) per la scorrettezza politica.

Che io, al contrario, adoro. Nessuno meglio degli australiani sa essere politically incorrect. Chi altri oserebbe rivolgersi su un poster al proprio ministro degli esteri in carica invitandolo ad alzare dalla sedia il suo più che ben retribuito sedere ed a fare qualcosa (nello specifico, cercare di riportare a casa quello della connazionale Schapelle Corby, in carcere a Bali per traffico di droga)?

Auguroni, amici australiani. Celebrate degnamente la vostra giornata. Ma ricordate: if you drink and drive, you’re a bloody idiot. If you do it home, you’re a bloody legend.




venerdì 25 gennaio 2013

Nonne allo sbaraglio

Abituati alla giustizia torpida e lassista dei nostri lidi, fa clamore e scandalo leggere di condanne a morte comminate in Asia a trafficanti di droga. Ancor più scalpore – episodio di questi giorni - suscita il sapere che l’imputata sia una nonna inglese. Uno se le figura sempre in qualche casa in pietra scura, nella piovosa campagna britannica, dedite a crear trine all’uncinetto presso un caminetto che dispensa un tepore dolce e profumato di legna. Invece qualche intraprendente e insospettabile avola, forse stufa di sferruzzare e in cerca di emozioni forti, decide di trasportare all'estero ingenti quantità di droga in valigia. Probabilmente mal consigliata, perché ad essere beccata in dogana in certi posti dove per tali commerci non c’è clemenza, va sempre a finire malamente.

Come è capitato a Lindsay Sandiford, condannata dal tribunale di Bali alla pena capitale per esser stata sorpresa con rimpiattati nel bagaglio quasi cinque chili di eroina, che cercava di far entrare nella Rimini dell’Indonesia. Ennesima prova del fatto che le leggi draconiane di Singapore, Malaysia e Indonesia in tema di traffico di droghe son roba seria.

Dodici anni fa scrivevo un racconto, rimasto inedito. Eccolo: oggi è più che mai attuale. Dedicato a tutti gli irresponsabili – giovani e vecchi, è il caso di dire – che credono ancora alle favole.


Avviso ai naviganti

Un inglese è stato condannato a morte a Kuala Lumpur per traffico di eroina. Duecento grammi. Ha commentato la sentenza applaudendo sarcasticamente all’indirizzo del giudice, donna e – si suppone, dal nome – mussulmana.

Vorrei che questo fosse un avviso ai naviganti. Ai troppi, voglio sperare pochi, ma pur sempre troppi, giovani incoscienti che pensano che con certe leggi e certi moniti si possa scherzare. Non ai professionisti della morte, che quelli sanno bene a che cosa vanno incontro se colti sul fatto, ed in fondo una dose di rischio fa parte del gioco sporco del narcotraffico.

Parlo invece agli stupidi, sbruffoni forse, ragazzi che pensano, ma cosa vuoi che mi facciano se mi porto qualche dose, in fondo è per me. E invece no. Quando sei sull’aereo, e compili la carta d’immigrazione, che ci sia la pena di morte obbligatoria per i trafficanti di droga te lo scrivono in rosso, bello evidente (capita arrivando in Malaysia, a Singapore, nelle Filippine). Non bastasse, mezzora prima dell’atterraggio, un messaggio preregistrato ti ricorda che sei ancora in tempo a disfarti di imbarazzanti fardelli, prima che sia troppo tardi.

Pena di morte. Obbligatoria. Non sperare di incappare nel giudice che trova simpatica la tua faccia da bravo ragazzo. Qui i giudici, come la legge, non devono avere senso dell’umorismo. E se pure ne avessero, sono tenuti a non esercitarlo quando indossano la toga.

Ma più di tutto questo, se il gusto di rischiare la tua pelle non ti ha ancora abbandonato, sappi che non basta essere straniero per garantirsi l’immunità dalle leggi, implacabili contro gli spacciatori di morte. E qui ne basta veramente poca, di morte in forma di polvere bianca, per essere considerati spacciatori e non dipendenti dal vizio.

Mi è tornato in mente un vecchio film, Fuga di mezzanotte, in cui un giovane americano viene pizzicato in Turchia, e passa le sue, fino all’immancabile lieto fine. Duro quel film, bello e cattivo. Ma all’americana, con la vittima (vittima?) che alla fine torna a casa, almeno salva seppur non completamente sana.

Qui è la realtà, non la finzione filmica. E non è così. Ragazzo, lasciala a casa. Tutta. Dai retta. Oppure prova ad immaginare che effetto ti farebbe sentire dire: sei condannato ad essere riportato in prigione e da qui in un luogo dove sarai appeso per il collo finché non sopraggiunga la morte. Questa è la formula che pronuncia il giudice, ed è a te che parla. Pensaci. Molto, ma molto bene. Perché la vita non è un film, e la parola fine non scorrerebbe su di te che all’alba esci dalla prigione e ti avvii verso la libertà. Scorrerebbe sui tuoi piedi penzolanti. Ma tu i titoli di coda non li vedresti. Il buio sarebbe già sceso sui tuoi occhi, il film della tua vita concluso così.

Prima redazione : giugno 2001





domenica 20 gennaio 2013

Best. Notice. Ever.

Ci sono mille maniere di ricordare alla gente le regole della buona educazione. Formali. Burbere. Ammonitrici. Minacciose. Sporadicamente spiritose, perché se anche l’intenzione sarebbe di fare i simpatici ed esser divertenti, nella speranza infine di venire ascoltati, i risultati sono spesso deludenti. Mica tutti sono dei comici nati.

Raramente mi è capitato di imbattermi in un cartello arguto come questo. Visto all’uscita del palazzetto dello sport di Saluggia, piccolo paese al confine delle risaie vercellesi. Un bravo all’anonimo, originale spirito che lo ha coniato.





sabato 12 gennaio 2013

giovedì 3 gennaio 2013

Preghierina per un anno migliore

Caro 2013, vorrei che facessi, come per incanto, scomparire:

I piatti da pizza della Juventus. Per favore. Non se ne può più di queste serie monotematiche da lobotomizzati del calcio. Borse, borselli e borsoni. Portafogli, cintole, sciarpe, magliette e mutande. Ora perfino i piatti da pizza. Almeno quando mangio l’allegra vivanda partenopea vorrei non esser costretto a pensare alle domenicali tenzoni che tengono col fiato sospeso l’italiano medio. Ma poi davvero volete dirmi che c’è chi si mette in casa – e magari mostra orgoglioso agli amici – la serie completa dei piatti da pizza della Juventus? O tempora o mores.


Le usuali giaculatorie dei giornalisti circa le multe aumentate. Con la divertente chiosa: capodanno amaro per gli automobilisti. Spiegatemi perché amaro. Per me è molto più amaro leggere che ci sono ancora morti e feriti da botti. Che si stanno studiando nuove tasse che colpiranno come sempre i soliti noti. Che si continuano a scoprire nuove ruberie dei politici e nessuno paga come dovrebbe. Questo è amaro.

Le multe non sono una gabella obbligatoria. Vi spiego una cosa meravigliosa che deve essere sfuggita ai più: per evitarle basta seguire i dettami del codice della strada. Le cinture ci sono per essere indossate. I limiti di velocità non per impedire la libera espressione dei cavalli contenuti nel proprio vano motore, ma per ridurre morti e feriti che alla fine pesano – anche economicamente – sulla comunità. Io, e voi onesti lettori, paghiamo le tasse anche per soccorrere e curare gli imbecilli che bevono come spugne e poi si spetasciano contro gli alberi, poveri vegetali innocenti. O contro altri innocenti bipedi che hanno la sola colpa di trovarsi sullo scriteriato percorso di un ubriacone al volante.

I semafori rossi, i limiti – sempre troppo lassisti – di tasso alcolometrico nel sangue, i segnali di stop sono tutti lì non per succhiare soldi ai guidatori. Son lì per esser rispettati. Altrimenti pagate. Fosse per me, cari furboni che sorpassate senza visibilità, che parlate e gesticolate al telefono mentre guidate, che avete preso l’autostrada per la pista di Monza, che dite cosa vuoi che sia un goccetto in più, dovreste sborsare dieci volte quello che vi costa oggi trasgredire. Forse alla fine imparereste a rispettare il codice della strada. E con esso, gli altri utenti della strada. Ma chiedere agli italiani di rispettare il prossimo è impresa disperata. Per non dire inutile.


Le ipocrisie delle pubblicità televisive di roulette, slot-machine e altre diavolerie mangiasoldi, che ti raccomandano di giocare responsabilmente. Come se esistesse qualcuno capace, una volta preso dal demone del gioco, di farlo con un minimo di responsabilità. Si parla ogni giorno, e con crescente allarme, di giocatori compulsivi che si rovinano, finendo stipendi, vendendosi macchine e appartamenti, indebitandosi con gli strozzini e mettendo sul lastrico famiglie magari ignare del tarlo che le rode dal di dentro.

L’ideale sarebbe dire basta a tutta quest’orgia di tentazioni. Distributori automatici di gratta e vinci perfino nei supermercati. Monitor dal tabaccaio sotto casa che fanno un’estrazione ogni cinque minuti – di orologio, non è un modo di dire. Aprite una pagina qualsiasi di internet e ci sono ottime chances di trovare qualche banner che ti invita a tentar la fortuna, promettendo facili e stratosferiche vincite e gettoni gratuiti per iniziare. Come i pusher della droga. Le prime dosi sono omaggio. Per creare il fabbisogno. Poi pagherete caro, pagherete tutto, come si diceva tanti anni fa, ma riferito ad altre colpe, questa volta di classe.

In mancanza di un bel colpo di spugna che cancelli tutte queste istigazioni legalizzate di uno stato biscazziere, almeno risparmiateci l’ipocrisia. Preferirei una réclame che dicesse: vi venderete anche vostra nonna per continuare a giocare, ma a noi che ci frega? L’importante è che continuiate a cacciar tanti bei soldoni fruscianti, cari i nostri coglioni. Ecco, così forse potrei ascoltarla senza rischiare il travaso di bile.


Le mamme che difendono l’indifendibile. Ogni scarrafone è bello a mamma sua, questo si sa. Ma possibile che dei giornalisti trovino etico e magari di buon gusto intervistare telefonicamente la madre di Fiorito, detto batman, o del prete talebano di Lerici? Le quali ovviamente sono pronte a dichiarare – talvolta urlando – che i propri figli sono dei bravi ragazzi (al cuor di mamma il figlio rimane un ragazzo anche se sta arrivando ai cinquanta o ai sessanta). In un caso ci siamo sentiti dire che non ha rubbato assolutamente nulla (secondo il noto postulato italiano che la res publica non è di nessuno, quindi appropriarsene o farne malo uso non equivale a rubare) e che tenerlo in galera era un’ingiustizia bella e buona, un vero insulto nei confronti di un uomo la cui morigeratezza di costumi è evidente fin dalla silhouette, che ne fa un Gandhi de noantri.

Nel più recente episodio del prete che ha puntato il dito accusatore contro le donne abusate e uccise (e non ha fatto altro che dar voce al pensiero di ancora troppi maschi/listi: se ne stessero a casa, invece di andare in giro a provocare quei poveri uomini che poi non hanno altra scelta che violentarle o ammazzarle, o magari entrambe) la madre del novello Voltaire ligure ha sostenuto che certamente il volantino da lui affisso in bacheca della parrocchia non poteva essere stato scritto da un figlio così bravo e diligente. Sarà stata una distrazione? Una svista alla Scaiola, che non si era accorto di abitare in una casa di sua proprietà? L’ultima linea di difesa sarà sostenere che il prelato è innocente perché totalmente analfabeta, e quindi non in grado di giudicare i contenuti di quanto da lui stesso esposto in bacheca?

Ehi, giornalisti a caccia di scoop da Novella duemila: anche la madre di Hitler, se interpellata ai suoi tempi, avrebbe dichiarato che quel ragazzaccio in fondo in fondo era un cuore tenero, che la colpa era tutta di quei cattivoni in camicia bruna che lo circondavano, e che una volta aveva perfino curato la zampa del proprio pastore tedesco che si era fatto male correndo dietro a degli zingari...

Non diamo voce alle mamme degli indifendibili. Se ne stiano zitte a casa loro a riflettere sugli errori commessi nell’educazione dei propri pargoli, e non invadano l’etere con lai e querimonie non richieste. E già che ci siamo: a casa anche chi le intervista.


Caro 2013, lo so che è meno grave. Ma non potresti anche fare qualcosina per quei pubblicitari che ci ammanniscono senza tregua pance sorridenti perché stracolme di bifidi attivi come formiche in vista dell’inverno, facce da idioti imbambolati che posano per collezioni a dispense di berretti delle truppe della Seconda Guerra, cinghiali acquattati sullo stomaco di poveri dormienti, e vascelli, contrammiraglie e automobili da costruire pezzo per pezzo in anni di lavoro a puntate settimanali – ad un costo probabilmente equipollente agli originali dell’epoca? Se c’è davvero tanta crisi, come si spiega l’esistenza di tali incongruenze?

Conto su di te, caro 2013, perché sull’intelligenza dell’Homo Italicus proprio non si può fare assegnamento.