domenica 9 febbraio 2014

Scatti cinesi: T.I.C.

Segue da ieri.


Siamo arrivati alla fine della nostra settimana fotografica a zonzo per la Cina. Terminiamo degnamente con l’acronimo omnicomprensivo, che da solo spiega il continente rosso nella sua complessa semplicità: This Is China.


Sole rosso. Non è un tramonto con la foschia che vela il pallido astro calante. È un’alba inquinata a Wuhan, città costruita attorno al grande Fiume Azzurro, il Changjiang, che noi conosciamo come Yangtze, uno dei due grandi corsi d'acqua cinesi. Scorre ampio e maestoso, la riva opposta è a fatica visibile, le sagome dei grattacieli della capitale dello Hubei si intuiscono appena, come nebbiosi fantasmi amletici. Se vi venisse la fantasia di farvi una passeggiata mattutina, portatevi la mascherina da verniciatore per il naso. T.I.C.


Vi comprate un alloggio al secondo piano di un palazzo di Shanghai. Siete tutti contenti della vista sulla città, finché un bel giorno arrivano ruspe e operai e cominciano a costruire una strada sopraelevata. Quando è finita, questo è il risultato. Vantaggio? Se avete un collega d’ufficio che passa a prendervi in macchina, potete uscire di casa direttamente dalla finestra del salotto. T.I.C.


Cosa non si può pensare di trasportare in Cina con una bicicletta ed un carretto? Un travone triangolare tipo da tetto, che a occhio e croce sarà lungo almeno 10 metri e pesante qualche quintale? No, dai, quello ce la facciamo ancora a caricarlo. Notate la perla di dettaglio: siccome impicciava, la bici l’hanno legata sulla punta della trave, così rimane a vista e nessuno tenta di fregarsela. Il baricentro del trasporto eccezionale è ingegneristicamente imperniato sul carrettino, e il tutto è trainato, un duro passo dopo l’altro, da un singolo ricurvo ometto in maglietta e infradito. Siamo a Xiamen, nel Fujian, ma potrebbe essere ovunque. T.I.C.


Abbiamo iniziato e concludiamo questo breve tour fotografico a Pechino. Un drappello sfila con passo cadenzato e marziale davanti al ritratto di Mao e l’ingresso della Città Proibita. Giusto per ricordare che non si scherza con i simboli. Dopo il tramonto l’enorme piazza di Tian An Men, capace di accogliere un milione di persone, viene chiusa dalle transenne e non si circola più. E a nessuno passa per la testa di trasgredire. T.I.C.



sabato 8 febbraio 2014

Scatti cinesi: people have the power (forse)

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I giochi del popolo. Gli adulti amano radunarsi, a tarda sera, davanti a un tavolo da mahjong, bevendo, fumando e scommettendo soldi. I ragazzini giocano in strada, a pallone oppure con i divertimenti d’importazione, anche se sono tutti prodotti proprio qui. Come questo marmocchio che sta calzando un paio di pattini in linea. Tutto il mondo è paese. Impossibile aspettare di trovare una superficie adatta per provare il nuovo gioco. Non farà granchè strada con quell’impiantito sgangherato. Ma vuoi mettere l’invidia degli amici?


I trasporti del popolo. La sensazione, a giudicare da questa pragmatica mamma di Shanghai, è che la Chicco non faccia grossi affari in Cina. Quel che si adopera per la spesa, va bene anche per scarrozzare in giro l’infante. E senza tanti frigni!


La musica del popolo. Ai cinesi per suonare, cantare e ballare non occorre un locale. Basta il sottopasso di una strada sopraelevata. E chi se ne frega se è poco romantico. È al riparo. È gratis. E tanto basta.


L’Opera del popolo. I teatri dalle confortevoli poltroncine imbottite vanno bene per quei fighetti di pechinesi, che oltretutto hanno pure la pretesa di portarci i laowai, quando notoriamente questi né capiscono né apprezzano l’arte dell’opera tradizionale cinese. Mentre invece nel nord ovest della Cina il teatro si mette in scena in piazza, ci si cambia in qualche sgabuzzino dei casermoni fatti di alloggi proletari, si recita tra la gente che si affolla attorno ad un palco improvvisato. Qui sì che c’è ancora l’anima dell’arte più pura.




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venerdì 7 febbraio 2014

Scatti cinesi: animali

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Due monumenti, due significati. Il cavallo umile strumento di lavoro e di fatica quotidiana, e quello fiero e impavido di un condottiero. Come tra gli uomini, ci sono animali guerrieri e altri operai. Certi percorrevano per tutta la vita la via del tè, versione minore della più nota via della seta, recando nelle gerle preziosi carichi di foglie essiccate e pressate per risparmiare spazio e al contempo prevenirne l’ammuffimento. Altri, protetti talvolta da rudimentali armature, guidavano i guerrieri in battaglie di conquista o di difesa. Entrambi indispensabili all’uomo per portare a termine le proprie imprese.


A proposito di operai. La seta cinese è famosa, una volta chi cercava di rubare i segreti della lavorazione dei bozzoli rischiava la morte. Oggi, seppur con tutti i macchinari inventati dall'uomo, la cernita dei bozzoli è ancora un'operazione manuale, come in questa fabbrica di Suzhou. Da ogni bozzolo si arriva ad estrarre un singolo ininterrotto filo lungo fino a un chilometro. Sembra che ti spieghino tutto, nel giro di visita. Ma non è vero. Come i maestri di arti marziali: ti insegnano mille mosse, ma mai l’ultima. I segreti sono segreti.


Povera bestia, spaurita dai rumori e dagli odori della città. Un falco, incappucciato per impedirne la fuga. Appollaiato su un misero e sudicio trespolo, su una strada di transito di Shanghai, in balia di passanti curiosi, di motorette puzzolenti di passaggio, di autobus turbolenti che gli agitano il piumaggio. Com’è lontano il cielo terso. Com’è lontana la libertà.


Non poteva mancare in questa rassegna l’animale simbolo della Cina. Forse non tutti sanno che oltre al Panda Maggiore, abitante dello stemma del WWF e delle foreste del Sichuan, c’è anche il Panda Minore. Simpatico orsacchiotto mezzo fulvo e mezzo nero, di taglia come un grosso gatto, dagli occhi furbi e malandrini. Vive in branchi, al contrario del cugino juventino che predilige la solitudine. Non fatevi ingannare né dall’esigua figura né dai curiosi colori da peluche del manto. Un cartello nella riserva vicino a Chengdu avverte di resistere alla tentazione di carezzarli, perché sono mordaci. E quando i cinesi si prendono la briga di avvisare, farete bene a crederci. Se ci tenete alle dita.



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giovedì 6 febbraio 2014

Scatti cinesi: moda e mode

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I cinesi somigliano un po’ agli italiani: inguaribili esterofili. E tutto sommato, a ragion veduta. Il rapido arricchimento di una minoranza rumorosa della società genera l’esigenza imprescindibile di esibire il più pacchianamente possibile la propria agiatezza. È un fenomeno comune nei noveaux riches, e non solo in Cina. Unite a questo il fatto che i cinesi tengano in pessima considerazione la qualità dell’industria manifatturiera locale. Tutto ciò che ha un marchio tedesco (meccanica, automobili), francese (moda, bevande alcoliche), italiano (arredocasa, di nuovo moda e vetture di lusso) o svizzero (orologi, che altro?) diventa ambito status symbol di cui vantare e ostentare insistentemente il possesso.


Lo show-room della Ferrari nel pieno centro di Shanghai. Ai giovani rampanti piace il rosso del cavallino di Baracca. Tanto più ambito in quanto raro, difficile da ottenere, estremamente costoso e di immediata riconoscibilità. Per la generazione dei padri in cerca dell’eccellenza automobilistica la scelta cade sull’ovattata e confortevole limousine inglese (si fa per dire, è tutto in mano ai tedeschi). La Rolls-Royce? No, curiosamente è la storica rivale Bentley a farla da padrone in Cina nella fascia dei ricchi cinquantenni.


Un paio di striscioni alti quattro piani di un grande magazzino. Perché non si equivochi, perfino le modelle ritratte sono occidentali. Mai qualche potenziale cliente lo pensasse l’ennesimo scimmiottamento locale di marchi europei. Cosa distingue un negozio di abbigliamento cinese da una boutique d’importazione? La densità per metro quadro di capi esposti. Solo i santoni della moda hanno il vezzo di tenere due oggetti due – ma carissimi – in vetrina, e sporadici, selezionati articoli languidamente sparpagliati per il negozio. Le botteghe cinesi sono invece un affollato marasma di capi di vestiario, la cui soffocante coesione supera quella degli abitanti di Tokyo la mattina in metropolitana.


Rispolveriamo un po’ di orgoglio italiano (almeno come nome, la proprietà della marca è ormai migrata in Svizzera). Comunque, dopo anni passati a trovare la trimurti delle minerali francesi (Perrier, Evian, Vittel) nei frigobar e sugli scaffali dei supermercati in Asia, ecco finalmente la rivincita delle sorgenti nostrane: San Pellegrino e Panna, per veri sommelier dell’acqua, qui servite all’aeroporto di Shanghai.


Gli orari dei negozi cinesi già sono normalmente più estesi rispetto agli europei. Ma metti che a uno a mezzanotte prenda un’improvvisa voglia di aggiornarsi sulle tendenze della moda mondiale o sui prezzi delle vetture più in voga. Niente paura. Ci pensa il distributore automatico di riviste trendy a mantenervi sempre preparati. Ventiquattro su ventiquattro. Cari cinesi, non avete più scuse ora.




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mercoledì 5 febbraio 2014

Scatti cinesi: mangiare e bere

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Foglie di Long Jing, uno dei migliori tè verdi cinesi. Talmente buono e fresco, a chilometri zero, che i piccoli produttori sulle colline attorno ad Hangzhou ti invitano a casa loro e te lo servono in un bicchiere di vetro, senza tante artificiose cerimonie. Pura sostanza, profumo e gusto incorrotti. L'essenza più squisita del tè. E il piacere della condivisione, con un grande sorriso, anche quello sincero, non bieco e mercantile.


Mangereste in un locale di cui questa sia la cucina? Io l’ho fatto: dopo averla vista e fotografata. Vi garantisco che carne, verdure e zuppa erano oneste e saporite. E siccome son qui a raccontarlo, vuol dire che non erano nemmeno tossiche.


I contadini del Sichuan portano ancora le verdure nei cesti, sperando di venderne ai turisti. E non parlo di stranieri: grazie ad una certa liberalizzazione dei viaggi interni i cinesi stessi sono i visitatori più numerosi di varie provincie. Un po’ come da noi, quando le macchinate di cittadini si fermano a comprare dai banchetti fuori dalle cascine in aperta campagna. Sacchetti a portata di mano e stadera. Ecco tutto quello che occorre per una minima bottega volante.


Facciamo la classifica dei cibi da sudori freddi. O almeno di quelli che ho assaggiato. Ultimo posto: scarafaggi. Insapori. Inodori. Anche brutti, esteticamente. Da evitare. Terzo posto: crisalidi di bachi da seta (prima foto, nella cassetta blu). Grosse e carnose. A momenti un amico canadese mi vomita addosso, dopo aver tentato di masticarne una. Decenti ma un po’ impressionanti da mordere. Non per tutti. Secondo posto: scorpioni (seconda foto, vassoio centrale e due di quelli in basso). Fragili e friabili, da mangiare evitando il pungiglione di coda (in cauda venenum). Vedere degli intrepidi stranieri mangiarne uno produce nei cinesi un’irrefrenabile ilarità mista a un’inusuale simpatia e confidenza. Podio e medaglia d’oro: Bruchi fritti (terza foto, nel cestino di pasta). Deliziosi. Dolci, saporiti, croccanti. A chi fosse disgustato dall’aspetto consiglio di chiuder gli occhi e provare lo stesso. Almeno uno. Io li adoro.



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martedì 4 febbraio 2014

Scatti cinesi: la tradizione

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Cartoline. Il grande lago occidentale di Hangzhou ispira tranquillità. Sporadiche e vetuste barche a remi lo percorrono, contribuendo all'atmosfera d'antan. Peccato per quella fila di macchine parcheggiate sul lungolago. Ma provate voi a convincere un cinese che ha finalmente conquistato il mezzo a quattro ruote a lasciarlo a casa la domenica.


Una processione di monaci buddisti scende la scalinata del Jing'an Si, il tempio più visitato di Shanghai, salmodiando e percuotendo piccoli strumenti musicali. Sereni scenari di un passato soffocato dai grattacieli incombenti ovunque.


Vecchie case tufacee, coi tetti di tegole nere. Stradine di terra battuta, strette, tortuose, a proteggere il villaggio da improbabili invasioni. Una Cina rurale, sopravvissuta alle ruspe della modernizzazione, nella provincia dell'eterna primavera: lo Yunnan.


La Cina moderna e affarista incrocia le armi con la tradizione, e purtroppo la piega alle esigenze del profitto. Così capita di vedere questa bellissima statua del Budda reclinato circondata dalla solita, immancabile mercanzia per turisti di corsa. Sì, proprio nel tempio. Cacciare i mercanti? Robe fuori moda, che si facevano duemila anni fa. E poi vedi che fine ha fatto quel tizio che li aveva cacciati?



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lunedì 3 febbraio 2014

Scatti cinesi: la tecnologia


È appena iniziato l’anno del Cavallo, secondo il calendario lunare tradizionale cinese. Per celebrare una ricorrenza che in giro per il mondo interessa più o meno un terzo della popolazione planetaria, Homing Pigeon offre ai suoi lettori una piccola raccolta a puntate tematiche di foto inedite del Regno di Mezzo.

La tecnologia

Pechino è Pechino. Deve ricordare al celeste impero che è sempre lei la capitale, anche se Shanghai le contende il titolo dell’imponenza. Ecco la sede della CCTV, la televisione di stato, assurda scommessa architettonica finita giusto in tempo per le Olimpiadi del 2008. Accanto, seminascosto, lo scheletro di un edificio bruciato mentre era ancora in costruzione. Criminali negligenze, che son costate la vita di poveri pompieri sacrificati per tentare di difendere la crescente opulenza esibizionistica della capitale.


L'invasione degli alieni? No. Solo degli addetti aeroportuali che salgono a bordo all'arrivo in Cina, per misurare la temperatura dei passeggeri e bloccare eventuali portatori di morbi, prima che possano metter piede nella nazione.


Non ci abitueremo mai all'idea che il bambù sia preferito all'acciaio per i ponteggi da costruzione o restauro delle case. Lo legano con delle corde. Al posto delle tavole di legno dei graticci. E tutto resta su. Compresi gli operai edili che ci lavorano, a cinque o cinquanta metri da terra.


Quando i nostri antenati misuravano il tempo in stagioni, i cinesi già contavano le ore. Non stupitevi dunque di trovare meridiane così ricche di dettagli come questa, fotografata nel campus di una delle università di Shanghai.



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