venerdì 28 settembre 2012

Primavera australe - 2a parte

Segue da ieri.


Altri fiori, noti e meno noti, per voi. Bellissimi e gioiosi segni del risveglio della natura.

Dimorphotheca pluvialis

Magnolia liliiflora

Viola hortensis

Echium candicans


giovedì 27 settembre 2012

Primavera australe

Le giornate si accorciano? Cominciano a farsi sentire i primi freschi autunnali? È ora di verificare se le caldaie funzionano bene e i caloriferi non perdono?

Homing Pigeon vi regala un po’ di primavera fuori stagione. I colori dei giardini in fiore di Hobart, nella verde e bellissima Tasmania. Ma non chiedetemi diavoli, per favore.

Acacia pycnantha

Anigozanthos

Prunus persica

Banksia marginata


Continua domani, con altri fiori...



lunedì 17 settembre 2012

Bello come un dio greco – Due (2a parte)

Segue da ieri.


Due giorni dopo l’operazione chiede che al letto vengano fissati degli elastici, per ricominciare a esercitare la gamba ed il braccio superstiti. E vuole un computer. Gli uomini non son bravi ad esternare i propri sentimenti, a parlare, a trovare conforto nella presenza di parenti e compagni d’arme. Più che conversare, Paul vuole leggere e documentarsi. Vuole capire come hanno fatto gli altri a vivere con le stesse mutilazioni.

C’è luce in fondo al tunnel. La prima gioia dopo tanto dolore. Allora ho un futuro! Potrò rifare le stesse cose. Magari un po’ più lentamente. Magari con un bel po’ di ferraglia addosso. Una frase australiana, la cui potenza espressiva è intraducibile, riassume il suo pensiero: it’s gonna be alright.

Sì. Attraverso il percorso di riabilitazione e idroterapia Paul fa progressi quotidiani. Tre mesi dopo l’incidente, stufo di piscine e gente che lo guarda come un miracolato, chiede e ottiene di tornare nel suo elemento. Spiaggia di Sydney, una nuotata nell’oceano. Non fa paura. Non più, e mai più, dopo quello che ha passato.

Uno alla volta, supera i piccoli e medi obiettivi che si pone. Sono le piccole cose, quelle a cui non pensiamo mai perché sono processi e maccanismi automatici, le più frustranti da affrontare. Come allacciarsi una scarpa. Scrivere con la sinistra. Guidare la macchina.

La negatività non fa parte del suo carattere. Paul si motiva con un pensiero costante e bellissimo: non lasciare che le cose che non puoi fare ti impediscano di fare quelle che puoi.

Per tornare ad essere se stesso ha bisogno di sentirsi libero. Libero da quel coacervo di medicinali che lo hanno aiutato, ma che ora offuscano la mente e disturbano il corpo: antidepressivi; antidolorifici; cicatrizzanti; ricostituenti. Basta con questi farmaci!

Ripulito dentro, è l’ora di tornare al lavoro. La Marina lo attende a braccia aperte. Sentire di avere un ruolo, il senso di appartenenza, motivare gli altri e dare un esempio riempiono la vita. Ma per una persona che si descrive, con straordinario senso dello humour, metà uomo e metà mountain-bike, non è facile accettare i limiti imposti dalla nuova condizione. Perfino i compagni d’arme, seppur per spirito di protezione, lo fanno sentire disabile, attento a questo, bada lì, quello è meglio di no. Insomma, più riunioni e chiacchierate in poltrona che operatività. Non è quello che voleva.

Positività e motivazioni vanno conquistati, non sono merce di facile disponibilità. Come molte altre vittime di attacchi di squali, Paul non porta dentro di sé rancore per l’animale che lo ha menomato. Anzi. Considera una grande fortuna aver potuto parlare a New York, alle Nazioni Unite, sostenendo una campagna per proteggere questo grande, primordiale predatore, alla vetta della catena alimentare. Cento milioni di squali vengono uccisi ogni anno per le loro pinne. Senza questa specie, gli equilibri del mare saranno compromessi per sempre. Ammirevole, per uno che a causa di un esemplare che ora sta difendendo ha dovuto affrontare un’odissea di sofferenza e patimenti.

Paul, dopo aver parlato per un’ora ad un auditorio ammutolito e affascinato, si accommiata con un breve video che racconta il suo percorso. Incluse le scene, confuse ma inequivocabili e drammatiche, dell’attacco, filmate dai suoi commilitoni sulla barca d’appoggio. E mentre scorrono queste immagini tremende, Paul chiude gli occhi, e chissà quali mille pensieri gli affollano la mente. Tutti riassunti in un motto: never give up. Mai rinunciare – a lottare, a fare cose, al proprio diritto ad avere una vita.


La musica sfuma. Applausi. Scende dal palco con un sorriso sincero, con quell’allegria contagiosa che solo un sopravvissuto sa trasmettere.

Lo incontro, gli parlo, ed è una bella persona, non solo sul palcoscenico ma anche nel colloquio diretto. Mi dice che è stato di recente in Italia, da vero aussie mi chiama mate, ma soprattutto mi offre la destra, quella artificiale, per una stretta di mano indimenticabile. I muscoli del braccio trasmettono impulsi all’arto bionico, che contrae le dita, oppone il pollice, impugna oggetti con una delicatezza e precisione insospettabili. C’è più calore umano in quella mano sintetica di tante in carne e ossa che ho stretto in vita mia.

Ho conosciuto una specie di robocop. Ma immediatamente simpatico e affabile come solo certi australiani sanno essere. E bello come un dio greco.




domenica 16 settembre 2012

Bello come un dio greco – Due

Sì, due. Perché Alex Zanardi era il protagonista del primo racconto così chiamato. Ma Paul de Gelder merita appieno lo stesso titolo. Incontrare Paul ti cambia la vita. Come la sua, che è cambiata mille volte.

Ex giovane scapestrato. Amicizie sbagliate, bevute scriteriate, droga. Spogliarellista da nightclub. Poi una nuova vita nata quasi per scommessa. La Marina Militare, il training duro, le forma fisica perfetta, un lavoro pericoloso ma stimolante come sommozzatore militare. Una missione a Timor Est, il contatto con villaggi che vivono ancora in maniera atavica: un’esperienza che insegna umiltà e apprezzamento per quanto si ha e spesso si dà per scontato. Al ritorno, un addestramento di mesi in vista dell’Iraq. Per sentirsi dire, all’ultimo, che non sarebbe partito. Come prepararsi per la finale e scoprire mentre si entra in campo che si resterà in panchina. Ma la svolta che cambierà ancora – e radicalmente – la sua vita arriva l’undici febbraio del 2009.

Baia di Sydney, un’immersione di routine, come tante. Finchè un grande occhio nero lo fissa da vicino. Troppo vicino. Uno squalo. Un urto violento. Non c’è dolore. L’addestramento militare subentra istintivo. Colpirlo a pugni sul muso. Ma la muta finisce all’altezza dell’avambraccio destro. Mentre la bestia strattona e trascina sotto, nel suo elemento, in un impari gioco di vita e di morte. Una rapida riemersione, una furente boccata d’ossigeno, e poi di nuovo in balia del pescecane. Un pensiero: è finita. Game over. Ma non è così. Liberato dalla morsa dei denti laceranti, ora occorre portarsi in salvo. Adrenalina a mille. La più lunga nuotata della vita, con la sola parte sinistra del corpo, verso il canotto dove i commilitoni lo soccorreranno. Issato a bordo. Una preoccupante sfilza di improperi del collega gli fanno capire che la situazione è grave, molto grave. Finalmente, sdraiato sull’assito della barca, sviene. Mentre l’amico – che dirà, poi, non lo rifarò mai più in vita mia – gli infila la mano nelle carni aperte della coscia, afferrando e stringendo le arterie recise per fermare l’imponente emorragia. Senza quello, Paul, davvero game over.

Quattro dosi di morfina, sull’ambulanza che corre verso l’ospedale, annullano ogni sensazione. Ma gli danno una terribile crisi respiratoria – manca perfino la forza per riempire i polmoni d’aria. Per la seconda volta il pensiero game over affiora alla mente sconvolta. Ma l’istinto di sopravvivenza vince ancora. Niente panico. Conserva l’energia, o è finita.

Due giorni di coma indotto, il risveglio. La prima visione è confortante. La gamba destra. Gonfia, martoriata, fasciata. Ma il piede è ancora lì. Sembra morto, non lo sente, ma vede che c’è. Bene. Pazienza per la mano, ma almeno tornerò a camminare.

Una settimana dall’assalto dello squalo. Il dottore affronta – serenamente ma obiettivamente – un soldato addestrato a confrontarsi con rischi e pericoli. Anche mortali. Paul, sarò chiaro: il morso ti ha portato via buona parte del polpaccio, e venti centimetri di nervo sciatico. Ora hai due scelte. Tentare di ricostruire il possibile, per alimentare un brandello di gamba privo di vita ed evitare la cancrena. O tagliare. Sotto il femore, via tutto. In dodici mesi, con una protesi, camminerai di nuovo.

La vita è fatta di scelte. Talvolta difficili. Paul vuole vivere, non sopravvivere. E sceglie la seconda.

Il risveglio è il momento più terribile. Altro che la lotta con la bestia. Altro che la nuotata monca verso la salvezza. Altro che la crisi respiratoria in ambulanza. Venti ore di dolore continuo, lancinante, disumano. Insopportabile. L’unico punto, del suo tragitto di sofferenza, in cui Paul avrebbe preferito che lo squalo lo avesse ucciso. In quelle ore disperate arriva a dire alla madre che lo assiste: vammi a comprare una pistola che mi sparo.

Ma anche il più intollerabile dei dolori alla fine recede. Lucido e determinato come sempre, Paul sa di essere davanti ad un’altra delle scelte che questo evento estremo comporta: come affrontare la menomazione. Eccolo qui, in un letto d’ospedale: un uomo senza avambraccio e gamba destri. Essere triste, commiserarsi per la sfortuna, rimpiangere ciò che ha perso per sempre? O reagire, affrontare la vita col coltello fra i denti, accettare e vincere le nuove sfide? Paul è un soldato coraggioso: facile intuire cosa farà.


Continua domani, con la seconda parte.

martedì 11 settembre 2012

Comunicazione di servizio

Per quei pochi che si danno la pena di passare di qui: non state in pensiero. Homing Pigeon sta solo passando uno dei suoi periodi di mancanza di tempo - e di ispirazione. Abbiate fede. Ritornerò appena possibile - ossia quando troverò qualcosa da pubblicare che non mi faccia vergognare di me stesso.

A presto!