sabato 29 maggio 2010

Esperienza

The young man knows the rules, but the old man knows the exceptions.

Il giovane conosce le regole, ma il vecchio sa le eccezioni.

mercoledì 26 maggio 2010

Genitori e figli

My parents told me, “Finish your dinner. People in China and India are starving.” I tell my daughters, “Finish your homework. People in China and India are starving for your job.”


I miei genitori mi dicevano: finisci la cena. In Cina e in India c’è gente che ha fame. Ora dico alle mie figlie: finite i compiti a casa. In Cina e in India c’è gente che ha fame del vostro lavoro.


Thomas Friedman

lunedì 24 maggio 2010

Cuneo d’Oc

No, non è una svista nel titolo. Cuneo e la sua provincia sono l’estrema propaggine occidentale di quella terra transnazionale chiamata Occitania. Una terra che parte da qui e, attraversando la Francia, arriva fino in Spagna. Una terra con la sua bandiera, le sue tradizioni, la sua musica, le sue danze. E la sua lingua, con un nome che per molti è solo un ricordo scolastico e che magari credevano morta, la lingua d’Oc, una curiosa commistione di italiano, francese e spagnolo. Roba antica e sempre attuale. A Cuneo esce perfino un periodico in lingua d’Oc.

Domenica di sole, finalmente. I telegiornali si affrettano a intervistare milanesi e turisti in piazza del Duomo, con le solite immancabili banalità, del tipo si sentiva proprio bisogno di questo caldo, è arrivata l’estate, l’Italia è sempre bella, viva l’Inter.

La provincia Granda è troppo vicina alla Francia e troppo lontana dall’Italia e dalle notizie che contano per meritare un piccolo passaggio in tivu. E allora ci si arrangia da noi. Una domenica col centro chiuso alle auto e la via principale della gente che passeggia. Bene.

Mestieri di una volta: i margari. Eremiti d’alpeggio, che trascorrono l’estate in valle, con la mandria di mucche, lassù, nei pascoli inviolati e irraggiungibili d’alta montagna. Monsù Pecollo di Castelletto Stura, col suo cavallo che tira il carro del margaro, pieno di strumenti agricoli, paioli di rame, taniche per il latte, mi racconta che ha un museo, e mi invita ad andare a trovarlo. Con quel fare antico e certo dei paesani, che non hanno bisogno di un indirizzo perché tutti sanno tutto, e basta chiedere a uno dov’è Pecollo, quale Pecollo, quello del museo contadino, sì, lui, ah certo, per di là. Si è persa questa confidenzialità e conoscenza nelle città. E allora viva i paesi e i loro curiosi a cui non serve il GPS, basta un dito per indicarti la via.


I pompieri in piazza esibiscono una vecchia autoscala, col suo braccio salvatore da trenta metri esteso verso il cielo azzurrissimo. Chissà quanti piedi concitati sono saliti lassù, fino in cima, per aiutare gente circondata dal fumo, per recuperare un gatto su un albero, per soccorrere una vecchietta chiusa in casa che si era sentita male.


Un personaggio degno di un film di Fellini racconta in dialetto di cose di una volta. Chi si ricorda più, in tempi di videogiochi e pupe e veline e grandi fratelli, come si fa una fionda? Un pezzo di ramo a ipsilon, una camera d’aria di bicicletta, un ritaglio di cuoio, un po’ di pazienza e il talento artigianale che ormai si è perso. Ma mi raccomando, non si tira ai lampioni, eh?


Le fragole, vanto dell’agricoltura locale, formano una piccola cascata su un banco, circondato da genitori in apprensione con bambini dall’irresistibile tentazione di smanacciare quella scultura così appetitosa. No, non si tocca, ammoniscono babbi bencreati, chiedi alla tata se ti dà un bombo, ed i bimbi estendono manine questuanti all’indirizzo di una signora che eroga morbide caramelle a forma di fragola.


Più in là, concerto di strada. Si suona musica occitana. La gente, coppie di tutte le età, trasforma la via principale in una pista da ballo. Disegnando una coreografia, seguono passi e movenze che ognuno conosce. Armonia tra strumentisti e danzatori. Musica antica e moderna insieme. Eseguita dal gruppo Lhi Sonaires d’Oc. La ghironda, strumento principe della musica occitana, guida il ritmo e fa muovere la gente. Gli organetti, suonati da due fanciulle brave e impegnate, rallegrano la strada. La gente applaude, si asciuga il sudore, si sente parlare molto dialetto e c’è voglia di un altro giro di danza. Circolo circasso, bourrée, countradanso, courento. Nomi che suonano familiari solo qui e nelle terre d’oltralpe.


Passa una mamma speedy, che unisce l’utile della passeggiata pomeridiana del pupo con il dilettevole di una pattinata in pieno centro. Strada libera e senza pericoli.


Le librerie sono aperte, aspettando i clienti che – secondo i dettami commerciali del giorno del libro – dovrebbero affrettarsi a comprarne uno per regalarlo a qualcuno a cui tengono. Dove di solito c’è un viavai di macchine, là oggi c’è la gente, che si riappropria della città. Signor sindaco: facciamolo più spesso.


sabato 22 maggio 2010

Vampiri azzimati

If Dracula can't see his reflection in the mirror, how come his hair is always so neatly combed?

Se Dracula non vede la sua immagine nello specchio, come si spiega che è sempre così perfettamente pettinato?

giovedì 20 maggio 2010

Potenti e signore

Being powerful is like being a lady. If you have to tell people you are, you aren’t.

Essere potenti è come essere una signora. Se hai bisogno di dire alla gente che lo sei, non lo sei.

Margaret Thatcher

mercoledì 19 maggio 2010

Topi capelloni

Scientists have announced they have found a cure for baldness in mice. This is great news. Nothing looks more ridiculous than a mouse with a comb-over.


Dei ricercatori hanno annunciato la scoperta di una cura per la calvizie sui topi. Una grande notizia. Non c’è niente di più ridicolo di un topo con il riporto.

domenica 16 maggio 2010

Ebony

Ebony non c'è più. Ad una settimana dal suo quieto andarsene, voglio ricordare una dolce amica. Amava giocare, Ebony. Aveva un bastone improvvisato che si portava sempre appresso quando correva nei verdi spazi sconfinati dei parchi nei sobborghi di Sydney. Era intelligente, Ebony. Come solo le creature speciali sanno essere. Ogni tanto aveva delle discussioni con il gatto di casa, ma in fondo si volevano bene.

Ebony, a nove anni eri diventata improvvisamente cieca. Ma non avevi perso la tua voglia di vivere e di giocare. Del resto, la vista era il tuo senso meno necessario, meno sviluppato. Orecchie e naso impareggiabili supplivano egregiamente alla inopinata privazione degli occhi. Non sbagliavi un passo, né mancavi di riconoscere un amico in visita, sebbene non mi vedessi. Sapevi sempre chi ero, dalla voce e dalle carezze. Ti chiamavo sweetie, e tu mi identificavi senza errore ogni volta, cercando la fonte di quel suono familiare e uggiolandomi festosa.

Il tuo faro e compagno di viaggio, Steve, con la sua sensibilità superiore, aveva adattato il tuo piccolo mondo alla nuova condizione. Gli spigoli e i bordi dei mobili di casa avevano delle protezioni morbide. Un grosso panchetto antiscivolo aiutava a salire in macchina più facilmente, a non battere il naso da qualche parte. Il tuo pranzo era ora servito in una ciotola posta su un rialzo, per agevolarti la deglutizione. Le scale per il piano di sopra, tortuose, avevano una barriera, perché sapevi ancora salirle, ma poi non riuscivi più a scenderle. Era tutto come prima. Quasi. Steve mi aveva colpito moltissimo, con due affermazioni opposte: è sempre felice, nonostante la cecità (ed era vero). Ma c’è una cosa che mi manca un sacco. Non dimena più la coda dalla contentezza, come quando mi vedeva tornare a casa prima.

Ebony era il pastore tedesco di Steve, appassionato di cani e mio amico australiano. Ho ricevuto un triste messaggio: non rivedrò più Ebony, quando tornerò in Australia la prossima volta. Ciao, dolce e pelosa amica. Mi hai regalato dei momenti sereni. Ed in fondo è tutto quello che conta, nella vita. Buon riposo, Ebony.



Ebony is no more. One week from her quiet demise, I want to eulogise a sweet friend. She loved to play. She had a stick that she always carried around, running in the green, endless spaces of the parks in Sydney outskirts. She was witty. Like all the special creatures. Every now and then she had some small dispute with the home cat, but deep inside she liked that little furry ball with claws.

Ebony, at nine you suddenly became blind. But you did not lose your joy of living and playing. Your sight was your least necessary sense. Finest ears and unbeatable nose made up for your unexpected blindness. You never missed a step, nor you failed to recognise a visiting friend from far. You always knew who I was, from my voice and the feeling of my pats. I called you sweetie, and you whined back at me, looking for the source of that familiar sound.

Your beacon and life mate, Steve, with his unique sensitivity, had adjusted your little world to the new frailty. Sharp edges on walls and furniture now sported soft, spongy shields. A big, carpeted bench helped you jumping into the car, and saved your muzzle from hitting around. Your food was served in the usual bowl, only raised for you to find it easily. The stairs were fenced, because you still knew how to climb them but stumbled when trying to come back down. Everything was like before. Almost. Steve amazed me with two remarks: she’s still happy, regardless of her blindness (how true!). What I miss most is her wagging the tail, as she did when she could see me in the past.

Ebony was Steve’s German shepherd. I received a sad message from Down Under: I won’t see Ebony, next time I go to Australia. Farewell, my sweet furry friend. We shared a few, happy moments. Isn’t this all that really matters, in life? R.I.P., Ebony.




sabato 15 maggio 2010

Ma il Giro è anche... (seconda parte)

I secondi che contano. Con una spinta da pistard, si lancia un compagno più fresco per la volata finale. Vai, facci guadagnare qualche posto in classifica, sembra dirgli con quella mano appoggiata sulla spalla.

Avversari insieme. Raro in una cronometro a squadre. Il bello dei tifosi delle due ruote è che c’è un applauso per tutti. Anche – forse di più – per quelli che rimangono staccati. In una società in cui conta solo arrivare, non importa come, il ciclismo ci insegna che chi resta indietro non vale meno. Spesso sono gli oscuri portatori d’acqua: si sacrificano per la maglia, tirano il campione per poi farsi da parte, spendono le proprie energie per risparmiare quelle del capitano. Gente la cui umiltà vale oro.

L’ultimo ad arrivare. In una cronometro non è necessariamente quello dal tempo peggiore. Ma è un segnale preciso. Appena passato lui, si scatena un oscuro esercito di smontatori dai giubbetti catarifrangenti, che in un battibaleno smantella tutte le tonnellate di ferro, acciaio, alluminio e plastica che incanalano i corridori verso il traguardo. Fantastico. Tempo dieci minuti e non c’era più nulla nella piazza.

Finita la premiazione del team vincente, un gesto spontaneo, schietto, amicale, tra due compagni di squadra che sgambano in mezzo alla folla per decontrarre i muscoli. Solo chi condivide tanta fatica sviluppa dei legami così forti.

Smontare e rimontare. Ogni giorno. Tutte le attrezzature. Questa ferramenta sparsa per terra è il puzzle che domani, ricostruito altrove, darà una telecamera da ripresa fissa. La carovana, con i suoi cuochi, montatori, cameramen, poliziotti, giornalisti, fotografi, riparte. Anche questo è il Giro.

venerdì 14 maggio 2010

Ma il Giro è anche...

Un’occasione per un’inquadratura di un attimo. Non è vanità, è per ricordare a tutti che si può perdere il lavoro perché una fabbrica chiude i battenti. No alla chiusura della Munters.

Al posto della pantera, un coniglio in rosa. L’inossidabile bunny di Playboy. Accolto da occhiate severe di casalinghe di lungo corso e da timidi applausi di uomini alle soglie dell’andropausa. Tra pubblicità casarecce, bevande al tè, birrette in lattina, tazze di caffè fumanti, bombole di gas e fiori a domicilio, consigli per gli acquisti sussurrati a vecchie zie, ecco un’irruzione ormonale nel bel mezzo della carovana. Seppur castigata, neppure una ragazza mezza discinta fuori dal finestrino. Ma va bene così, questo è il Giro, spettacolo per famiglie, mica il Misex.

L’insopportabile cantilena con cui, per ore, il megafono ti bombarda con le stesse frasi ripetute fino al parossismo. Una vocina fessamente giuliva ti ricorda, compra la bandanna del Giro per soli cinque euro, oppure il kit del tifoso, un affarone, dieci euro. Dopo quattro ore, ne compreresti dieci se fossi sicuro che poi la smette di gracidarti nelle orecchie.

Dimostrare che la volontà e la passione sono più forti dell’handicap. Anche se non ha ancora tagliato il traguardo, ognuno di questi ha già vinto.

È un tandem? No, sono due compagni di squadra, perfettamente allineati, al punto di sembrare l’uno l’ombra dell’altro.


E continua ancora domani...

mercoledì 12 maggio 2010

Giro d'Italia è...

Sbavare dalla fatica...

Pennellare le curve come dei pittori...

La maglia rosa che tira la volata ai compagni...

Dal colore delle maglie, faticare a capire che è tutta la stessa squadra...

Ginocchia sbucciate, muscoli che scoppiano e facce contratte dallo sforzo finale...

Andarsi a conquistare la maglia rosa in equilibrio sul nulla a cinquantacinque all'ora...

Continua... qui.

martedì 11 maggio 2010

Dilettanti allo sbaraglio

Ci sono notizie che dovrebbero suscitare scandalo, paura, indignazione, raccapriccio. Un tizio pachistano cerca di imbarcarsi su un aereo con degli armamentari molto sospetti nascosti nelle scarpe e viene arrestato a Karachi.

Rieccoci, mi viene subito da pensare. Parlo da piccione viaggiatore che ormai da otto anni, grazie a questi simpatici artigiani della tentata strage, si sorbisce – come milioni di altri pacifici viaggiatori che hanno in testa solo di arrivare a destinazione, in fretta e soprattutto in un pezzo solo – controlli, perquisizioni, palpate brusche e talvolta ai limiti della molestia sessuale, non può più portare nemmeno un goccetto d’acqua a bordo, deve sempre snudarsi di cinture, orologi, penne, monetine ed altri oggetti metallici che ecciterebbero le sensibili spie dei portali elettronici, si deve arrabattare con inutillimi coltellini di plastica per mangiare, dopo essersi strinate le mani per aprire la maledetta vaschetta, tocchi di carne ustionati dal microonde a quattrocento hertz, per solito di pari – o superiore – durezza degli utensili offerti per il taglio. Per non parlare degli insistenti interrogatori a cui devo sottostare da parte di banconiste inacidite, su chi ha avuto accesso al mio bagaglio, se l’ho preparato personalmente e se non l’ho mai perso di vista neppure per un minuto dal momento della chiusura fino alla presentazione sulla stadera aeroportuale. Giurin giuretta. Parola di boy-scout.

Ma questa volta la notizia allarmante si trasforma in una comica alla Ridolini. Qualcuno per favore ci deve spiegare. Il signor Mohammad, precisa la fonte di stampa, è un ingegnere. Questo spiegherebbe le barzellette sulla categoria. Perché se davvero vogliamo spacciare questo frastornato pachistano per un terrorista, allora il quoziente intellettivo della categoria (dei terroristi, non degli ingegneri) ne esce sensibilmente ridimensionato.

Oppure quelle erano delle scarpe peculiari, adatte al clima rigido delle zone più montuose del Pakistan, con un sistema autonomo di riscaldamento a pile. Del resto, se ci sono i calzetti elettrici, perché non potrebbero esserci anche le scarpe?

Diteci che è così. Perché l’unica altra alternativa è che il signore in questione – ingegnere di professione e terrorista per hobby – si sia presentato al bancone dell’aeroporto con una bomba nascosta nelle scarpe. E fidando solo sulle capacità occultanti dell’abbondante tonacone lungo fino ai piedi, abbia sperato di farla franca. Lo sguardo allucinato si spiegherebbe con la sorpresa sbigottita del laureato del politecnico di Rawalpindi: ma come diavolo avranno fatto questi doganieri ad accorgersene? Era tutto così perfettamente mimetizzato… non avevo nemmeno scritto un promemoria vicino all’interruttore, che so io, premere da questa parte per fare boom. Secondo me mi ha fregato il caricabatteria che avevo in tasca. Ma sai com’è, di queste pile ricaricabili non c’è proprio da fidarsi, metti che uno è lì, pronto a farsi saltare per aria, e sul più bello ti fanno cilecca… gli dai una caricata col jack inserito nel tacco, e voilà, paradiso delle vergini eccomi!


Fonte: La Stampa del 10 Maggio 2010

domenica 9 maggio 2010

Mezzora di gloria (We are the champions)

Perfino una città sonnacchiosa e indolente come Cuneo ogni tanto sa risvegliarsi. Basta darle le occasioni giuste. L’ultima pubblica sarabanda notturna risale a quattro anni fa, la calda nottata di luglio quando i nostri pedatori (complice la calamitosa testata di Zizou) vinsero la Francia in una rinnovata disfida di Barletta tra rigoristi di rango.

Stasera l’asse principale della città, la via che porta in Francia, si è di nuovo riempita di bandiere tricolori, di macchine traboccanti tifosi in festa, di sciarpe annodate agli specchietti e alle antenne, di clacson premuti a distesa, di fans saltellanti su un estemporaneo palco in piazza, col tamburo che ritma lo slogan da palazzetto dello sport, or-go-glio-so di es-ser cu-ne-ese. Nel corteo, perfino una vettura di targa nizzarda, con un ragazzo nero incappucciato in una felpa bianca seduto sullo sportello, proteso in fuori a riprendere il bailamme. Tutto questo per lo scudetto conquistato dal BRE Banca Lannutti Cuneo. Lo sport? La pallavolo maschile.

Vittoria contro il Trento, finale unica disputata a Bologna. Maxischermo in piazza. Un evento. Come le favole, finito bene. Tre a uno. Risultato tipo Italia Germania dell’ottantadue, ma tutto al contrario: primo set perso, poi tre di fila vinti, i trentini annientati. Stanotte, a Cuneo, tutti per strada: we are the champions.

sabato 8 maggio 2010

Fame e religione

There are people in the world so hungry that God cannot appear to them except in the form of bread.


C’è gente al mondo talmente affamata che Dio può apparire loro solo sotto forma di pane.



Mahatma Gandhi [1869 - 1948]

mercoledì 5 maggio 2010

Genio e sintesi


Always forgive your enemies – nothing annoys them so much.


Perdona sempre i tuoi nemici – nulla li indispone di più.




Oscar Wilde [1854 - 1900]

lunedì 3 maggio 2010

Donne e militari...

Many girls like to marry a military man - he can cook, sew, and make beds and is in good health, and he's already used to taking orders.

A molte ragazze piace sposare dei militari: sanno cucinare, cucire, rifarsi il letto, sono in buona forma fisica. E soprattutto sono abituati a prendere ordini.



sabato 1 maggio 2010

Il campione dal volto triste

Un racconto scritto nel 1996. Il mio primo viaggio in Brasile.

San Paolo ha perduto il suo figlio più amato, ed ha creato il suo mito. Gli uomini muoiono, i miti sopravvivono ed anzi si rafforzano nel non vedere l’invecchiamento e la decadenza della figura umana. Muore giovane chi è caro agli dei. Ayrton Senna da Silva, paulista e campione massimo, ha ora strade dedicate a lui, monumenti stilizzanti automobili da corsa che lo commemorano. Sue immagini e poster si affacciano nelle vetrine dei negozi, talvolta il suo inconfondibile casco giallo, riprodotto in miniatura, va a far parte di quel mercato del ricordo, quasi della reliquia, che spinge la gente ad acquistare oggetti testimonianza di chi non c’è più.


Maledetto 1° maggio 1994, niente sarà più come prima. Mi è tornata in mente questa scritta che ho letto, in una livida mattinata di pioggia autunnale, sul muro della curva del Tamburello, all’autodromo di Imola, pochi mesi dopo la sua morte. Tracciata a bomboletta spray, vicina al punto dell’impatto, i segni dell’urto ancora vivi nel muretto, insieme a fiori ormai secchi, bandiere brasiliane e magliette con la sua effigie, rappresentava, anzi gridava l’amore e la disperazione di un popolo di tifosi per un campione che se n’era andato. Lasciando un vuoto straziante dietro di sé.