No, non è una svista nel titolo. Cuneo e la sua provincia sono l’estrema propaggine occidentale di quella terra transnazionale chiamata Occitania. Una terra che parte da qui e, attraversando la Francia, arriva fino in Spagna. Una terra con la sua bandiera, le sue tradizioni, la sua musica, le sue danze. E la sua lingua, con un nome che per molti è solo un ricordo scolastico e che magari credevano morta, la lingua d’Oc, una curiosa commistione di italiano, francese e spagnolo. Roba antica e sempre attuale. A Cuneo esce perfino un periodico in lingua d’Oc.
Domenica di sole, finalmente. I telegiornali si affrettano a intervistare milanesi e turisti in piazza del Duomo, con le solite immancabili banalità, del tipo si sentiva proprio bisogno di questo caldo, è arrivata l’estate, l’Italia è sempre bella, viva l’Inter.
La provincia Granda è troppo vicina alla Francia e troppo lontana dall’Italia e dalle notizie che contano per meritare un piccolo passaggio in tivu. E allora ci si arrangia da noi. Una domenica col centro chiuso alle auto e la via principale della gente che passeggia. Bene.
Mestieri di una volta: i margari. Eremiti d’alpeggio, che trascorrono l’estate in valle, con la mandria di mucche, lassù, nei pascoli inviolati e irraggiungibili d’alta montagna. Monsù Pecollo di Castelletto Stura, col suo cavallo che tira il carro del margaro, pieno di strumenti agricoli, paioli di rame, taniche per il latte, mi racconta che ha un museo, e mi invita ad andare a trovarlo. Con quel fare antico e certo dei paesani, che non hanno bisogno di un indirizzo perché tutti sanno tutto, e basta chiedere a uno dov’è Pecollo, quale Pecollo, quello del museo contadino, sì, lui, ah certo, per di là. Si è persa questa confidenzialità e conoscenza nelle città. E allora viva i paesi e i loro curiosi a cui non serve il GPS, basta un dito per indicarti la via.
I pompieri in piazza esibiscono una vecchia autoscala, col suo braccio salvatore da trenta metri esteso verso il cielo azzurrissimo. Chissà quanti piedi concitati sono saliti lassù, fino in cima, per aiutare gente circondata dal fumo, per recuperare un gatto su un albero, per soccorrere una vecchietta chiusa in casa che si era sentita male.
Un personaggio degno di un film di Fellini racconta in dialetto di cose di una volta. Chi si ricorda più, in tempi di videogiochi e pupe e veline e grandi fratelli, come si fa una fionda? Un pezzo di ramo a ipsilon, una camera d’aria di bicicletta, un ritaglio di cuoio, un po’ di pazienza e il talento artigianale che ormai si è perso. Ma mi raccomando, non si tira ai lampioni, eh?
Le fragole, vanto dell’agricoltura locale, formano una piccola cascata su un banco, circondato da genitori in apprensione con bambini dall’irresistibile tentazione di smanacciare quella scultura così appetitosa. No, non si tocca, ammoniscono babbi bencreati, chiedi alla tata se ti dà un bombo, ed i bimbi estendono manine questuanti all’indirizzo di una signora che eroga morbide caramelle a forma di fragola.
Più in là, concerto di strada. Si suona musica occitana. La gente, coppie di tutte le età, trasforma la via principale in una pista da ballo. Disegnando una coreografia, seguono passi e movenze che ognuno conosce. Armonia tra strumentisti e danzatori. Musica antica e moderna insieme. Eseguita dal gruppo Lhi Sonaires d’Oc. La ghironda, strumento principe della musica occitana, guida il ritmo e fa muovere la gente. Gli organetti, suonati da due fanciulle brave e impegnate, rallegrano la strada. La gente applaude, si asciuga il sudore, si sente parlare molto dialetto e c’è voglia di un altro giro di danza. Circolo circasso, bourrée, countradanso, courento. Nomi che suonano familiari solo qui e nelle terre d’oltralpe.
Passa una mamma speedy, che unisce l’utile della passeggiata pomeridiana del pupo con il dilettevole di una pattinata in pieno centro. Strada libera e senza pericoli.
Le librerie sono aperte, aspettando i clienti che – secondo i dettami commerciali del giorno del libro – dovrebbero affrettarsi a comprarne uno per regalarlo a qualcuno a cui tengono. Dove di solito c’è un viavai di macchine, là oggi c’è la gente, che si riappropria della città. Signor sindaco: facciamolo più spesso.
Conosco la lingua ! piuttosto un tipo d'occitan : il guascone. Monsù Ferdinando, es tues fotos son ben polides, era tua lengua ben bèra eth ton blog un present precios tà toti nosati ! Non saresti spaesati da noi, cuneo sembra un piccolo angolo di guascogna. D'altronde, il gruppo lou dalfin è conosciuto fino a Bordeaux :
RispondiEliminahttp://www.loudalfin.it/index.php?option=com_content&task=view&id=2&Itemid=2
Alex
ciao Alex,
RispondiEliminaormai dirti che è un bel commento rasenta la banalità. Piacere di sapere che i Lou Dalfin estendono la loro fama, creduta provinciale o poco più, fino a Bordeaux. Sergio Berardo, vecchia conoscenza e animatore del gruppo, sarà contento.
Ed è vero, non sarei spaesato se la lingua di Guascogna è così chiara come tu la scrivi!
Grazie del tuo intervento, a presto,
HP
Questa è tutta una scoperta. L'Occitano esce dai polverosi libri del ginnasio, e si materializza a pochi passi da qui.
RispondiEliminaTesea
ciao Tesea,
RispondiEliminasono contento di averti fatto scoprire qualcosa di sconosciuto, eppure così vicino.
Grazie della tua assidua presenza, cara amica.
A presto,
HP