I secondi che contano. Con una spinta da pistard, si lancia un compagno più fresco per la volata finale. Vai, facci guadagnare qualche posto in classifica, sembra dirgli con quella mano appoggiata sulla spalla.
Avversari insieme. Raro in una cronometro a squadre. Il bello dei tifosi delle due ruote è che c’è un applauso per tutti. Anche – forse di più – per quelli che rimangono staccati. In una società in cui conta solo arrivare, non importa come, il ciclismo ci insegna che chi resta indietro non vale meno. Spesso sono gli oscuri portatori d’acqua: si sacrificano per la maglia, tirano il campione per poi farsi da parte, spendono le proprie energie per risparmiare quelle del capitano. Gente la cui umiltà vale oro.
L’ultimo ad arrivare. In una cronometro non è necessariamente quello dal tempo peggiore. Ma è un segnale preciso. Appena passato lui, si scatena un oscuro esercito di smontatori dai giubbetti catarifrangenti, che in un battibaleno smantella tutte le tonnellate di ferro, acciaio, alluminio e plastica che incanalano i corridori verso il traguardo. Fantastico. Tempo dieci minuti e non c’era più nulla nella piazza.
Finita la premiazione del team vincente, un gesto spontaneo, schietto, amicale, tra due compagni di squadra che sgambano in mezzo alla folla per decontrarre i muscoli. Solo chi condivide tanta fatica sviluppa dei legami così forti.
Smontare e rimontare. Ogni giorno. Tutte le attrezzature. Questa ferramenta sparsa per terra è il puzzle che domani, ricostruito altrove, darà una telecamera da ripresa fissa. La carovana, con i suoi cuochi, montatori, cameramen, poliziotti, giornalisti, fotografi, riparte. Anche questo è il Giro.
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