Segue da ieri.
I cinesi somigliano un po’ agli italiani: inguaribili esterofili. E tutto sommato, a ragion veduta. Il rapido arricchimento di una minoranza rumorosa della società genera l’esigenza imprescindibile di esibire il più pacchianamente possibile la propria agiatezza. È un fenomeno comune nei noveaux riches, e non solo in Cina. Unite a questo il fatto che i cinesi tengano in pessima considerazione la qualità dell’industria manifatturiera locale. Tutto ciò che ha un marchio tedesco (meccanica, automobili), francese (moda, bevande alcoliche), italiano (arredocasa, di nuovo moda e vetture di lusso) o svizzero (orologi, che altro?) diventa ambito status symbol di cui vantare e ostentare insistentemente il possesso.
Lo show-room della Ferrari nel pieno centro di Shanghai. Ai giovani rampanti piace il rosso del cavallino di Baracca. Tanto più ambito in quanto raro, difficile da ottenere, estremamente costoso e di immediata riconoscibilità. Per la generazione dei padri in cerca dell’eccellenza automobilistica la scelta cade sull’ovattata e confortevole limousine inglese (si fa per dire, è tutto in mano ai tedeschi). La Rolls-Royce? No, curiosamente è la storica rivale Bentley a farla da padrone in Cina nella fascia dei ricchi cinquantenni.
Un paio di striscioni alti quattro piani di un grande magazzino. Perché non si equivochi, perfino le modelle ritratte sono occidentali. Mai qualche potenziale cliente lo pensasse l’ennesimo scimmiottamento locale di marchi europei. Cosa distingue un negozio di abbigliamento cinese da una boutique d’importazione? La densità per metro quadro di capi esposti. Solo i santoni della moda hanno il vezzo di tenere due oggetti due – ma carissimi – in vetrina, e sporadici, selezionati articoli languidamente sparpagliati per il negozio. Le botteghe cinesi sono invece un affollato marasma di capi di vestiario, la cui soffocante coesione supera quella degli abitanti di Tokyo la mattina in metropolitana.
Rispolveriamo un po’ di orgoglio italiano (almeno come nome, la proprietà della marca è ormai migrata in Svizzera). Comunque, dopo anni passati a trovare la trimurti delle minerali francesi (Perrier, Evian, Vittel) nei frigobar e sugli scaffali dei supermercati in Asia, ecco finalmente la rivincita delle sorgenti nostrane: San Pellegrino e Panna, per veri sommelier dell’acqua, qui servite all’aeroporto di Shanghai.
Gli orari dei negozi cinesi già sono normalmente più estesi rispetto agli europei. Ma metti che a uno a mezzanotte prenda un’improvvisa voglia di aggiornarsi sulle tendenze della moda mondiale o sui prezzi delle vetture più in voga. Niente paura. Ci pensa il distributore automatico di riviste trendy a mantenervi sempre preparati. Ventiquattro su ventiquattro. Cari cinesi, non avete più scuse ora.
Continua... qui.
La bilancia commerciale nostrana ringrazia.
RispondiEliminaTesea
Almeno qualcosa riusciamo ancora a esportarlo in Cina. Certo che se confrontiamo con tutto l'importato...
EliminaE mi fermo qui, che è meglio.
Grazie della visita, a presto,
HP