domenica 29 dicembre 2013

Essere o non essere…

... italiano? Il dilemma in questo caso non si pone. La risposta è certamente no.

Perché se lo sgrammaticato procuito poteva lasciare qualche spazio al dubbio, alla frettolosa distrazione, alla innocente svista, già quando arriviamo alla qualifica geografica, e si scivola sullo strafalcione Prama, allora c’è la certezza di una mano apocrifa dietro alla compilazione di un tale menu degli orrori. Subito dopo, burata non aiuta a migliorare l’infelice posizione lessicale del redattore.


Bisogno di ulteriori conferme? Ci pensa la definitiva e straziante deformazione della nostra umile e sana focaccia a convalidare la tesi testé acclarata: una forgasia non fa primavera. E soprattutto non fa un ristorante autenticamente italiano. O sole mio, Singapore. Astenersi, per favore. Almeno fino a quando questi analfabeti non arriveranno a capire che perfino un dozzinale Google translator può servire a qualcosa.




martedì 17 dicembre 2013

Whistleblowers

C'era una volta un piccione viaggiatore. Che si portava appresso un curioso taccuino, e raccontava a tutti che quella era la sua macchina fotografica.

Poi un giorno il piccione cadde in tentazione. Fedele fino ad allora al mantra della pellicola, capitolò di fronte alle lusinghe della visione immediata del risultato, della leggerezza e compattezza del nuovo oggetto di culto, della praticità di avere con sé scorte quasi illimitate di fotogrammi. Insomma, in due parole abbandonò il rullino per il digitale.

E grazie, o forse dovrei dire per colpa di macchine sempre più piccole e potenti, pronte allo sfodero e allo scatto senza pensieri e senza titubanze, che tanto se vien male si cancella (poi) e se ne fa un’altra (ora), il taccuino lentamente fu messo da parte. Note, appunti e racconti in fieri divennero via via più rarefatti, la matitina le cui mine prima duravano il breve arco di una stagione riposò inutilizzata tra le pagine bianche che lentamente ingiallivano nella vana attesa di essere tappezzate di parole.

Era facile – e perfino divertente – scegliere qualche scatto e recensirlo brevemente. Un’istantanea parla da sé, talora non ha bisogno di nient’altro se non un titolo.

A volte ritornano. E questo capita quando il mondo ti passa davanti, ma le immagini scorrono troppo rapide per riuscire anche solo ad inquadrarle. Allora ti ricordi che ci vogliono la memoria, gli occhi e la penna, per riprodurle. E soprattutto il cuore.

Come mi è capitato, di recente, a Manila. Viaggiando in mezzo al traffico si vedono un sacco di affreschi di umanità varia. Scene di un attimo. Episodi minimi di vita quotidiana.

Cani protagonisti, nel bene e nel male. Vedo un cagnetto che fa da polena su un carrettino. Gli occhi sono socchiusi e sembra quasi che sorrida. Data la modesta velocità, non credo fosse per proteggerli dal vento. Magari una istintiva difesa contro l’inquinamento che ammanta come un sudario caliginoso la capitale filippina. Poco più in là, sulle spesse lastre metalliche di un cancello marrone, una mano ferma ha vergato a pennello bianco la scritta: beware of killer dogs. Attenti ai cani assassini. Per tenere lontani i malintenzionati? Forse. Chi ha veramente dei killer dogs non lo pubblicizza, per non dare inutili vantaggi ai banditi.

In certe ore (quasi tutte quelle del giorno) nel caos indescrivibile il traffico scorre lentissimo. Ore per fare pochi chilometri. Dalle onnipresenti jeepneys saltano fuori al volo dei passeggeri, subito rimpiazzati da altri clienti. Il trasporto pubblico è quasi interamente appaltato a questi microimprenditori dalle gomme lise, dal molto acciaio cromato e dalle decorazioni vivaci, spesso a tema religioso. L’autista, per aver sempre pronto il resto per i passeggeri, viaggia con delle banconote di piccolo taglio, piegate in due per il lungo, infilate tra le dita. Eppure riesce anche a guidare, spesso scalzo o in sandali, sgasando rumorosamente per conquistare di prepotenza la precedenza nel corpo a corpo tra lamiere di piccolo cabotaggio.

Un ragazzo semivestito fa la doccia sul marciapiede, attingendo l’acqua da un idrante appositamente svitato. Non gl’importa un fico secco della gente intorno, che peraltro non lo degna d’uno sguardo, mentre finisce le proprie abluzioni e sbuffa intorno l’acqua fredda che si versa sulla testa a mestolate, con una cucchiaia di plastica rossa da cereali.

All’angolo tra due strade sul marciapiede c’è un cubicolo di cemento arancione con una tettoia rialzata in lamiera. Ci sta dentro a malapena una persona, e la testa rimane a vista, per denunciarne senza dubbi l’occupazione. Public urinal, riporta una scritta manuale in bella grafia. Ma non basta: “courtesy of...”. Come dire, qualche mediocre amministratore locale ha sentito l’esigenza di far presente ai suoi concittadini che quel lussuoso vespasiano l’aveva fatto installare proprio lui in quel cantone, e quindi si aspettava della riconoscenza – sotto forma di voti, va da sè.

A proposito di politici. La gente è furibonda con la classe dirigente, che incassa stipendi da favola ma non si accontenta di questi. Pork barrel è sulla bocca di tutti, vivace espressione che indica l’uso fraudolento di fondi destinati ai lavori pubblici. L’ultimo scandalo? Nelle Filippine l’elettricità non viene distribuita con reti sotterranee. Come in Giappone, il paesaggio è costellato di pali della luce e talora di inestricabili matasse di fili che chi ci capisce è bravo. Tutto questo sartiame elettrico è stato spazzato via dai venti a 300 all’ora del tifone Yolanda, nell’isola di Leyte. Ricostruire queste infrastrutture di distribuzione d’energia si stima costi centinaia di milioni di dollari. Chi pensate che li pagherà? Ma naturalmente la popolazione sinistrata, che se vorrà accedere ai rinnovati servizi elettrici si troverà in bolletta la maggiorazione necessaria a coprire i costi della nuova rete.

Intanto a Manila il teatrino continua, con scaramucce tra congressmen (ma anche women) che si accusano l’un l’altro di essere ladri e approfittatori. Abitudine talmente diffusa e radicata da aver dato origine ad una figura molto in auge oggi : il wistleblower. Letteralmente chi soffia nel fischietto. Metafora per indicare chi è dell’ambiente e, improvvisamente schifato dalla troppa disonestà, si decide a parlare per denunciare il malaffare e la corruttela imperante tra chi governa. Mestiere apparentemente rischioso, quello del whistleblower, al punto che c’è chi ha proposto un progetto di legge per proteggere e incentivare con benefici economici questi fischiatori pentiti.

Forse è venuto il momento di ricordare ai miei quattro lettori che sto parlando delle Filippine. Che so io, vi foste distratti un attimo e la mente vi avesse portato a pensare che stessi raccontando di un’altra nazione a noi cara. Vedete voi quale.





mercoledì 4 dicembre 2013

Veridica Istoria Di S. Barbara

In occasione dell'odierna ricorrenza di Santa Barbara, voglio pubblicare un'antichissima goliardica ode, composta da chissà chi e forse risalente ai tempi della Grande Guerra, che ho ritrovato, dattilografata su carta velina ormai lisa e ingiallita, tra le cose di mio padre, Ufficiale di Artiglieria da Montagna del Regno d'Italia.

Vi avverto: non è una poesia per educande. Anzi, contiene un’equa dose di vocaboli sconci, nonché un’interpretazione quantomeno ardita del martirio della santa. Chi si turba o si scandalizza facilmente, lo invito a smetter di leggere qui.

Ma per gli amanti del lazzo d’antan e della scrittura manierista, questa è una vera chicca. Perché, pensate un po’, quest’ode in versi alessandrini dev’essere stata scritta circa un secolo fa. Certo da qualche ignoto bello spirito dalla penna abile e briosa.



VERIDICA ISTORIA DI S. BARBARA

quale risulta da un mio manoscritto del
XV secolo

De relationibus inter foconem et culatta

Ovidio Nasone

I
Non vi è successo dite, talor di domandare,
O le segrete cause voler investigare,
Che spinser S. Barbara, la vergin casta e pia,
A mettersi a protegger la truce artiglieria?
Se stiamo ai sacri canoni, Barbara fu una santa
Che nacque: al dir d’Orazio, nel 480;
Se stiamo alla leggenda, fu una casta fanciulla
Cui piacevano i pezzi fin da quand’era in culla;
Se stiamo ad una vecchia, ma ignobil tradizione,
Di cui parla Virgilio, Catullo e Cicerone,
Questa dice che Barbara si fosse in gioventù
Fatta chiavar da Cesare, il qual al dir dei più,
Cominciò la carriera con rara maestria
Quale soldato semplice nel primo artiglieria.
Come potete scorgere, son varie le opinioni,
Son molti i testi storici e le contraddizioni;
Io da un vecchio papiro il sunto ho quì ritratto
Del modo vero, autentico di come avvenne il fatto.

II
Il testo mio racconta che Barbara era bella,
Avea le forme splendide e l’andatura snella;
Corvine avea le chiome, di madreperla i denti,
Da far destare un morto, insomma i lineamenti;
Che molto era pelosa sotto ambedue le ascelle,
E dure come il marmo aveva le mammelle,
Ma, o fosse per calcolo, o fosse per pudore,
Non la volea mollare neppure al confessore.
Tale ritegno alfine, fece stizzire Augusto
Al quale, a fil di logica, non appariva giusto
Che in mezzo a tante troie della corte pagana
Facesse la smorfiosa la vergine cristiana,
Onde fece invitare il popolo romano
A ritrovarsi un giorno nel circo di Traiano
Per potere ciascuno, sia plebeo, sia patrizio,
Assistere e concorrere di Barbara al supplizio.

III
Qui mi manca la penna, mi vien men l’intelletto
Come infatti descrivere lo straordinario effetto
Prodotto sulla folla al veder di repente
Nel circo trascinata la vergine piangente,
Tutta ignuda, coperta soltanto, a dire il vero,
Nei punti più preziosi dal suo bel pelo nero..?..
Bisogna figurarsi che nell’ampio ippodromo
C’era un uomo dovunque si può cacciare un uomo;
L’ingresso era gratuito, chè dall’imperatore
Eran state concesse le entrate di favore;
E quando non si paga, ognun questo lo sa,
Poiché non c’è da spendere il popolino va.
Nella gran folla i maschi erano in maggioranza,
Che ammirando di Barbara la pudica prestanza,
Provarono un prurito, e poscia un gran fermento
E sulla punta del membro un serio incordamento,
Ed essendo in quel tempo poco i calzoni in voga
A ogni roman fu visto sollevarsi la toga.
In quella, dalle trombe fu suonato l’appello
E il commissario avendo ben scosso il campanello:
“Cesare Augusto, disse, nella sua gran bontà,
“Vuol che sia tolta a Barbara la sua verginità,
“Ed ordina che, a rendere la festa più imponente,
“L’operazion sia fatta dal membro più potente,
“Chi dunque più tarchiato di voi d’aver lo creda,
“Veder lo faccia e s’abbia la verginella in preda.”
A tai detti i romani non si fecer pregare,
Ma furon solleciti la toga a sollevare,
E cento mila uccelli dell’ippodromo intorno,
Furon visti venire alla luce del giorno
Maestoso spettacolo, che, a dir di Giovenale,
Roma nei dieci secoli non vide mai l’eguale!
Un concorso sì splendido mise nell’imbarazzo
Il giurì destinato a prescegliere il cazzo.
Ma dopo attento esame e minuziosa indagine
Fu premiato uno schiavo nativo di Cartagine,
Che, in mezzo ai battimani e delle trombe al suono,
Fu condotto in trionfo, d’Augusto ai piè del trono.
La verginella intanto tremante se ne stava
D’esser così nuda molto si vergognava:
Con una mano coprivasi del bel seno il candore
E con l’altra celava l’altare dell’amore;
E piamente orava: “Dio di bontà difendi
“L’umile ancella tua da quegli arnesi orrendi;
“Pensa che vergin sono e che in sì picciol foro
“Penetrar non potrà l’uccello di quel toro.”
Il pudico lamento salì diretto al cielo
E Dio, fatto chiamare l’Arcangelo Gabrielo
Gli consegnò un pacchetto, dove c’era involtata
Una polvere stata da lui confezionata,
Dicendo: “Va d’un subito nel circo di Traiano,
“E metti questa polvere di Barbara nell’ano.
“Cerca non esser visto nel far questo lavoro,
“Onde non suscitar l’attenzione del toro.”
La commission fù fatta in men che non si dice,
Mentre che il moro, fattosi dappresso all’infelice,
Si preparava a compiere l’esecrato supplizio,
Presentando l’uccello del foro all’orifizio.
Quì accadde un fatto nuovo, un fatto molto strano,
Che apparve ancor più nuovo al popolo romano
S’intese un colpo orribile, una detonazione,
Che fè tremare il circo fin dalla fondazione,
Mentre che il Moro e Barbara venivan proiettati
Coi membri, dentro il circo, rotti e disseminati.
E i romani fuggendo dicevan: “Perbacco è strano
“Che a un tratto il cul di Barbara si sia fatto un vulcano!”.

IV
Fur dai cristian raccolte della santa le ceneri
E perché dai mortali la martire si veneri,
Si chiusero in un’urna, messa poi fra le tombe,
In mezzo agli altri martiri, giù nelle catacombe.
E forse da nessuno si saria ritrovata
La maniera con cui fu Barbara salvata,
Se un devoto o pudico tedesco cappuccino
Non avesse l’uccello messo dentro al bacino
Dove erano della santa i resti conservati
A scopo di purgarlo dei molti suoi peccati.
L’uccello, nell’uscire dall’urna benedetta,
Avea la punta carica di una polve brunetta,
Che analizzata e posta sotto lavorazione
Fu trovato esser polvere da cannone,
Ricostrutta la storia e visto che il pacchetto
Venne messo dall’angelo in quel certo luoghetto
Gli artiglieri deciser di chiamare culatta
Il luogo ove la carica in general s’adatta.

V
Di tutto questo, ditemi, qual’è mai la morale?
Lo schiavo, non avrebbe fatto il salto mortale
Se prima d’introdursi nel buco antirestante
Avesse messo un dito in quello retrostante:
Onde a giusta misura prescrive l’istruzione
Che chi scovola il pezzo, turi prima il focone.