Talvolta certi racconti prendono forma nei sogni. La mattina, quelli che mi ricordo ancora, ho l’urgenza di buttarli giù, prima che li perda nei meandri della memoria. Il mio amore per i formaggi stanotte ha preso delle forme inaspettate. Vedevo dei personaggi. Erano dei camerieri. Ognuno aveva un latticino a cui si abbinava.
Lo squacquerone – inconsistente ed amorfo come il detto cacio. Vagola per la sala senza un apparente perché. Quando gli altri si caricano di pile di piatti sporchi da ritirare, lui spilluzzica due o tre stoviglie qua e là, da clienti scelti a caso, e poi impegna percorsi tortuosi e illogici per tornare in cucina. O è timido o ha la testa altrove, perché non c’è verso di incrociare il suo sguardo, per pura necessità alimentare e non per desiderio di socializzazione. Per la legge di Murphy, il suo vassoio si svuota sempre all’ultimo commensale del tavolo prima di voi. Al che scompare in cucina e probabilmente riceve una telefonata da un aborigeno australiano, perché se ne perdono le tracce per un buon quarto d’ora. Lasciandovi ai morsi della fame, acuiti dai gridolini di apprezzamento dei vicini che stanno gustando deliziose specialità. Loro. Maledetti. Si ritiene debba essere un parente intoccabile o un raccomandato – o entrambi. È l’unica spiegazione che giustifichi la sua inane presenza in mezzo a colleghe che trotterellano servendo a ritmo di valzer, mentre lui sembra fermo ai lenti da discoteca anni settanta.
Il gorgonzola – la similitudine con il vivace formaggio padano è puramente olfattiva. Non si capisce se sia colpa della divisa, in grave ritardo sulla tabella di marcia verso la tintoria, o se dipenda direttamente da lui. Fatto sta che il suo avvicinarsi al tavolo è palese perfino ai ciechi. Altrimenti innocuo, e talora addirittura solerte, questo handicap lo rende inviso alla maggioranza dei commensali, costretti ad apnee tipo Maiorca in attesa che sia terminata la somministrazione degli antipasti misti dalla guantiera – con conseguente e fatale ampia sbracciata verso i piatti e ostensione ravvicinata dell’ascella mefitica. Tale situazione può assumere conseguenze letali in estate, in locali privi di aria condizionata.
Il parmigiano – il re dei formaggi per il re dei camerieri. La sua lunga militanza nel solito ristorante ne certifica l’indiscussa autorevolezza. Fatevi consigliare, sempre. Lui ha l’occhio lungo in cucina, e sa cose. Se vi raccomanda il pescato di paranza, lasciate perdere l’orata. Se vi propone i funghi trifolati, non insistete con una banale milanese. Un suggerimento non accolto può causare reazioni a catena. Perché il re è spesso permaloso e si offende se i suoi pregevoli pareri non sono accolti con approvazione e gioia dai commensali, o peggio ancora vengono snobbati a favore di banalità culinarie che lui rifugge come un panino di McDonald e la cui associazione con la sua ieratica figura lui trova disonorevole, al punto da mandare in sua vece il garzon giovine, per recare agli indegni deschi tali vergognose refezioni. Alla fine del servizio non dimenticate una generosa mancia, se avete intenzione di tornare di nuovo in quel ristorante. Non perché il re ne abbia necessità – è solo un concreto segno di apprezzamento. Inchini e riverenze, pur essendo anch’essi correnti gesti di omaggio all’autorità regale, non sortiscono purtroppo gli stessi benefici effetti presso re parmigiano. Quindi mano al portafoglio, tirchiacci.
E infine...
La mozzarella – fresca, giovane, allegra e gradevole. Come una vera mozzarella appena plasmata dalle mani sapienti del mastro casaro. Serve col sorriso sulle labbra. Ringrazia lei se riceve un piccolo gesto di cortesia dai clienti. È rapida ma aggraziata. Ogni portata è accompagnata da una parola gentile. Indossa un paio di occhiali troppo grandi su quel musetto simpatico. Se lavorasse negli Stati Uniti e non in questo paese di avaracci farebbe una fortuna in mance. Come gli altri ritratti, non è un personaggio immaginario. Ed è l’unica di cui dirò di più: si chiama Camilla, l’ho conosciuta ieri sera in occasione di una pizzata e lavora in un locale sul lungomare versiliese. Avremmo bisogno di tante Camille in Italia: sarebbe un paese migliore.