Per favore, aiutateci. Abbiamo bisogno di cibo.
Non sono i soliti professionisti della questua. In Asia, per strada o ai semafori, è facile imbattersi in dei bambini che chiedono soldi. Tanti, troppi. Sempre malmessi, spesso sporchi, talora purtroppo rapiti alle famiglie da adulti criminali che gestiscono questo laido racket. A volte sono storpiati dai loro aguzzini e sfruttatori per meglio far leva sulla pietà dei donatori.
Questi invece sono bambini filippini sopravvissuti al tifone Yolanda. Non sono né sporchi né storpi, e soprattutto non sono professionisti. Sono solo affamati. Non chiedono denaro, ma cibo.
Chi ha perso tutto, magari perfino la famiglia, non cerca soldi. Restano solo le necessità basilari quando è questione di mera sopravvivenza. Per questo sporgono le mani giunte, pieni di speranza e fiducia nella bontà di sconosciuti in transito.
Mostrano un cartello gentile ed educato, che implora per loro. Ma sono quelle braccine tese, quegli sguardi innocenti e supplici, quel loro muto attendere un gesto di vitale compassione a dover colpire non solo qualche distratto automobilista di passaggio, ma il mondo intero.
Nessuna di queste creature dovrebbe essere costretta all’umiliazione di mendicare un po’ di riso. Se il mondo è capace di osservare questa immagine senza provare infinita pena e vergogna, e senza far qualcosa per aiutare chi non ha più nulla salvo forse la dignità, allora non è un posto dove voglio vivere.