mercoledì 4 dicembre 2013

Veridica Istoria Di S. Barbara

In occasione dell'odierna ricorrenza di Santa Barbara, voglio pubblicare un'antichissima goliardica ode, composta da chissà chi e forse risalente ai tempi della Grande Guerra, che ho ritrovato, dattilografata su carta velina ormai lisa e ingiallita, tra le cose di mio padre, Ufficiale di Artiglieria da Montagna del Regno d'Italia.

Vi avverto: non è una poesia per educande. Anzi, contiene un’equa dose di vocaboli sconci, nonché un’interpretazione quantomeno ardita del martirio della santa. Chi si turba o si scandalizza facilmente, lo invito a smetter di leggere qui.

Ma per gli amanti del lazzo d’antan e della scrittura manierista, questa è una vera chicca. Perché, pensate un po’, quest’ode in versi alessandrini dev’essere stata scritta circa un secolo fa. Certo da qualche ignoto bello spirito dalla penna abile e briosa.



VERIDICA ISTORIA DI S. BARBARA

quale risulta da un mio manoscritto del
XV secolo

De relationibus inter foconem et culatta

Ovidio Nasone

I
Non vi è successo dite, talor di domandare,
O le segrete cause voler investigare,
Che spinser S. Barbara, la vergin casta e pia,
A mettersi a protegger la truce artiglieria?
Se stiamo ai sacri canoni, Barbara fu una santa
Che nacque: al dir d’Orazio, nel 480;
Se stiamo alla leggenda, fu una casta fanciulla
Cui piacevano i pezzi fin da quand’era in culla;
Se stiamo ad una vecchia, ma ignobil tradizione,
Di cui parla Virgilio, Catullo e Cicerone,
Questa dice che Barbara si fosse in gioventù
Fatta chiavar da Cesare, il qual al dir dei più,
Cominciò la carriera con rara maestria
Quale soldato semplice nel primo artiglieria.
Come potete scorgere, son varie le opinioni,
Son molti i testi storici e le contraddizioni;
Io da un vecchio papiro il sunto ho quì ritratto
Del modo vero, autentico di come avvenne il fatto.

II
Il testo mio racconta che Barbara era bella,
Avea le forme splendide e l’andatura snella;
Corvine avea le chiome, di madreperla i denti,
Da far destare un morto, insomma i lineamenti;
Che molto era pelosa sotto ambedue le ascelle,
E dure come il marmo aveva le mammelle,
Ma, o fosse per calcolo, o fosse per pudore,
Non la volea mollare neppure al confessore.
Tale ritegno alfine, fece stizzire Augusto
Al quale, a fil di logica, non appariva giusto
Che in mezzo a tante troie della corte pagana
Facesse la smorfiosa la vergine cristiana,
Onde fece invitare il popolo romano
A ritrovarsi un giorno nel circo di Traiano
Per potere ciascuno, sia plebeo, sia patrizio,
Assistere e concorrere di Barbara al supplizio.

III
Qui mi manca la penna, mi vien men l’intelletto
Come infatti descrivere lo straordinario effetto
Prodotto sulla folla al veder di repente
Nel circo trascinata la vergine piangente,
Tutta ignuda, coperta soltanto, a dire il vero,
Nei punti più preziosi dal suo bel pelo nero..?..
Bisogna figurarsi che nell’ampio ippodromo
C’era un uomo dovunque si può cacciare un uomo;
L’ingresso era gratuito, chè dall’imperatore
Eran state concesse le entrate di favore;
E quando non si paga, ognun questo lo sa,
Poiché non c’è da spendere il popolino va.
Nella gran folla i maschi erano in maggioranza,
Che ammirando di Barbara la pudica prestanza,
Provarono un prurito, e poscia un gran fermento
E sulla punta del membro un serio incordamento,
Ed essendo in quel tempo poco i calzoni in voga
A ogni roman fu visto sollevarsi la toga.
In quella, dalle trombe fu suonato l’appello
E il commissario avendo ben scosso il campanello:
“Cesare Augusto, disse, nella sua gran bontà,
“Vuol che sia tolta a Barbara la sua verginità,
“Ed ordina che, a rendere la festa più imponente,
“L’operazion sia fatta dal membro più potente,
“Chi dunque più tarchiato di voi d’aver lo creda,
“Veder lo faccia e s’abbia la verginella in preda.”
A tai detti i romani non si fecer pregare,
Ma furon solleciti la toga a sollevare,
E cento mila uccelli dell’ippodromo intorno,
Furon visti venire alla luce del giorno
Maestoso spettacolo, che, a dir di Giovenale,
Roma nei dieci secoli non vide mai l’eguale!
Un concorso sì splendido mise nell’imbarazzo
Il giurì destinato a prescegliere il cazzo.
Ma dopo attento esame e minuziosa indagine
Fu premiato uno schiavo nativo di Cartagine,
Che, in mezzo ai battimani e delle trombe al suono,
Fu condotto in trionfo, d’Augusto ai piè del trono.
La verginella intanto tremante se ne stava
D’esser così nuda molto si vergognava:
Con una mano coprivasi del bel seno il candore
E con l’altra celava l’altare dell’amore;
E piamente orava: “Dio di bontà difendi
“L’umile ancella tua da quegli arnesi orrendi;
“Pensa che vergin sono e che in sì picciol foro
“Penetrar non potrà l’uccello di quel toro.”
Il pudico lamento salì diretto al cielo
E Dio, fatto chiamare l’Arcangelo Gabrielo
Gli consegnò un pacchetto, dove c’era involtata
Una polvere stata da lui confezionata,
Dicendo: “Va d’un subito nel circo di Traiano,
“E metti questa polvere di Barbara nell’ano.
“Cerca non esser visto nel far questo lavoro,
“Onde non suscitar l’attenzione del toro.”
La commission fù fatta in men che non si dice,
Mentre che il moro, fattosi dappresso all’infelice,
Si preparava a compiere l’esecrato supplizio,
Presentando l’uccello del foro all’orifizio.
Quì accadde un fatto nuovo, un fatto molto strano,
Che apparve ancor più nuovo al popolo romano
S’intese un colpo orribile, una detonazione,
Che fè tremare il circo fin dalla fondazione,
Mentre che il Moro e Barbara venivan proiettati
Coi membri, dentro il circo, rotti e disseminati.
E i romani fuggendo dicevan: “Perbacco è strano
“Che a un tratto il cul di Barbara si sia fatto un vulcano!”.

IV
Fur dai cristian raccolte della santa le ceneri
E perché dai mortali la martire si veneri,
Si chiusero in un’urna, messa poi fra le tombe,
In mezzo agli altri martiri, giù nelle catacombe.
E forse da nessuno si saria ritrovata
La maniera con cui fu Barbara salvata,
Se un devoto o pudico tedesco cappuccino
Non avesse l’uccello messo dentro al bacino
Dove erano della santa i resti conservati
A scopo di purgarlo dei molti suoi peccati.
L’uccello, nell’uscire dall’urna benedetta,
Avea la punta carica di una polve brunetta,
Che analizzata e posta sotto lavorazione
Fu trovato esser polvere da cannone,
Ricostrutta la storia e visto che il pacchetto
Venne messo dall’angelo in quel certo luoghetto
Gli artiglieri deciser di chiamare culatta
Il luogo ove la carica in general s’adatta.

V
Di tutto questo, ditemi, qual’è mai la morale?
Lo schiavo, non avrebbe fatto il salto mortale
Se prima d’introdursi nel buco antirestante
Avesse messo un dito in quello retrostante:
Onde a giusta misura prescrive l’istruzione
Che chi scovola il pezzo, turi prima il focone.



4 commenti:

  1. Bellissima ! Italiani popolo di poeti ! Anche qui gli artiglieri festeggiano la santa Barba (così chiamiamo Barbara) il 4 dicembre, ma al massimo cantano canzoni che raccontano come grazie alla santa non "sparano a salve", ma dubito che siano capaci di scrivere versi in alessandrini e che sappiano cos'è un alessandrino :-)

    Alex

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  2. Sono morto dal ridere. Questa ode goliardica è degna di Rabelais. Purtroppo non si trovano più persone capaci di scrivere in questo modo, con il giusto miscuglio di cultura e salacità. Fruga ancora fra le cose di tuo padre, chissà che non salti fuori qualche altro capolavoro .

    dragor (journal intime)

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  3. Ciao Alex,

    scusa il ritardo nel risponderti. Sono contento che tu abbia apprezzato questa ode. Non sapevo che la Santa si celebrasse anche in Francia, e che fosse ugualmente protettrice dell'artiglieria.

    Grazie del commento, a presto,
    HP

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  4. ciao Dragor,

    seguirò il tuo consiglio. Ogni tanto, seppur a distanza di decenni, salta fuori qualcosa di inaspettato...

    Quasi quasi, a tempo debito, pubblicherò qualche foto d'antan...

    Grazie della visita, lieto di averti fatto divertire, a presto,
    HP

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