Aeroporto di Taipei. Sui maxischermi dei banchi check-in dell’aviolinea locale campeggia l’inequivocabile sagoma del felino più adorato in oriente – e non solo: Hello Kitty. Cosa c’entra l’onnipresente vezzosa gatta con un affare serio come volare? C’entra, c’entra. In un crescendo rossiniano, scopro una fila di macchine per stamparsi da sé la carta d’imbarco (anche a quelle latitudini si cerca di risparmiare sui costi del personale d’aeroporto) che sembra un luna park: tutto rosa, neon scintillanti, fiocchetti e vibrisse ovunque. Un gatto ti osserva mentre inserisci la tessera. Inquietante. Ma capace di suscitare gridolini di sorpresa ed euforia nelle fanciulle locali, che subito si cimentano nel self-check-in e poi esigono una foto dal filarino accompagnatore.
Per non parlare del telefono a moneta, baroccamente colorato di rosa antico, incorniciato da eleganti stucchi classici, ma sinistramente sormontato dalla silhouette felinomorfa che tutto firma. Quando si telefona da lì, probabilmente è buona creanza non limitarsi al classico incipit inglese, ma completare la locuzione: hello? Kitty!
Ho saputo che gli audaci autori di cotanta sinergia tra aviazione e pupazzi si sono spinti ben oltre. Un aereo è interamente arredato nel melenso stile del nostro gatto. Coperte e cuscini rosa. Hostess con grembiulini in tinta. Addirittura i cibi serviti in volo riproducono le fattezze di HK.
Feticismi. Perché tutto questo dispendio di energie monotematiche non può avere come obiettivo solo la classe consumatrice dei bambini. Conosco personalmente persone ben dentro l’età adulta che si circondano di ninnoli e balocchi dell’attonito felino, pur avendo lasciato alle spalle – e da un pezzo – gli anni della fanciullezza.
Feticismi. Per fortuna, salvo un po’ per il portafoglio, innocui.