giovedì 12 giugno 2014

Sedici anni prima


La Coppa del Mondo. Di edizione in edizione cambiano i nomi, magari le nazioni, ma l’evento rimane sempre uguale a se stesso. La stessa frenesia, la stessa passione, lo stesso sfinimento da ridondanza mediatica che permea ogni mezzo di comunicazione e invade ogni angolo dell’orbe terracqueo fino alla vigilia del primo fischio d’inizio. Da lì in poi è una costante, ansiolitica scivolata senza freni verso la finalissima, verso il traguardo della quadriennale gloria pallonara: ecco i campioni del mondo.

Per celebrare degnamente questa giornata d’esordio, Homing Pigeon è andato a ripescare un vecchio inedito. Scritto sedici anni fa in Brasile, appena prima dei mondiali di – e della – Francia. Buon calcio a tutti, anche agli agnostici come me.


L’Evento

Alle altre passioni nazionali va aggiunta di diritto quella che, come un’epidemia, cova nascosta a lungo per poi esplodere in tutta la sua virulenza ogni quattro anni, allo scoccare dell’Avvenimento: la Copa.

Copa, sic et simpliciter, una parola per designare i mondiali, la Coppa del Mondo, l’unica degna di questo nome, l’unica per la quale merita soffrire, sperare, piangere, perfino morire. O gioire, godere, impazzire, come solo i brasiliani sanno fare.

Ed ecco una nazione trasformarsi, complice quello che non è più uno sport, non è più un gioco, non è più soltanto un business: è la vita. Il Futebol. Il fuciboli, come suona nella pronuncia brasiliana, è un valore trascendente.

L’Evento trasforma il Brasile in una curva da stadio, una torcida, formato nazione. E che nazione. Centosessanta milioni di torcidores, perfino l’aria è impregnata di tifo.

Rare sono le macchine che non esibiscono una bandierina inastata ed ancorata al finestrino del passeggero, in una improvvisa fiera dell’orgoglio nazionale.

Fanciulle belle e accattivanti, in perfetta tenuta da calciatore, con tanto di scarpette chiodate, invitano all’acquisto nei Duty Free Shop degli aeroporti, promettendo in regalo faraonici kit del tifoso, costituiti da magliette, cappellini ed altri gadget dell’autentico “torcidor”.

Insospettabili capitani d’industria mostrano, con la fierezza dei vincenti e la serenità di chi è nel giusto, piccoli computer tascabili su cui hanno registrato gli orari delle principali partite. I cerberi elettronici li difendono dalla bizzarria di qualche importuno, certo straniero, che pretendesse un appuntamento d’affari in concomitanza con un incontro importante. E quale non lo è, quando si parla di mondiali?

Vai a Rio, ti mostrano un campo spelacchiato - forse i nostri oratorii hanno più erba - e ti raccontano, con enfasi da reliquia religiosa, che proprio lì, fra quella polvere e quei sassi, tirò i primi calci al pallone il ragazzino che divenne Romario. Che ora piange in diretta televisiva per l’esclusione dalla nazionale, e con lui mezzo Brasile, mentre l’altro mezzo inveisce contro Zico, ex campione, ora dirigente e chiamato di correo in tanta crudeltà politico-calcistica.

Il Brasile gioca un’amichevole con Andorra. Andorra, si badi bene: è come dire Italia – Poggibonsi. Qualcuno è rimasto in un ufficio, a Rio de Janeiro, mentre la televisione trasmette l’incontro? La risposta è no. Cosa accadrà allo scoccare dell’ora magica, l’ora delle decisioni irrevocabili, l’ora della prima partita della nazionale? Banche e aziende chiuse, negozi a serrande abbassate, con i commessi dentro che guardano la TV (e del resto chi andrebbe a comprare qualcosa nell’ora suprema?), ristoranti che ricercano il consenso della clientela a colpi di pollici televisivi sempre maggiori, perfino i motel, luoghi deputati agli amori clandestini, cedono le armi. Chi cambierebbe un gol di Bebeto in diretta con un’avventura galante?

I giornali, già grassi e pesanti come commendatori, si arricchiscono di inserti dediti all’analisi scientifica di ogni più insignificante particolare dei mondiali prossimi venturi. Fanatismo da statistica. Dalla squadra più vecchia, e ovviamente quella più giovane, a quella più alta, e quella più bassa, e allora perché non quella più pesante, e quindi quella più leggera, e poi il giocatore con più presenze, e quello dai piedi più piccoli, ed il significato di ogni gesto dell’arbitro. Perché fare arbitrii? Anche quelli dei guardalinee. E i quiz, sai veramente tutto delle regole del calcio? E l’interessantissimo tema, come muta l’uniforme – uniforme, come i soldati – con l’evoluzione dei tessuti nel tempo. E il lancio della monetina, per sorteggiare il campo, dove lo vogliamo lasciare? Non merita anche lui un bell’articolo, con tanto di citazione che nel trentotto manca poco che la Germania e la Svizzera venissero alle mani per il sorteggio? Monete truccate, in tempi non sospetti?

Tutto vero, e manca una settimana all’Evento. Come riempiranno le pagine a venire i giornalisti in fregola? Con autocelebrazioni tecnologiche, quattro minuti per trasmettere una istantanea di un allenamento – via posta elettronica – da Parigi a São Paulo. E con foto e articoli a piena pagina sull’orecchino di Ronaldinho, come qui chiamano affettuosamente il noto giocatore dell’Inter. Dettaglio importantissimo: l’orecchino è di buon auspicio, recando i colori nazionali.

E allora via con l’orgia di verde e oro, colori sia della squadra, la Seleção, sia della bandiera brasiliana. Le pubblicità ne fanno ampio ed indiscriminato uso. Per vendere bisogna attirare l’attenzione. E nulla oggi vende meglio del verde-ouro della maglia brasiliana. Perfino le pubblicità più nobili giocano con il tema del calcio. Fantastica quella che a Fortaleza, nel Cearà, su rigoroso sfondo verde-oro, così recita: “20 Giugno, Brasile contro Paralisi – vinciamo questa partita. Vacciniamo i nostri figli contro la paralisi infantile”. Da paura.

Il calcio che salva delle vite? Ben venga. E che – tra un mese – vinca il migliore. Purché sia brasiliano.




Prima redazione : giugno 1998

domenica 8 giugno 2014

Paradossi


Riyadh, Arabia Saudita. Non credo ci sia un posto al mondo dove il carburante costa così poco. Credevo che "l'acqua costa più della benzina" fosse un paradosso o una battuta. Finchè non mi sono fermato a un distributore.

Quarantacinque centesimi di Riyal al litro. Al cambio, sono circa nove centesimi nostri. Il pieno a una macchina di media cilindrata si fa con 5 euro. In compenso l'acqua viene dalla desalinizzazione dell'acqua di mare, ed è la vera risorsa che il reame islamico non si può permettere di sprecare. Chi ti offre una bottiglia d'acqua fa un gesto la cui valenza non va trascurata.

Allora per un attimo ho pensato alle nostre fontanelle dalla testa di toro che buttano in continuazione acqua potabile e ho provato vari sentimenti contrastanti. Vedi come siamo fortunati: perché la vera ricchezza è l'acqua. Senza petrolio si vivrebbe certamente un po' peggio - si tornerebbe all'esistenza frugale dei bisnonni. Ma senza acqua si muore. Vedi quanto siamo spreconi: un bene così prezioso noi spensierate cicale lo facciamo scorrere inutilmente, a metri cubi, verso le fogne, senza che nessuno ne benefici, se non qualche sporadico cane o piccione all'abbeverata. Sarebbe come se gli sceicchi facessero sgorgare il petrolio da sottoterra e poi gli dessero fuoco, tanto chi se frega, sai quanto ne abbiamo ancora là sotto...

I catastrofisti dicono che se le ultime guerre del secolo scorso sono state combattute per il petrolio, la prima del nuovo secolo sarà combattuta per l'acqua. Cominciamo intanto a preoccuparci di non sprecarla. Almeno toglieremo ai guerrafondai una buona scusa per scatenare questo conflitto prossimo venturo.




lunedì 2 giugno 2014

Viva la privacy

Proprio vero. Paese che vai, usanze che trovi. Da noi capita talvolta che chi viene sorpreso in attività illecite sia nominato con le sole iniziali (e non è necessariamente un minore) oppure addirittura in forma anonima. Un ladro si è introdotto nella cascina ... S.G. è stato sorpreso a forzare la serranda di ...

Nell’aeroporto di Delhi troneggia il ritratto impettito e severo di Vijai Tiwari. Se fossimo in un albergo lo chiameremmo l’impiegato del mese. Ma Vijai appartiene al corpo paramilitare dei CISF, che si occupano di sicurezza aeroportuale.

Con abbondanza encomiastica di dettagli, il manifesto spiega che lo scaltro ufficiale ha scovato, meglio di un cane antidroga, la bellezza di dodici chili di sostanze proibite (anche se il principio attivo lo si trova perfino nei banali decongestionanti nasali) nella borsetta di una passeggera, menzionata con tanto di nome e cognome, paese d’origine e destinazione del suo volo. Manca solo di sapere se è libera e le misure di seno, vita e fianchi, come per le pin-up.

Cara Mjoli: non ti è passato per la testa che le borse devono passare allo scanner, con qualcuno pagato per stare lì tutto il giorno davanti a un monitor a ficcanasare ai raggi ics nelle scarselle della gente? E poi: dodici chili di pasticche? In una borsetta a mano? Avevi paura che ti facessero pagare il supplemento peso bagaglio, a metterle nella valigia da stiva?

Mah. Il prode Vijai avrà avuto anche buon fiuto. Ma non credo ci volesse Sherlock Holmes per beccare una corriera della droga così sprovveduta.