La Coppa del Mondo. Di edizione in edizione cambiano i nomi, magari le nazioni, ma l’evento rimane sempre uguale a se stesso. La stessa frenesia, la stessa passione, lo stesso sfinimento da ridondanza mediatica che permea ogni mezzo di comunicazione e invade ogni angolo dell’orbe terracqueo fino alla vigilia del primo fischio d’inizio. Da lì in poi è una costante, ansiolitica scivolata senza freni verso la finalissima, verso il traguardo della quadriennale gloria pallonara: ecco i campioni del mondo.
Per celebrare degnamente questa giornata d’esordio, Homing Pigeon è andato a ripescare un vecchio inedito. Scritto sedici anni fa in Brasile, appena prima dei mondiali di – e della – Francia. Buon calcio a tutti, anche agli agnostici come me.
L’Evento
Alle altre passioni nazionali va aggiunta di diritto quella che, come un’epidemia, cova nascosta a lungo per poi esplodere in tutta la sua virulenza ogni quattro anni, allo scoccare dell’Avvenimento: la Copa.
Copa, sic et simpliciter, una parola per designare i mondiali, la Coppa del Mondo, l’unica degna di questo nome, l’unica per la quale merita soffrire, sperare, piangere, perfino morire. O gioire, godere, impazzire, come solo i brasiliani sanno fare.
Ed ecco una nazione trasformarsi, complice quello che non è più uno sport, non è più un gioco, non è più soltanto un business: è la vita. Il Futebol. Il fuciboli, come suona nella pronuncia brasiliana, è un valore trascendente.
L’Evento trasforma il Brasile in una curva da stadio, una torcida, formato nazione. E che nazione. Centosessanta milioni di torcidores, perfino l’aria è impregnata di tifo.
Rare sono le macchine che non esibiscono una bandierina inastata ed ancorata al finestrino del passeggero, in una improvvisa fiera dell’orgoglio nazionale.
Fanciulle belle e accattivanti, in perfetta tenuta da calciatore, con tanto di scarpette chiodate, invitano all’acquisto nei Duty Free Shop degli aeroporti, promettendo in regalo faraonici kit del tifoso, costituiti da magliette, cappellini ed altri gadget dell’autentico “torcidor”.
Insospettabili capitani d’industria mostrano, con la fierezza dei vincenti e la serenità di chi è nel giusto, piccoli computer tascabili su cui hanno registrato gli orari delle principali partite. I cerberi elettronici li difendono dalla bizzarria di qualche importuno, certo straniero, che pretendesse un appuntamento d’affari in concomitanza con un incontro importante. E quale non lo è, quando si parla di mondiali?
Vai a Rio, ti mostrano un campo spelacchiato - forse i nostri oratorii hanno più erba - e ti raccontano, con enfasi da reliquia religiosa, che proprio lì, fra quella polvere e quei sassi, tirò i primi calci al pallone il ragazzino che divenne Romario. Che ora piange in diretta televisiva per l’esclusione dalla nazionale, e con lui mezzo Brasile, mentre l’altro mezzo inveisce contro Zico, ex campione, ora dirigente e chiamato di correo in tanta crudeltà politico-calcistica.
Il Brasile gioca un’amichevole con Andorra. Andorra, si badi bene: è come dire Italia – Poggibonsi. Qualcuno è rimasto in un ufficio, a Rio de Janeiro, mentre la televisione trasmette l’incontro? La risposta è no. Cosa accadrà allo scoccare dell’ora magica, l’ora delle decisioni irrevocabili, l’ora della prima partita della nazionale? Banche e aziende chiuse, negozi a serrande abbassate, con i commessi dentro che guardano la TV (e del resto chi andrebbe a comprare qualcosa nell’ora suprema?), ristoranti che ricercano il consenso della clientela a colpi di pollici televisivi sempre maggiori, perfino i motel, luoghi deputati agli amori clandestini, cedono le armi. Chi cambierebbe un gol di Bebeto in diretta con un’avventura galante?
I giornali, già grassi e pesanti come commendatori, si arricchiscono di inserti dediti all’analisi scientifica di ogni più insignificante particolare dei mondiali prossimi venturi. Fanatismo da statistica. Dalla squadra più vecchia, e ovviamente quella più giovane, a quella più alta, e quella più bassa, e allora perché non quella più pesante, e quindi quella più leggera, e poi il giocatore con più presenze, e quello dai piedi più piccoli, ed il significato di ogni gesto dell’arbitro. Perché fare arbitrii? Anche quelli dei guardalinee. E i quiz, sai veramente tutto delle regole del calcio? E l’interessantissimo tema, come muta l’uniforme – uniforme, come i soldati – con l’evoluzione dei tessuti nel tempo. E il lancio della monetina, per sorteggiare il campo, dove lo vogliamo lasciare? Non merita anche lui un bell’articolo, con tanto di citazione che nel trentotto manca poco che la Germania e la Svizzera venissero alle mani per il sorteggio? Monete truccate, in tempi non sospetti?
Tutto vero, e manca una settimana all’Evento. Come riempiranno le pagine a venire i giornalisti in fregola? Con autocelebrazioni tecnologiche, quattro minuti per trasmettere una istantanea di un allenamento – via posta elettronica – da Parigi a São Paulo. E con foto e articoli a piena pagina sull’orecchino di Ronaldinho, come qui chiamano affettuosamente il noto giocatore dell’Inter. Dettaglio importantissimo: l’orecchino è di buon auspicio, recando i colori nazionali.
E allora via con l’orgia di verde e oro, colori sia della squadra, la Seleção, sia della bandiera brasiliana. Le pubblicità ne fanno ampio ed indiscriminato uso. Per vendere bisogna attirare l’attenzione. E nulla oggi vende meglio del verde-ouro della maglia brasiliana. Perfino le pubblicità più nobili giocano con il tema del calcio. Fantastica quella che a Fortaleza, nel Cearà, su rigoroso sfondo verde-oro, così recita: “20 Giugno, Brasile contro Paralisi – vinciamo questa partita. Vacciniamo i nostri figli contro la paralisi infantile”. Da paura.
Il calcio che salva delle vite? Ben venga. E che – tra un mese – vinca il migliore. Purché sia brasiliano.
Prima redazione : giugno 1998
Il tempo della lettura mi sono ritrovato in Brasile. Post Straordinario. E mentre sto guardando un mediocre Brasile-Croazia il nome di Zico evocato nel post mi ha ricordato che la più bella partita che ho vista in vita mia, è stata un Brasile-Francia del 1986. Mai più ho visto una partita di questo livello...E anche se abbiamo vinto la partita, ho pianto per l'eliminazione del Brasile di Socratès !
RispondiEliminaAlex
ciao Alex,
Eliminagrazie del commento e del contributo calcistico. Ognuno ha qualche match speciale che ama ricordare. Per me rimangono insuperati i due scontri con la Germania del settanta e dell'ottantadue. Altri temperamenti, altri atleti. Meno modaioli, più concreti e determinati.
Ciao, buona domenica, a presto,
HP
Che cosa succederà il fatidico giorno? Lo abbiamo visto: 0 a 0 con il Messico. Se come calciatori fossero al tuo livello di scrittore...
RispondiEliminadragor (journal intime)
Caro Dragor,
RispondiEliminasiamo solo all'inizio dell'avventura, e l'Italia già rischia di fare il bis di quattro anni fa e tornarsene a casa prematuramente. Dopo l'entusiasmo per la vittoria contro gli inglesi, il Costa Rica ci ha riportato con i piedi per terra. Facendo riaffiorare nei critici paragoni con il massacro coreano del sessantasei...
Grazie del commento e delle tue sempre troppo lusinghiere parole, a presto,
HP