Ci sono capolavori assoluti, emozionanti a prescindere. Non importa quante volte uno abbia la fortuna di rivederli. Ogni volta è come se fosse la prima. Uno di questi è la Pietà: Michelangelo, il suo genio, la sua straordinaria manualità al loro massimo.
La plasticità immota del Cristo morto. La delicatezza ieratica di una madre colta nel momento orribile in cui regge fra le braccia il cadavere del figlio. La preziosità leggiadra dei tessuti drappeggiati nel marmo da mano maestra.
Dei particolari sembrano sul punto di animarsi, lì per lì. La mano della Madonna che si insunua tra il braccio e il costato di Gesù, dalla testa esanime e abbandonata all’indietro. Il volto di Maria, innaturalmente giovane e morbido, sereno quasi, lontano dalla pena infinita della deposizione del figlio crocifisso. Il corpo seminudo del Cristo, affranto ma nel contempo aitante e bellissimo.
Tutto questo Michelangelo è stato capace di trovare – magia sublime – in un inanimato blocco di candido marmo di Carrara. E di regalare – nei secoli a venire – emozione imperitura alle generazioni fortunate a sufficienza da entrare un giorno in contatto col suo sommo capo d’opera. Sembra quasi di vedere la mano dello scultore che a poco a poco toglie il materiale superfluo, rivelando il capolavoro che è sempre stato nascosto lì dentro.
Oggi purtroppo, nell’epoca della comunicazione digitale, nessuno si è davvero soffermato ad ammirare nei dettagli l’incanto di questa meraviglia. Centinaia di persone, dai cinque continenti, e sempre la stessa routine. Si aspetta in coda. Si conquista il posto davanti alla marmorea balaustra che la recinge. Si inquadra. Si scatta. Si controlla. Se non è venuta bene, si armeggia un po’ con le regolazioni e se ne prova un’altra. Ecco fatto. Passiamo al prossimo oggetto da documentare. Poi la Pietà ce la guarderemo con comodo a casa, magari sul maxischermo della nuova tivu talmente smart (intelligente) da potersi permettere proprietari dumb (cretini).
Video, ergo sum. Questo è l’errore – o l’orrore, fate voi – dell’era odierna. Se non l’ho fotografato, non esiste. Si fissa l’immagine, ma non ci si ferma ad ascoltare cosa trasmette quell’opera d'arte. E subito si corre oltre, pressati dall’urgenza di vedere tutto, senza in realtà aver visto nulla. Quantità, non qualità.
Così questo racconto è privo di foto. Perché per quasi un’ora sono stato immobile e ammutolito di fronte alla Pietà, completamente rapito da questa prova palpabile del genio umano. E perché le parole talvolta sanno descrivere le emozioni che nessuno scatto è in grado di fermare e riprodurre. Quelle emozioni che Michelangelo, secoli dopo la sua morte, continua a suscitare, in chi ha occhi e cuore per provarle. Grazie, Maestro, di essere esistito.