domenica 20 giugno 2010

Premonizioni

Che cosa spinge un viaggiatore, dopo quasi diciannove ore di viaggio, a voler ancora curiosare al di là di una vetrata aeroportuale, per vedere se le proprie valigie escono davvero dalla pancia del velivolo? Forse lo spirito masochistico che fa dire, sì, eccomi tornato a casa, la riconosco da quei piccoli inconfondibili dettagli sintomatici dell’Italia cialtrona e menefreghista. O forse quel tarlo quasi invisibile che ti fa sempre salutare con inquietudine i bagagli alla partenza, nella speranza di ritrovarli a destinazione, pensando a quante migliaia di colli scompaiono misteriosamente nel nulla ogni anno. O magari è solo ciò che dà il titolo a questo racconto: una premonizione. Perché altrimenti non si spiega come mai, proprio ieri, all’aeroporto di Torino, mi sia soffermato così a lungo a rimirare le operazioni di scarico, tanto da godermi questa imperdibile scenetta, tutta italica nella sua sciatteria. Quattro addetti, dico quattro, che gironzolano attorno al nastro appoggiato all’aereo. Uno è dentro alla stiva, gli altri con malagrazia trasbordano il valigiame sul carrello che lo porterà al nastro, per la gioia dei trasvolatori. Tutti tranne uno, subito chiamato con l’altoparlante, e invitato a presentarsi al banco bagagli smarriti. L’invito è garanzia che i colli non ce l’hanno fatta, e sono rimasti in quel di Francoforte – se va bene.

Non ci si aspetta – giova ricordarlo, siamo in Italia, mica in Giappone – che i colli siano trattati in guanti bianchi. Ma nemmeno di vedere che la mia valigia, inconfondibile per i colori particolari, venga malamente sbattuta sul nastro dall’addetto nel ventre dell’aereo, ivi percorra meno di qualche centimetro, per poi cadere rovinosamente al suolo da almeno tre metri. Complimenti. Arrivo al nastro con la certezza – e una certa dose di curiosità mista a giramento di corbelli – di trovare il collo danneggiato. Dopotutto, anche se di solida costruzione giapponese, non è progettata per cadere di spigolo, con tutto il suo peso, dal primo piano di una casa. Infatti. Curiosità appagata. Lo spigolo è squarciato, la ruota non piroetta più, oh, molte grazie, premurosi addetti ai colli.

Vado a fare la denuncia. L’impiegato, evidentemente seccato dal fatto di dovere star lì a lavorare di sabato, invece di essere in centro a far compere, non sembra assolutamente interessato ad ascoltare il mio racconto visuale di come sono andati i fatti. Chi se ne frega chi è stato, tanto c’è l’assicurazione che paga, no?, sembra pensare mentre meccanicamente compila i moduli del caso. È di qualche marca?, mi chiede. No, l’ha fatta Gesù Cristo, mi verrebbe da rispondergli, ma invece gliela dico: Lojel, giapponese. Ovviamente nel verbale non viene riportata, forse era troppo difficile da scrivere. Si rivolga qui, il perito valuterà se è riparabile o se le verrà sostituita. Al che (non è la prima volta che mi capita) lancio una domanda provocatoria, giusto per sondare la sua onestà intellettuale: ma se non è riparabile, me la sostituiscono con una uguale? Certo.

Andiamocene, che è meglio. Uscendo trovo uno dei doganieri più cortesi con cui abbia mai avuto a che fare. Dopo le domande di rito, da dove viene, ha acquistato qualcosa, orologi, altro (ma perché questa fissa per gli orologi? Avete mai provato a guardare i prezzi dei Rolex – quelli veri – in Cina o in Giappone? Lo sapete che sono i cinesi a venire a comprarli in Italia perché risparmiano il venti per cento e soprattutto sono – quasi – sicuri di non farsi dare delle bidonate da dei rivenditori disonesti che spacciano per veri delle imitazioni?). No, non ho acquistato nulla, sono in giro per lavoro. Che tipo di lavoro? Glielo spiego. Insomma, due chiacchiere senza quell’ansia inquisitoria che ti mettono spesso addosso le forze dell’ordine, anche se sai che non hai nulla da nascondere. Alla fine non mi congeda con quel tipico magnanimo vada, vada pure, che sembra quasi dire questa volta l’hai fatta franca… No, mi porge una lunga, convoluta frase di ringraziamento, quasi un apprezzamento per il tempo e l’attenzione che gli ho dedicato. Bravo, sconosciuto finanziere. Ogni tanto fa piacere trovare qualcuno che fa il proprio mestiere con garbo, senza arroganza. Onore al merito.

Compensa per quegli indolenti farabutti che mi hanno sventrato la valigia? No, purtroppo no. Quella rimane così, e ora ci faremo due risate a discutere con la ditta incaricata, che quasi di sicuro cercherà di rifilarmi una porcheria che dura da Natale a Santo Stefano (esperienza diretta, l’ultima volta il bagaglio in sostituzione è durato un viaggio: uno solo, va bene?!), che durerà e varrà – parlo di valore, non di costo – un decimo del mio, e che probabilmente faranno pagare profumatamente alla Lufthansa, incolpevole responsabile del danneggiamento.

Caro direttore di Caselle: le capita ogni tanto di uscire dal suo ufficio e di fare un giro per lo scalo? Giusto per vedere come la gente che lavora lì tratta i clienti ed i loro bagagli. Lo faccia. Ne vale la pena. Se è vero che l’occhio del padrone ingrassa il cavallo, magari qualche miglioramento, noi tapini viaggiatori, lo noteremo. Perché per fare un lavoro malamente, danneggiando proprietà di altri, indisponendo quelli che alla fine pagano lo stipendio di questa gente (niente viaggiatori, niente scalo, niente posti di lavoro), ci vuole lo stesso tempo che a farlo bene. La differenza è l’atteggiamento. Non c’è niente come un capo che sorveglia, per fare lavorare i dipendenti come si deve.

Cara Lufthansa: ho viaggiato con soddisfazione e a lungo con te. Ti do del tu perché ti considero una presenza familiare nel mio frequente peregrinare. Ho perso aerei, ed anche bagagli. Sì, in tanti anni di viaggi è capitato anche questo. Ma mai una volta che tu mi abbia lasciato a terra, abbandonato a me stesso, senza informazioni, senza un piano B che mi portasse dove dovevo essere solo con qualche oretta di differenza. Senza che – in Germania, non in Italia – si siano fatti in quattro per farmi avere la mia valigia dimenticata (a Torino!) portandomela in albergo anche a mezzanotte. Questa è efficienza. Questa è cura del cliente. Per questo oggi scrivo anche a te, cara aviolinea germanica. Perché non mi sembra giusto che tu mi ripaghi un bagaglio (anche se sei tenuta a farlo, anche se chissà quanto spendi di assicurazioni per coprire queste noiose evenienze) senza che io ti informi che non è colpa tua, ma di qualche maldestro e infingardo operatore di nastro. Italiano. Non servirà a nulla tutto questo? Non lo so. Di certo non serve a nulla stare zitti, incassare, farsi maltrattare da chi è coperto dall’anonimato corporativo.

Se non partiamo dai dettagli, dalle piccole cose, solo apparentemente insignificanti, non diventeremo mai un paese civile. E poi ci lamentiamo se i turisti non vengono più in Italia come una volta.

4 commenti:

  1. Forse anche gli addetti allo scarico dei bagagli sognavano un sabato festoso tra vetrine e eppiauar.
    Credo che in questo Paese l'aspirazione lavorativa di molti sia una lunghissima aspettativa interamente retribuita, intervallata da brevi periodi di timbratura del cartellino.
    Insomma, lavorare è fatica, no?
    Tesea

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  2. ciao Tesea,

    debbo purtroppo concordare con te. Ancora troppa gente pensa che il famoso posto sicuro sia una garanzia indipendente dal fatto di lavorare davvero. Salvo poi lamentarsi quando il posto non solo non è più sicuro, ma scompare.

    Certi poi non fanno nemmeno la modica fatica di timbrare il cartellino: hanno direttamente dei colleghi compiacenti che timbrano per loro, mentre i furboni fanno le compere o magari si dedicano ad una seconda, lucrosa attività in nero...

    Ciao, a presto,
    HP

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  3. Hai tracciato un ritratto che non ci fa onore, ma che, ahinoi, corrisponde alla realtà che anch'io conosco.

    Chissà dove ci porterà questo "lasciar correre", questa apatia, questa mancanza di senso civico?

    Buona settimana, HP.

    Un abbraccio.

    Elena

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  4. Ciao Elena,

    non so dove ci porterà (in senso lato) ma so dove potrebbe portare me, se continua e anzi peggiora: lontano da questa incivile Italia, in terre più serie. Ho delle idee in testa, come forse saprai.

    Grazie della visita e del commento, buona settimana anche a te, a presto,
    HP

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