Un’esperienza diversa. Ancora una volta. Ero pronto a tutto – credevo – in fatto di cibo. Un motto. Posso mangiare tutto quello che si muove. Ammesso che sappia di cosa si tratta, prima. Per un attimo ha vacillato dalle fondamenta, questo mio principio, questo dogma, questo postulato.
Cina. Jiangmen, provincia del Guangdong. Cena con clienti. Che chiedono premurosi, frutti di mare? Dopo un orrido hamburger a mezzogiorno, trangugiato in macchina, senza manco fermarsi, che se no si perde tempo, non posso che dire di sì.
Ristorante. Sala riservata, con maledetta aria condizionata anche se fuori, di sera, ci sono dodici gradi, e magari il riscaldamento non ci starebbe neanche male. Televisione. Maledetta anche quella, quando non trasmette le lagne del karaoke fa danni anche peggiori. Tutti seduti, sei persone, cerimonia del tè. Al crisantemo. Meraviglioso. Si comincia bene. E poi. Andiamo a scegliere il pesce, propone l’anfitrione. Andiamo. Ci alziamo, visita alla zona vasche con animali vivi. Gamberetti? Bene. Il granchio? Ottimo. Un paio di pesci? Magnifico. Saltiamo le stie con i serpenti, e dopo me ne rammaricherò. Arriviamo al dunque: vuoi provarli? Per la prima volta, in vita mia, ho avuto un’esitazione. Non di ordine morale. Di ordine, come dire?, viscerale.
Scarafaggi. Che sguazzano, vivacissimi, in una bacinella. Nemmeno il tempo di dire che forse, che in fondo, che insomma.., ed eccone un bel retino da farfalle pieno, pronto alla pesa. Ma come si cuociono, provo a traccheggiare. Fritti! E beh, è naturale, come chiedere da noi, ma questa braciolina come la prepari?
Ho il tempo di tornare a tavola, e cercare di prepararmi mentalmente all’operazione. Rifiutare? Non sia mai detto. Ne va della mia stessa parola. Sostenuta a testa alta in mille conversazioni con asiatici increduli. Che dopo, regolarmente, si ricredevano. Accampare banali scuse, tipo un’improvvisa allergia nei confronti degli coleotteri? No, ormai sono in ballo. E devo ballare. Intanto provo ad impormi un training autogeno, in fondo cosa li differenzia da tanti altri animali che letteralmente squarti, apri e divori, vedi gamberi, granchi, lumache, rane… Tento anche con l’autoconvincimento salutista, toh, mi ricordo ora di avere letto da qualche parte di uno che ne andava matto, e che, in sovrappiù, sosteneva che fanno benissimo, che sono pieni di vitamine, insomma un toccasana per la salute...
Arrivano. E sono dannatamente loro. Riconoscibilissimi. Interi. Sembrano quelli della pubblicità del Baygon. Li ammazza stecchiti. Neri, grossi, lucidi come nelle collezioni dei musei. Ammucchiati in un piatto decorato da ruote di cetrioli. Deposti su una carta graziosamente orlata che assorbe l’olio della frittura. Con le zampine rattrappite, come gli insetti che trovi morti nelle docce degli alberghi infimi, che ti riprometti, mai più qui.
E allora? Aspettiamo. Qualcuno darà il via alle danze. Infatti. Ora ti spiego, mima uno. Lo afferra per le zampe, gli stacca con cura le due elitre, poi le ali. Via la testa. In un morso tutto il corpo, corazza addominale compresa, sparisce in un rapido scrocchiare di denti. Come addentare un grissino. Forse. Ma solo per il rumore.
Proviamo. Coraggio. Non è mai morto nessuno – almeno spero – per avere mangiato un insetto. Milioni di uccelli se ne cibano. E crudi. Vivi. Vedi che culo che ho, a mangiarli morti e perfino fritti! Lo agguanto per le zampine, e subito mi se ne tronca una in mano, lasciando cadere il corpo mutilato nel piatto. Sono pure fragili, questi lazzaroni! Stacco un’elitra, poi l’altra. Poi le ali. Come le mosche nei giochi crudeli dei bambini.
Sollevo gli occhi, i miei, dalla preda. Cinque paia di occhi mi osservano con aria interrogativa. Ce la farà? Mi cade lo sguardo sul televisore, una orrendissima storia di spadaccini cinesi scorre sullo schermo. Assurda al punto da apparire ridicola, penosa. Ma come fanno a produrre – e soprattutto a guardare, senza avere conati di vomito – queste porcherie? Roba che il cavaliere intrepido, per salvare la donzella dai cattivi, ne fa fuori venti alla volta, brandomuniti, con una scimitarra più efficace di un Kalashnikov. Highlander gli fa un baffo, a quello.
Meglio, molto meglio tornare al nostro insetto. Lo addento. Anzi, ormai che ci sono, lo mordo, provando a metterlo in bocca come fanno gli altri. Sì. Sembra proprio un grissino. Caldo, croccante, perfino un po’ dolce. Ma per una volta, e mi torna difficile ammetterlo, non dovrei pensare a quello che sto macinando tra i denti.
Lo confesso. Sono stato incerto tutta la sera se mangiarne un secondo. Vile. Non ce l’ho fatta. I maledetti, come una condanna infernale, mi ricapitavano sempre davanti agli occhi, complice il perfido marchingegno rotante dei deschi rotondi cinesi.
Ho riflettuto, mentre i commensali animavano la serata, grazie alle abbondanti dosi di vino cinese. Ho pensato a lungo. Ed ho maturato una serena consapevolezza. Che, come tutto il resto del mondo, anch’io ho diritto ai miei gusti. Saranno anche dolci, faranno anche benissimo, ma a me gli scarafaggi non piacciono.
Buono, ma basta. Mi sono riaffiorate alla mente le eufemistiche parole che, bambino, pronunciavo quando qualcosa veramente non mi piaceva, ma non era bello ammettere apertamente che mi faceva proprio schifo.
Dopo i sorrisi di apprezzamento per il gesto coraggioso, non ho ceduto alle lusinghe ed agli inviti a servirmi di nuovo della prelibatezza locale. No, grazie. Preferisco i gamberetti. Mai quel colore rosa carico mi era stato così simpatico, confrontato col lugubre nero da becchino delle livree da blatta. Mai quell’intenso profumo di pesce mi era stato tanto gradito, se paragonato all’insopportabile mancanza di odore di questi insetti.
Più che tutto, anonimi. A distanza di poche ore, non ne ricordo bene neppure il sapore. E non è rimozione freudiana. È proprio assenza di emozione da gusto, quella che mi è rimasta dentro.
Peccato. Perché gli unici felici sono stati i miei ospiti, che se ne sono andati contenti e soddisfatti, con dentro già l’idea di raccontare agli amici di quella volta che quell’italiano mangiò perfino uno scarafaggio. Beati loro.
Prima redazione : dicembre 2000