Ultima puntata della trilogia dedicata a Shanghai ed alle sue immagini.
Fanno la fila, come dal dottore, aspettando il loro turno al parapetto. Tante coppie di sposini bianchi candidi, quali colombe dal disio chiamate. Avanti il prossimo. Ecco, tocca a loro. Circondati da una calca domenicale trasandata e ciabattona che mangiucchia, sputacchia, addita e ridacchia. Ma loro non se ne curano. Lui si perde nel viso di lei, lei scruta lontano, oltre la suburra, con uno sguardo intenso e affettato da attrice, alla Gong Li, musa ispiratrice di tante giovani cinesi. Folla, fotografi, parabole argentate, assistenti al soglio che reggono il velo. Divi per un minuto. È tutto quello che chiedono alla vita. Domani si torna in fabbrica.
Hanno cominciato loro. Antica scusa da bambini, quando le mamme dividevano marmocchi maculati dalle botte che si erano dati. Chi ha cominciato?, chiedevano fintamente severe. Lui, era la risposta all’unisono, con reciproci additamenti. Ma questa volta hanno davvero cominciato loro. Stavo studiando verso che ora non avrei più avuto impedimenti umani a fotografare la casa da tè in mezzo al laghetto (probabilmente oltre la mezzanotte, a giudicare dalla inesauribile folla), quando mi sono accorto che la fanciulla, armata di un ilare sorriso, mi stava puntando addosso il telefonino. Mi sono girato, per capire cosa ci fosse di così rimarchevole dietro di me. Nulla, se non altra folla. Ero proprio io il soggetto. Un laowai originale al punto da fotografarlo? Mah. Alla piccola ritrattista però non bastava. Ha spinto il suo filarino, capelli e occhiali da clone di boy-band taiwanesi (ognuno ha i take that che si merita), a mettersi in posa accanto a me. Dovrò indagare. Forse assomiglio a una vecchia gloria locale, pensionata da concerti rock. A questo punto, per ricambiare la cortesia, non ho potuto esimermi dal ritrarli insieme. Sapessi dove trovarli, glielo manderei, questo scatto. Quella piccola, gioiosa adolescente mi ha regalato un sorriso di una serenità e di una dolcezza indimenticabili. Felicità è: farsi ritrarre stretta al proprio amoruccio, all’imbrunire, come sfondo l’icona del romanticismo shanghainese.
Lo confesso. Ci sono foto che vorrei scattare, ma non so se chiederlo, e come. O se rubarle, di sottecchi, sperando che vengano bene. Non tutti hanno piacere ad esser ritratti da uno sconosciuto, ed io detesto i rifiuti. Ma quando ho visto questo lui, dai tratti più berberi che orientali, fotografare la sua metà, non ho resistito. L’inconsueto mi tira sempre fuori la sfacciataggine. L’ho agganciato con la più classica delle profferte, a cui quasi nessun turista sa resistere (e talvolta se ne pente): dammi la macchina che vi faccio una foto insieme. Sono i momenti in cui capisci se ispiri un’istintiva fiducia nel prossimo. Insomma, dopo lo scatto di prammatica – impettiti e contegnosi, davanti all’ennesimo fantoccio color puffo sbiadito, simbolo dell’Expo universale del prossimo anno – ho chiesto loro di ritrarli di nuovo, ma con la mia. Un diniego, a questo punto, era fuori questione. Quel delicato, quasi formale e per nulla coprente velo di pizzo nero, ben diverso dall’opprimente sudario delle saudite, ne rivelava l’appartenenza alla non irrisoria comunità mussulmana cinese. Lei aveva un’espressione di stuporosa meraviglia, da bambina trasportata nel mondo delle fiabe, lui sapeva addirittura buttare lì quattro parole di inglese. Siamo del Qinghai, mi ha detto quando gli ho domandato da dove venissero, e lo stupore si è trasformato in entusiasmo alla scoperta che uno straniero (Italia? Dov’è l’Italia?) non solo fosse a conoscenza della semplice esistenza di questo luogo, ma perfino sapesse collocarlo mentalmente sulla mappa cinese, laggiù, vicino all’irrequieto Tibet. Più conosco persone, più concordo col paradosso di Carlin. Ci sarebbero meno guerre, se ci fosse più comprensione della diversità degli altri. Che talvolta può essere affascinante, bellissima e arricchente.
Prima pubblicazione : 20 marzo 2009
Ahimé ! Sto per morire ! Non avrei dovuto fermarmi ad ogni bancarella di cibo cinese in strada...mi sento male...sono assetato. Ma cos'era il liquame verde che ho visto nella padella ? adesso, ho la schiuma in bocca !...Ah, ecco il giardino Yu...se riesco a fare ancora quattro passi sono salvato...ci sono ! giusto di fronte al ristorante la gru e il pino, la casa da tè Huxinting !
RispondiElimina- Garzone !
- sir ?
- una tazza di pozzo di drago (lung-ching) quello che fa bene allo stomaco.
Ovviamente, ne ho bevuto tanto che tutti hanno voluto farsi fotografare con il laowai...
Una bellissima passeggiata, degli incontri...Io mi sarei accontento di pascolare sul bund con gli turisti. Forse, perché ho una visione romantica di Shanghai piena di cliché : le concessioni, gli anni trenta, la guerra dell'oppio, i casini, il denaro facile, Chiang Kai-shek, Mao...
Alex
Leggendoti la Cina è sempre più vicina e, con queste foto, anche i Cinesi.
RispondiEliminaTesea
ciao Alex,
RispondiEliminahai seguito molto bene il percorso della passeggiata! Effettivamente, dopo un po' di girovagare per la Shanghai vecchia, sono finito al Yu Yuan. Non ho bevuto il tè (questa volta), ma la casa da tè collegata dal ponte dai nove angoli retti è un appuntamento ricorrente per rilassarsi ed apprezzare un buon Long Jing, o Mao Feng, oppure un delicato bianco tipo Bai Mu Dan o Yin Zhen Bai Hao...
Come suggerisci tu: un giro sul Bund? Benissimo di sera. Le concessioni Francesi? Sempre bellissime, di giorno e di sera, villette ben tenute e nascoste dal verde vicino a Zhao Jia Bang Lu. I casini? Ci sono sempre, solo che ora si chiamano karaoke...
Grazie del commento, a presto,
HP
Ciao Tesea,
RispondiEliminalo si diceva tanti ma tanti anni fa, la Cina è vicina, ed aveva un sapore minaccioso. Mai come oggi lo è. Non minacciosa. Ma non meno conquistatrice.
Queste sono solo modeste istantanee del Regno di Mezzo. Lieto che ci siano amiche come te che le apprezzano.
Ciao, a presto,
HP