Cartelli e altro nel Giappone post Fukushima.
Engrish. L’eterno dilemma: elle o erre? Al contrario dei cinesi, i giapponesi hanno difficoltà con le elle. Eccone l’ennesimo esempio – comico, e nemmeno originale: questo qui pro quo era già uscito in una pubblicità qualche annetto fa. Non il più felice degli errori, dato che Flight (volo) diventa Fright (spavento!).
Comunicare. Fin dall’arrivo in aeroporto cominci a respirare aria di austerità. Un cartello spiega che l’aria condizionata è razionalizzata (forse volevano dire razionata, ma gli devono essere scappate alcune lettere in più), le lampadine non sono tutte accese e alcuni ascensori sono fermi. Poi, con formalismo molto nipponico, si scusa per il disagio e chiede pazienza e collaborazione. Ora, passi la pazienza. Ma la collaborazione? Ci sono alternative, piuttosto che collaborare? Qualcuno si porta una torcia da casa per supplire alla mancanza di quel neon? Uno sta fermo per protesta davanti alla porta di un ascensore disattivato, sperando che il suo gesto magicamente restituisca energia alla docile macchina? A proposito di aria condizionata. Fino al disastro di Fukushima, per strada distribuivano gratis piccoli pacchetti di fazzolettini con le pubblicità sopra. Ora l’oggetto principe per stamparci una reclame è il ventaglio. Meno condizionatori, tutti a farsi aria manualmente. Anche questo è un risparmio.
Fate i bravi, bambini. I giapponesi sono abituati ad essere trattati come tali. Anche in tempi di necessari risparmi energetici, di black-out programmati, di tensione centellinata, li trattano come alunni di scuola inferiore, a cui ricordare, con tavole sequenziali e descrittive, come comportarsi in ufficio per alleggerire la bolletta. Le sette buone azioni: uno, condizionatore a ventotto gradi (e non il solito freddo polare che fa malissimo!); due, camicia a maniche corte e niente cravatta obbligatoria, per aiutare il punto numero uno; veneziane alle finestre, per riparare dal calore del sole (aridaie col punto uno!); quattro, luci al neon che consumano meno; cinque, incredibile ma vero, fuori dall’ufficio alle cinque in punto, stare fino a sera non è più dimostrazione di attaccamento all’azienda ma egoistico consumo di luce e macchinari elettrici; sei, sfruttare l’energia solare per alimentare l’ufficio; sette, universale raccomandazione di tante madri a figli distratti, spegnete la luce quando uscite dalla stanza. Un leccalecca a chi rispetta tutti i precetti.
Wagyu beef, che salasso! Risparmiare sulla bolletta non significa che per mangiare una bistecca della pregiatissima carne marezzata delle mucche di Kobe non si debbano tuttora spendere cifre oltraggiose. Ecco un esempio. Attenzione: i prezzi non sono quelli di un ristorante alla moda, ma di un banalissimo supermarket. Tre bracioline 15.000 Yen, cinque 25.000. Cinquemila yen cadauna: al cambio 45 Euro. Una confezione – compresa una pregevole ma perfettamente inutile scatola di legno, quasi 230 Euro. Niente male per non più di un chiletto di carne. Sia pur di Kobe.
Compostezza. Questo è un corteo. Davvero. Questi signori manifestano per un Giappone con più energia pulita e meno centrali nucleari. Un ordinato gregge di pecore guidate da dei pastori-poliziotti, con tanto di auto capocolonna che dà il ritmo alla marcia e preannuncia – nell’apposita corsia, per lasciare le altre agli automobilisti – l’arrivo dei dimostranti. C’è chi si indigna. Gente che manifesta per le strade? Tra un po’ magari ci sarà chi oserà scioperare. O tempora o mores.