sabato 18 settembre 2010

Cinesi; falsi; e cortesi. (terza parte)

Cinesi tre: cortesie inaspettate (不好意思耽误您时间).

Cosa sta succedendo alla Cina? O forse è solo Shanghai, e solo per il magico periodo dell’Expo? Mi avevano avvisato, i soliti amici locali, che nei sei mesi dell’Esposizione Universale ci sarebbero stati controlli, verifiche, tempo da perdere in file di gente passata allo scandaglio elettronico, stazioni ferroviarie trasformate in aeroporti, con ispezioni ai raggi ics di ogni bagaglio. La solita mania della sorveglianza, unita all’impalpabile ma presente timore di attentati terroristici o semplici mattane isolate, fa sì che rientrare in Shanghai – anche in autostrada – diventi pretesto per investigare la validità delle ragioni di ogni singola persona per volere proprio varcare le invisibili mura della metropoli.

Tocca avere il passaporto alla mano, arrivati al varco in cui si vanno ad invischiare colonne di mezzi che vogliono guadagnarsi l’accesso alla città che non dorme mai. Districarsi in quel bailamme è cosa per autisti locali, pratici del codice non scritto per cui si passa davanti ad uno, ma non ad un altro, nel vano tentativo di guadagnare qualche centimetro – e qualche minuto.

Il poliziotto fa il suo dovere, lui come mille altre formiche che passano la giornata ritirando documenti, portandoli in un ufficio che si immagina informatizzato, ritornando dopo qualche minuto badando bene di rendere le carte alle persone giuste – cosa non facile, visto che l’indisciplina regna sovrana, ed ognuno si sente in diritto di spostare la macchina, scendere dal mezzo, magari approfittare per una capatina ai servizi (quando non direttamente espletare contro il guard-rail).

Prima che il mio documento torni, un altro giovane funzionario si avvicina alla vettura e – in inglese! – sente il bisogno di spiegarmi che è una formalità necessaria, e accenna il piccolo inchino di chi chiede comprensione. Pochi minuti, ed ecco apparire il passaporto. Lo stesso gendarme che lo aveva ritirato mi lo rende, porgendolo a due mani, segno di rispetto. Solo una frase, che mi lascia di stucco: bùhǎoyìsi dānwu nín shijiān. Le chiedo scusa per aver sprecato il suo tempo. Fa un marziale saluto militare di congedo, mentre il finestrino elettrico risale silenzioso e la macchina già si muove. Mi sento un generale in visita alla truppa, mentre quel fantaccino rimane impettito sull’attenti, e quasi mi viene da contraccambiare quel saluto così deferente.

Che roba. Perfino i poliziotti cinesi improvvisamente gentili e ossequiosi, doveva regalarci questa Expo.

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