Cinesi uno, corruzione e meretricio.
Il tema del giorno è la lotta senza quartiere alla rampante corruzione nei ranghi dei pubblici amministratori. Milioni di dollari finiscono nelle tasche di rapaci funzionari, sottraendo profitti e credibilità al sistema cinese. La corruzione viene tirata in ballo ogni volta che accade qualche disastro, solo in parte imputabile alla natura. Le case e le scuole costruite con troppa sabbia e scordandosi il cemento sono state al centro di rabbiose manifestazioni delle mamme del Sichuan, che hanno perso una generazione di figli nel terremoto di due anni fa, grazie a costruttori corruttori e a controllori corrotti. La parte più illuminista dei legislatori si interroga se non sia il caso di depennare tredici reati legati al patrimonio dalla lista dei crimini punibili con la pena di morte. Noti avvocati e moralizzatori convinti ribattono che senza questa seria minaccia la corruzione non potrà che espandersi e prosperare ancor di più. Come se ce ne fosse bisogno.
È di oggi la notizia di un centinaio di impiegati pubblici sorpresi nell’orario di lavoro a sollazzarsi in saloni di massaggio, saune e karaoke. Alcuni sono stati sospesi, altri cacciati dal partito, tutti saranno processati. Parrebbe che la corruzione non c’entri con questa storia truffaldina di ordinaria arroganza. Invece c’entra, e per due motivi. Di solito le mazzette vengono transate al riparo da occhi e orecchie indiscrete, negli accoglienti stabilimenti dedicati al benessere del corpo maschile, con particolare attenzione ad una specifica parte dello stesso. E spesso il processo corruttivo viene complementato con l’offerta di fringe benefit, erogati in aggiunta al frusciante danaro. Tipicamente si tratta di gozzoviglie a base di cibi considerati afrodisiaci (pinne di pescecane, frutti di mare, zuppe di ginseng e tutta una serie di cibarie la cui epifania sul desco genera risatine, strizzate d’occhio e allusivi colpetti di gomito), accompagnate da eccessive bevute di maleodoranti liquori di portentosa forza alcolica. Altra categoria di regalie sempre apprezzata dal maschio tipico cinese è la prezzolata compagnia di fanciulle di non proprio specchiata dirittura morale.
Il fenomeno è talmente diffuso e di pubblico dominio da aver spinto le autorità centrali a promuovere corsi e addirittura fiere di comportamento morale. Robe da matti. La fiera del vizio. L’apice semicomico di tale iniziativa è la rappresentazione iconografica di tali malcostumi, costituita da una sedia (lo scranno del potere), tre delle cui zampe si trasformano nelle chiavi che aprono la porta alla corruttela: una pila di banconote, un calice di vino, una gamba femminile col piede fasciato da una scarpa maliziosa.
Ma questa, che viene spacciata dalla stampa come una novità, è storia vecchia, risaputa, fresca di giornata come un uovo stantio dimenticato da troppo tempo in frigo. Per me e per il mio amico e collega, compagno di viaggio da molti anni nel cuore di una Cina complessa e sempre mutevole, la vera sorpresa, la novità, il mai visto prima, è l’inopinata ostensione pubblica, in una lunga e scalcinata strada di una media città dello Zhejiang, di alcune donne, succintamente vestite e vistosamente truccate, che inequivocabilmente non aspettavano un conoscente che le portasse fuori a cena. A me, europeo abituato allo spettacolo spesso sguaiato della prostituzione stradale, non è occorso molto tempo per concludere che di questo si trattava. Il mio amico non ci voleva credere. Poi, una volta convinto dello stato dei fatti, ha chiosato, col suo solito umorismo succinto e dissacrante, la visione di questa novità assoluta, in Cina: un nuovo business.
Per comprendere tanta sorpresa, bisogna fare qualche considerazione: nonostante sia ufficialmente illegale, la prostituzione è diffusissima in Cina. Il suo status di illegalità permette alle autorità costituite di effettuare dei raid contro il vizio, con ridicola puntualità (ad esempio ogni 11 del mese, così i gestori di bordelli quel giorno tengono chiuso e mettono un cartello sulla porta, invitando gli avventori a ripresentarsi domani, e accampando talora scuse esilaranti come l’improvvisa defezione del gruppo generatore di corrente…). Un gioco a guardie e ladri dove le guardie vincono qualche battagliucola, ma i ladri vincono ogni guerra, forti di un esercito di soldatesse che usano ottimamente l’arma di distrazione di massa su cui stanno sedute, e di un ancor più forte manipolo di collaboratori, fatto di uno zoccolo duro di clientela pronta a spendere stipendi e spesso i lauti proventi delle corruzioni di cui sopra, per potere di tali muliebri armi entrare in temporaneo possesso.
Ma la prostituzione è altresì un evento totalmente sotterraneo. Nulla di appariscente. Né procaci ragazze in vetrina stile Amsterdam, né teorie di gonnelline minime e stivali cangianti lungo le provinciali. I cinesi, a ben guardare, sono un popolo di timidi. Hanno bisogno dell’artificiale incoraggiamento dell’alcol per aprirsi e mostrare sentimenti di amicizia altrimenti tenuti ben compressi dentro di sé. Il sesso, come la politica e la religione, non fa parte degli argomenti di conversazione di una serata a cena. Il meretricio è sempre proposto mascherato da qualcosa d’altro, da un’attività con una facciata legittima. Il salone di massaggi. Il karaoke. La sauna. Perfino la bottega del barbiere.
Scherzando sull’improvvisa ed inaspettata visione che ci si para davanti agli occhi, dico al mio amico: da queste parti, chissà perché, gli uomini avranno sempre i capelli impeccabilmente a posto. Perché ognuna delle non più giovanissime signore che colorano con un arcobaleno di vestitini sgargianti la tristezza di questo quartiere sudicio e maleodorante, sta davanti ad una mesta botteguccia senza insegna, mal protetta alla vista da una serranda malconcia mezza sollevata, e dal rado e squallido arredamento: un sofà multicolore sgangherato, una poltroncina in tubolare di metallo, delle modeste tendine divisorie tra la zona convenevoli e la business lounge. Mi risponde il mio amico: scommetto che in tutte queste botteghe non si trova un pettine o una forbice a pagarli.
Queste donne, in una Cina pruriginosa, perbenista e viziosa allo stesso tempo, stanno facendo una provocatoria e ardita affermazione. Sì, sono una prostituta. Eccomi qua. Sì, faccio lo stesso mestiere che – di nascosto, o fingendo di fare altro – altri milioni di donne fanno, in Cina. Ma con molto più coraggio: quello di esporre la propria faccia in pubblico. Pioniere di una nuova frontiera.
Continua, con la seconda parte, domani. Qui.
Ovviamente, ci sarà l'enesimo bonimento del governo. La falsa mobilitazione nazionale contro la corruzione e la prostituzione sotto l'influenza borgese occidentale. I falsi discorsi : I criminali verrano puniti qualunque siano le loro famiglie perché siamo una società comunista. L'immagine del partito non sarà mai deturpata....
RispondiEliminaOvviamente, la gente se ne frega. Perché non importa che la società sia capitalista o comunista. Dal momento che mangiamo uno, due o tre volte al giorno. E uguale.
Alex
Tra la Cina di Mao e quella attuale, sinceramente non saprei quale scegliere... Mi sembra che stia assorbendo il peggio della civiltà cosiddetta "occidentale": segno di profonda debolezza della sua classe dirigente. Destino comunque comune a molti altri ex Paesi in via di sviluppo, diventati di fatto capitalisti a tempo pieno.
RispondiEliminaBuona giornata, a presto.
Pim
ciao Alex,
RispondiEliminacome sempre è così. Come in Italia, in Sudamerica, in un sacco di altri posti, anche in Cina la corruzione è così radicata che nè corsi nè minacce di pena di morte bastano ad annullarla. Sull'onda di moti moralizzatori le cose rallentano per un po', poi tutto torna business as usual.
Senza un esempio forte, convincente, non si va da nessuna parte. Ne è testimonianza quel piccolo gioiello di nazioncina che è Singapore. Ne parlerò di nuovo, presto. Per compararla con malaffare diffuso tutto intorno.
Grazie della visita e del commento, a presto,
HP
ciao Pim,
RispondiEliminanon ho conosciuto, per ragioni pratiche, la Cina di Mao. Credo che quella odierna sia l'evoluzione di quella plasmata dal grande timoniere.
Mao è morto da molto. Serve come icona, come riferimento, ma nessuno o quasi ne parla più, se non pochi nostalgici affezionati all'illusione della rivoluzione comunista. Il compagno Deng ha detto un giorno che era buono e giusto arricchirsi. I cinesi solo questo aspettavano: non si sono ancora fermati.
Tra meno di vent'anni, se non casca il mondo, la Cina sarà la potenza economica numero uno, dopo aver sorpassato proprio quest'anno il Giappone, piazzandosi subito dietro gli USA.
La classe davvero dirigente, quel manipolo di politici che siedono a Pechino, ha la responsabilità non da poco di governare un moloch da 1,3 miliardi di persone. Non li invidio.
Grazie, Pim, per la tua visita e per il commento! A presto,
HP
Con 1,3 miliardi di sudditi non tutti governabili da governare, meno male che c'è la pena di morte. Se funziona davvero come deterrente non so, ma credo che senza si starebbe peggio.
RispondiEliminaTesea
Non so se starebbero peggio. Di sicuro governare un quinto della popolazione del mondo non è facile.
RispondiEliminaA costo di farmi dei nemici, ho sempre sostenuto che i cinesi non sono pronti per la democrazia. Dio ci scampi succedesse qualcosa di simile a quello che accadde vent'anni fa nell'ex Unione Sovietica, sarebbe l'anarchia più totale. Quelli che oggi piangono e dicono poveri cinesi oppressi si troverebbero a casa e senza lavoro perchè, buttando sabbia negli ingranaggi della potenza mercantile più grande del mondo, poi tutto il mondo ne patirebbe.
Ma niente paura. A Pechino sanno quello che fanno, e se la ridono (metaforicamente, i dirigenti di partito non ridono mai, per principio) di manifestazioni, sfilate e proteste. La politica interna cinese non si decide nè a Oslo nè a Parigi. E nemmeno a Washington.
Ciao, a presto,
HP