giovedì 24 febbraio 2011

T.I.C.

Acronimo misterioso, enigmistica invenzione di un europeo, rampollo d’azienda designato dalla dinastia a fare il reggente nella lontana ed esotica Asia, nell’inquinato caos shanghainese, millanta miglia distante dal placido, salubre e bucolico ambiente austriaco da cui proveniva, e del quale – non faceva nulla per nasconderlo – provava una struggente, lancinante nostalgia.

E quando, in simposi e comunitarie riunioni di categoria, accadeva che qualche imberbe spirito novello alla sua prima apparizione sul palcoscenico cinese, domandasse intimidito al vicerè – dalla pluriennale dimora nel regno di mezzo – come Egli vivesse, tollerasse e infine chiosasse tutti gli avvenimenti fantastici e straordinari che si potevano costì ammirare, dall’anarchico traffico veicolare alla bolgia da struscio domenicale lungo l’arteria pedonale di via Nanchino, dal caparbio e quasi vano arrembare treni e metropolitane già strabuzzati di pendolari incarogniti al tormentoso assillare con profferte irrinunciabili i turisti caracollanti come zombies di Romero nel mercatino obbligatorio del falso, fino all’ostinata trasgressione di qualsiasi regola base di vivere civile, attraversare col rosso, fumare in luoghi pubblici (ristoranti, alberghi, stazioni, ospedali, teatri, nessuno escluso), la peculiare interpretazione del galateo nei confronti del pianeta donna e la temutissima, sonora e plateale espettorata, preferibilmente attuata su un mezzo di trasporto gremito o mentre si ammira rapiti una vetrina di boutique, con susseguente propulsione nell’aere di materie la cui sola menzione ha il potere anoressico di un flacone di Mangiomen formato famiglia per mannequins digiunatrici coartate dalla passerella.

Ed a quei viaggiatori vergini che poco o nulla sapevano dell’infernale Acheronte in cui erano stati immersi, rispondeva invariabilmente con un’amabile alzata di spalle, complementata da un ampio e regale gesto di allargamento delle braccia, indice di rassegnazione e trascendentale sopportazione, e con l’erogazione di quel vaticinio criptico, degno di una sibilla cumana incastonata nel suo antro fumigante: T.I.C.

Solo ai vecchi frequentatori di corte era chiaro il messaggio, il responso buono per tutte le occasioni, l’acronimo che si faceva dogma. This is China. Questa è la Cina. Che ci vuoi fare?

Qualche esempio fresco fresco di T.I.C.? Eccolo.

I bambini di una zona rurale dello Yunnan finalmente si recheranno a scuola con meno disagi, potendo superare un fiume in maniera più comoda e sicura.

Non fatevi ingannare. Questi non sono i bambini, con davanti una carriera di funamboli da circo (ecco perché i cinesi sono degli acrobati così bravi!), che stanno cercando di superare il fiume camminando su due corde. Cosa avete capito? Questi sono gli operai che, in piena sicurezza (626 è solo un numero come un altro in Cina), stanno installando un ponte di pedane appoggiate su funi d’acciaio. Questa sarà la maniera più comoda e sicura. E prima, allora? Ecco due bambine che si recano allegramente a scuola. Come ogni mattina. Scivolando lungo un cavo teso sulla corrente. T.I.C.


Ma anche questo è Cina. Un insegnante di 50 anni, identificato come Li, è stato riconosciuto colpevole di aver violentato, nell’arco di tre anni, 21 allieve, tutte al di sotto dei 14 anni. Sfruttando la paura delle giovanissime vittime e la generalizzata ritrosia a parlare di argomenti correlati al sesso nella cultura asiatica, il mascalzone l’ha fatta franca fino al 2007, quando una ragazza ha trovato il coraggio di parlare, e i genitori hanno denunciato l’ignobile figuro. Indovinate un po’? Condannato a morte. Per favore, mandateci qualche pedofilo dall’Italia.

Domani troverete la seconda parte.

Prima pubblicazione : 3 marzo 2009

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