Trent’anni oggi dalla morte di Gilles Villeneuve. Lo voglio ricordare con un racconto maturato durante un gran premio vissuto in diretta, nella lontana Malaysia. Ma con il cuore a Maranello.
Storie di passione (e di interesse)
Mattinata a Sepang, torrida anteprima di un Gran Premio in bilico sui capricci atmosferici. Una coda esorbitante di umanità eterogenea, pronta a farsi arrostire per più di un’ora sotto un sole implacabile, malamente schermata da bandiere nazionali usate come mantelli, ombrelli multicolori, stendardi delle squadre. Un’arcobaleno di maglie rosso Ferrari, verde Lotus, argento Mercedes, blu Red Bull. Tutti in ordinata e mite attesa del momento di gloria. L’autografo del pilota. Finalmente, salutati da un’ondeggiare di folla assiepata attorno alle transenne, e da un simultaneo levarsi al cielo di mille macchinette fotografiche alla ricerca dello scatto memorabile – tipica conversazione, di ritorno a casa: Guarda qui! Chi è? Ma come, è un pilota di Formula Uno!! Ahhh… – approdano dei pulmini neri dai quali saltano fuori prima dei truci guardiani dalla camicia alonata, e poi quattro giovani piloti. Mormorio della torma fotografante, con qualche accenno di urletti da fans di rockstar.
Tra i quattro, giovani reclute dello sparuto plotone di superveloci funamboli della pista, anche un italiano: Vitantonio Liuzzi, al soldo della Force India. Anto’, mi verrebbe da chiamarlo, per offrirgli un sentore di casa, di Italia, di strapaese. Perché l’espressione è disorientata, tesa quasi, si guarda intorno con gli occhi sgranati, come alla ricerca di un suo posto dove rifugiarsi da quella anonima schiera osannante. Nemmeno un vago sorriso.
Poi arriva un altro mezzo, e si scatena il putiferio. Dopo i pesci piccoli, ecco i pezzi da novanta. Folla in delirio, braccia alzate e bandiere agitate: Michael Schumacher e Nico Rosberg. Osservare così da vicino – e insieme distaccatamente – questi divi ultraterreni porta a considerazioni curiose. Nico si muove rilassato, allegro, e ne ha ben donde: giovane, bello, biondo, figlio di campione e campione in fieri, padrone di varie lingue con equanime proprietà. A volergli proprio trovare un difetto (ma è questione personale, derivante da una lancinante antipatia nei confronti del soggetto, certo a causa di interpretazioni di passati filmacci), una contenuta rassomiglianza con il bambolotto Di Caprio dei tempi del Titanic. Auguri a Nico di una bella carriera, che lo porti, come il padre Keke, a vincere un titolo mondiale. Magari su una Ferrari.
E che dire del personaggio Schumi dal vivo? Appena sceso dal furgone esibisce subito un sorriso soddisfatto, un’aria di orgoglio e di assoluta sicurezza di se stesso, portamento marziale a petto in fuori. Il linguaggio del corpo comunica, senza aprir bocca, rieccomi, sì, sono io, quello che ha vinto tutto e ha vinto più di tutti, e allora? Un quarantunenne, dall’aspetto sorprendentemente fresco e quasi imberbe, che compete con i ventenni appena approdati al circo, di cui Michael potrebbe essere il babbo.
Nonostante gli evidenti sforzi dei tuoi PR, non sei mai stato un campione di simpatia, Michael. E questa tua adesione al partito avversario è dura da digerire per un vecchio fan di Maranello. Specie dopo tutta la manfrina a base di improvvisi mal di schiena della fine di stagione appena trascorsa, quando si trattava di sostituire Massa per poche corse. Ma tant’è. La Formula Uno, si sa, si fonda sugli Euro (a milioni) e non sui sentimenti. Ovviamente la Mercedes ha spalancato il suo dovizioso borsellino per averti, oltre che come pilota, come testimonial delle sue vetture.
A noi tifosi ferraristi non resta che renderti il giusto merito per averci fatto vincere una straordinaria cinquina di titoli all’inizio del millennio. Era dai tempi di Scheckter (1979) che non si vedeva il cavallino rampante campione del mondo.
Al Drake – che il dio dei motori lo riposi in pace – questo non sarebbe piaciuto. Lui, abituato a portare degli sconosciuti in scuderia e a trasformarli in campioni, senza mai offuscare la macchina. Era la Ferrari la protagonista, allora. Ma questa è un’altra storia: di passioni, di amori e di umori.
E per raccontarla bastano le immortali parole di Enzo, incise su un monumento celebrativo all’interno dell’autodromo di Imola, toccante epitaffio dedicato da un burbero vecchio ad un giovane impavido che se ne andò troppo presto per non lasciare un vuoto doloroso nel cuore di tanti appassionati: Gilles Villeneuve.
Sì, c'è stato chi lo ha definito "aviatore" e chi lo valutava "svitato".
Il giorno che lo assunsi, prelevandolo dalle motoslitte, si sollevò un plebiscito di critiche e quando l'ho paragonato a Nuvolari c'è stato chi mi ha rimbeccato.
Gilles? con la sua generosità, con il suo ardimento, con la capacità "distruttiva" che aveva nel pilotare le macchine, macinando semiassi, cambi di velocità, frizioni, freni, ci insegnava cosa bisognava fare perchè un pilota potesse difendersi in un momento imprevedibile, in uno stato di necessità.
E' stato campione di combattività ha regalato ed ha aggiunto tanta notorietà alla Ferrari.
Io gli volevo bene.
Enzo Ferrari
Prima pubblicazione : 5 aprile 2010