sabato 10 marzo 2012

Dieci piccoli lemmi - 2a parte

Continua da ieri.


I giochi (d’azzardo), online e non. Ormai è diventata un’ossessione. Ovunque ti giri trovi qualcuno pronto ad appiopparti la tua dose oraria di potenziale buona sorte. Sono andato in posta e mi son sentito chiedere dall’impiegata, lo comprerebbe un gratta e vinci? No, le ho risposto secco. Mai comprato nemmeno uno per scherzo. Perché si comincia sempre con la dose gratuita che lo spacciatore ti rifila per accalappiarti. Ho giocato, lo confesso. Da giovane, ai cavalli, roba da pochi spiccioli. Più per rendere avvincenti le corse all’ippodromo che per la voglia – o la necessità – di vincere dei soldi. Rare, rarissime volte alla roulette. E con un principio basilare: è un divertimento come un altro. Finiti i soldi stanziati per la serata, finito il gioco. Una volta – l’unica – in vita mia, ho sognato una zia che mi dava dei numeri. Credeteci o meno, ho provato a giocarli. Mi sentivo veramente ridicolo. Non sapevo nemmeno dove diavolo fosse un banco del lotto, né come si facesse a giocare. La gente lì dentro, professionisti della giocata con la smorfia tutta a memoria, mi guardava come un marziano. Non uscì nemmeno un numero. Capii il messaggio: perfino le zie defunte non volevano che io giocassi. Toglietemi di torno tutte queste icone con fanciulle ammiccanti che promettono vincite e premi. Voto: uno. Diseducativo. I soldi si fanno lavorando, non giocando. Con un’eccezione. I biscazzieri, reali o virtuali che siano, alle spalle dei sempliciotti che credono alle lusinghe della dea bendata.

Il canale tivu del poker. Che razza di società è quella che sente il bisogno di avere una emittente televisiva simile? Tutto il santo giorno mostra primi piani di sfaccendati, spesso vestiti come degli imbecilli, seduti attorno ad un tavolo verde a piluccare angoli di carte da gioco cercando di vincere montepremi oltraggiosi con i quali arricchire collezioni di catenazze d’oro e di pacchiani orologi da polso tempestati di pietre alla maniera degli emiri. Qualcuno mi dirà: c’è il telecomando, cambia canale. Cancellalo dalla lista di sintonizzazioni. Maledette tivu moderne. Ogni tre giorni ti aggiornano automaticamente l’elenco dei canali trovati. Fatti i fatti tuoi, dannato aggeggio piatto. Non voglio – neppure per sbaglio – cadere nella visione di un branco di scioperati scommettitori. Voto: lo stesso della voce sopra. Uno. Doppiamente diseducativo. Perché illude, e fa vedere anche i risultati. Come ci si riduce a giocare tutto il giorno a poker. Catene al collo che manco un rapper di Harlem.

VIP. Un evergreen. Detestabile da sempre. Con tendenza in aumento, come dicono i meteorologi parlando delle perturbazioni. Tutto ciò che è etichettato come VIP dovrebbe essere, d’istinto, evitato come la peste. Perché è da gonzi pensare che una tessera, un biglietto d’invito, una qualsiasi profferta commerciale possano automaticamente trasformare un tapino in una personalità. Si vende un’inesistente esclusività con tale liso, consunto, abominevole acronimo. Voto: Inqualificabile.

Assolutamente sì. Quanto mi urta sentire qualcuno che risponde così a una mia domanda. Pleonasmo? Ridondanza? Vanesia necessità di riempirsi la bocca di suoni superflui? Esiste forse un sì relativo, sì ma non del tutto sì, tanto da sentir il bisogno di rafforzare lo splendido, lapidario monosillabo con un tanto inutile quanto vacuo avverbio? Vuoi tu prendere in sposo il qui presente? Assolutamente sì. E tu, vuoi prendere la qui presente come tua sposa? Sì. Manco usciti dalla chiesa, e già la prima litigata da coniugati: solo sì? Io ho detto assolutamente sì. Allora non mi ami abbastanza. Aveva ragione mia madre. Ma no, cara, è la formula di rito: si dice sì. Sei sempre il solito arido insensibile. Io ti amo di più, per questo ho detto assolutamente sì. E via discorrendo. Voto: tre. Ho le orecchie doloranti a furia di sentir ripetere da troppa gente questo ipocrita sbrodolamento attorno ad un semplice, puro, inequivocabile "sì".

Choc. Dovremmo essere tutti costantemente choccati (orrendo neologismo), stante la frequenza con cui si infila questo prezzemolo lessicale nei titoli di articoli. Bossi-choc. Cina-choc. Juve-choc. E così via. Una parolina buttata lì in mezzo al discorso come un assordante petardino che scoppia all’improvviso, facendo trasalire dallo spavento. Mentre basterebbe usare le proprie conoscenze per non turbarsi né sorprendersi. Conoscete Bossi e le sue sparate. In Cina si sa come funziona. La Juve? Di cosa volete ancora stupirvi nel calcio? Vi prego. Lasciate lo choc alle rare punture di api andate a finire molto male. Voto: Quattro di incoraggiamento, perché lo choc anafilattico esiste e la parola rende l’idea. Mentre invece, a furia di sentirsi invitati a scioccarci per questo e quello, come il re Mitridate, diventiamo assuefatti ed insensibili, perfino a ciò che davvero dovrebbe sconvolgerci e indignarci. E questo non va bene.


4 commenti:

  1. E' il villaggio globale con il vocabolario globale e, ancor più grave, il pensiero globale, uniforme. Verso un idioma unico, per tutti, l'inglese, con probabile suo successivo spodestamento da parte del cinese.
    Tesea

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  2. ciao Tesea,

    hai ragione, sono le conseguenze dell'appiattimento culturale, della diversità delle civiltà, della globalizzazione.

    L'idioma unico temo rimarrà ancora per un po' l'inglese, viste le non poche difficoltà oggettive di una lingua come il cinese...

    Grazie del commento, a presto,
    HP

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  3. Tutto il mondo è paese....anche noi abbiamo i sondaggi, la profezia Maya, i giochi d'azzardo, i vip che chiamiamo "pipoles" (people)....però, c'è una differenza : gli anglicismi....Voglio dire per gli anglicismi siete "mitici"...quando ho cominciato ad imparare l'italiano sono rimasto sotto "choc", non c'erano i lemmi per : computer, software, downgrade, junk-bond...ecc...anche il ministo del lavoro veniva chiamato ministro del welfare ! Di recente è apparso il kindle, subito abbiamo trovato una bellissima parola : liseuse....in Italia, ormai, siete alla frutta....le cose stanno peggiorando, l'ultima volta che sono andato in Italia, la festa dell'unità era diventata il "democratic party" (sic)....

    Odio gli eufemismi tipo "diversamente abile" come chiamate un nano ? diversamente alto ?....ovviamente, esistono anche in francese...ma, mi saltono addirittura addosso in altre lingue....

    Buona domenica

    Alex

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  4. ciao Alex,

    scusa il ritardo nel risponderti! Concordo con te in pieno sugli eufemismi!!! Giusto ieri sera stavo guardando un programma americano in lingua originale, ed ho sentito per l'ennesima volta un lemma da aggiungere a questa lista (anzi, ne dovremo fare una io e te a quattro mani, in inglese!): underprivileged. Poor gli faceva schifo a farlo uscire dalla bocca? Underprivileged children. Si vede che a descriverli così la gente se li immagina meno sporchi, meno affamati, meno disperati...

    Orrori del politically correct...

    Grazie della visita, a presto,
    HP

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