domenica 11 marzo 2012

Drogati da lavoro

L’autista che di prima mattina ci porta dalla parte opposta dell’isola di Xiamen guida peggio della media dei taxisti cinesi. Scatti repentini. Spostamenti di corsia all’ultimo minuto. Appeso al volante in una postura del tutto innaturale. Ci sono momenti che sembra quasi cadere sul parabrezza.

Visto dal sedile posteriore non è un bello spettacolo. Mi viene in mente una battuta, per cercare di sdrammatizzare l’impalpabile tensione tra i tre passeggeri – tutti italiani – del mezzo disordinato. Ma questo ha imparato a guidare sugli autoscontri? No, mi dice il collega esperto di Cina seduto accanto al guidatore. È drogato. Ah, bene, fa piacere essere in balia di un taxista drogato. Non posso dire il nome cinese, continua, se no capisce che parliamo di lui, ma si è fatto di betel. Guidano tutta la notte, e la mattina, per riuscire a continuare il turno, masticano la noce del betel. Così rimangono svegli, ma in una specie di trance drogata, che causa improvvisi risvegli di coscienza e relative reazioni al volante. Il turno medio è dodici ore, a Shanghai c’è gente che per arrivare a fine mese lavora senza mollare il volante per sedici ore. Due terzi di giornata nel caos del traffico shanghainese. Drogati da lavoro.

Tutto provato sulla nostra pelle in quei pochi chilometri che però sembrano molti di più. E poi qualcuno mi chiede ogni tanto, con tutti gli aerei che prendi, ma non hai paura di volare?

Noce di betel. Mi ricorda un vecchissimo racconto mai pubblicato, Binlang xishi, scritto a fine secolo scorso durante una visita a Taiwan.

Gli automobilisti si fermano per strada, per comprare dalle Xishi, avvenenti signorine succintamente vestite, il Binglan, l’eccitante betel. Come per i sudamericani la foglia di coca. Binglan, il chewing gum dei taiwanesi.


Binlang Xishi (檳榔西施)

Se qualche ignaro forestiero si trovasse per la prima volta nel traffico di Taipei, potrebbe sorprendersi o preoccuparsi (o magari stare male, se particolarmente sensibile), nel vedere un guidatore di camion che ha un improvviso sbocco di sangue mentre è alla guida. Niente paura. Si tratta solo del chewing-gum taiwanese. Molto diverso dal nostro concetto. È un piccolo involucro fatto con una foglia ripiegata, nel cui interno c’è una sostanza rossa, a base di calcio, che si mastica e poi si sputa (per la strada, dal finestrino), lasciando tracce indelebili ed oscene, che imbrattano il suolo – e decorano a strisce purpuree le fiancate dei camion. Al punto che un recente regolamento prevede che le venditrici del suddetto, insieme con la dose giornaliera, forniscano anche dei bicchierini di plastica per gli espettorati dei fruitori. E dose non è un termine ambiguo. Anzi. C’è gente qui che arriva a spendere anche duecentomila lire al giorno, per mantenersi il vizio del chewing-gum. Dipendenti. Peggio del fumo, peggio di una droga.

Si trova dappertutto, e chi lo vende sono fanciulle in vetrina, parcheggiate in gabbiotti ai bordi delle strade, presenti ovunque in quantità imponente. Filari di lucine colorate, quelle degli alberi di Natale, lampeggianti rossi rotanti, presi a prestito da qualche trasporto eccezionale, ed altri ingenui richiami visivi servono ad attirare i clienti. Ma il richiamo maggiore sono le gambe delle fanciulle, ostentate attraverso la vetrata che si affaccia sulla strada. Gonne microscopiche, gambe accavallate. Facile fermarsi. E non c’è neppure bisogno di scendere dalla macchina. Sollecite, le ragazze escono dal gabbiotto, esibiscono le loro scoperte grazie e forniscono il necessario. Chewing-gum, sigarette o altri generi di conforto, che talora sconfinano nella profferta di una veloce prestazione amorosa, da concordarsi sul momento, da consumarsi nel retro – attrezzato all’uopo – del box. Non c’è, probabilmente, un solo posto al mondo privo di prostitute. Mai viste, però, camuffate da venditrici di chewing-gum.


Prima redazione di Binlang Xishi : febbraio 1999

2 commenti:

  1. La descrizione dello spettacolo che offrono i camionisti di Taipei toglie la voglia di visitare tutta Taiwan.
    Tesea

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  2. Mi rendo conto, Tesea, che non è proprio uno spot dell'ente del turismo taiwanese... ma questo è quanto ho vissuto vari anni fa, di persona.

    Ed io cerco sempre di raccontare le emozioni, belle o brutte che siano, che vivo nei miei viaggi.

    Grazie del commento, a presto,
    HP

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