Bongiorno, vorrei fa’ la riforma della sanità. Perché, ti senti male? No!! E allora ‘un ci rompere i ‘oglioni...
In questo straordinario, fulminante dialogo tra due immaginari ministri, opera del Benigni di quasi trent’anni fa, irriverente, provocatorio, dinoccolato burattino saltellante sul palco dei teatri, c’è fotografata col flash l’ignavia dei politici italiani. E per esteso degli italiani, che lì ce li hanno messi, e che assomigliano maledettamente a quei soloni che amano denigrare quando non sono impegnati ad invidiarli.
Se non serve a me, se non mi dà un qualche tornaconto, allora è inutile. È tempo sprecato. Non si fanno le leggi prima che succeda qualcosa. Si corre dietro all’emotività del momento, per :
- Trarne qualche vantaggio strumentale a favore del proprio schieramento (loro non hanno fatto, noi avremmo potuto se loro, eccetera...)
- Sfruttare il conclamato fatto che gli italiani soffrono ancora della sindrome dell’uomo forte, e che quindi decisioni radicali ma effimere, dettate dal clamore del momento, sono sempre ben accolte dalla suburra furibonda, e quindi fonte potenziale di suffragi a venire.
- Farsi pubblicità, acquisire visibilità politica. Perché chi non buca il video in Italia non esiste.
Siamo lontani – rincresce dirlo – dall’essere un paese civile. In un paese civile non si fanno le leggi sulla sicurezza nei locali pubblici dopo che 64 persone sono morte affumicate in un cinema. Non si aspetta a mettere la patente a punti dopo che la gente per anni continua a spetasciarsi contro le piante perché ognuno crede di essere bravo come Schumacher e per di più crede anche di essere sulla pista di Monza e non sul viale di casa. Non si mettono i semafori, i dossi, la polizia col palloncino, dopo che dei poveri cristi sono stati stirati da pirati della strada magari ubriachi. Non si fanno leggi antidroga serie mentre c’è un business milionario di centri di recupero per ricchi figli di famosi da isole. Nessuno prende i nostri aerei ed elicotteri (nostri perché li manteniamo noi con le tasse) che servono per andare a vedere le corse di formula uno o a trasportare pesce fresco a Cortina, per volare dall’altra parte dell’Adriatico a fare la voce grossa con quelli che lasciano continuare questa transumanza di disperati, ingrassando nel contempo le tasche della malavita e magari non solo. Vale il vecchio adagio: chiudiamo la porta quando dei buoi ormai nemmeno l’ombra. Mai prima.
In Italia è sempre colpa di qualcun altro. I politici che non fanno le leggi giuste. No, le leggi ci sono, basterebbe applicarle. Allora è colpa delle forze dell’ordine. No, quelli quando possono arrestano, peccato che non sappiamo più dove metterli, e allora liberi tutti, come a nascondino. Allora è colpa dei giudici, dei magistrati che al di sotto dell’omicidio aggravato da stupro impartiscono una ramanzina e dicono cattivaccio non farlo più. No, i giudici hanno le mani legate, è colpa del sistema giudiziario, un elefante che schiaccia tutto con i suoi ritardi epocali e con la sua lentezza esasperante. Di una burocrazia che permette ad un assassino di cavarsela per il famoso, impagabile, italianissimo vizio di forma. Basta una marca da bollo (altra invenzione italiana!) attaccata al rovescio per vanificare anni di indagini. No! La colpa è delle giurie popolari, che non si mettono mai d’accordo, e poi non si trovano mai, gli è sempre morto il gatto quando arriva la chiamata. Ma no… È colpa degli avvocati, che fanno un mestiere tra i più vituperati, ma intanto tra i più remunerativi del pianeta. È colpa della gestione precedente, che poteva fare delle belle leggi e invece guarda in che condizioni ci ha lasciato il paese, ma come si fa a lavorare cosi?!? Il circolo vizioso si chiude e il balletto continua all’infinito... È colpa... È colpa...
Ma allora di chi è la colpa? Guardiamoci allo specchio. È nostra, che ci scervelliamo a cercare sempre colpevoli, invece di lavorare tutti insieme (ma chi, gli italiani, branco di individualisti che parlano mille dialetti e se potessero userebbero ancora i dobloni e i fiorini??) per una società migliore. Nostra, che giriamo le spalle dall’altra parte quando succede qualcosa di brutto, di che t’impicci, non sai mai come va a finire, ti vai a cercare dei guai, salvo poi berciare tutti insieme quando la folla garantisce l’anonimato. È colpa nostra che rimproveriamo ai politici quello che dovremmo rimuovere da noi stessi. Sempre pronti ad additare la pagliuzza, mentre siamo accecati da una trave.
E intanto si continua a stuprare. A morire per mano di ubriachi al volante (sì, è una mia fissazione, e allora?). A lasciare continuare ad arrivare orde di disgraziati che non sapremo dove mettere, e nel giro di qualche giorno non sapremo nemmeno più dove diavolo sono e soprattutto che cosa stanno facendo per sopravvivere. A malvivere (sia nel senso del malvivente, sia di quello che vive male).
In Italia non si previene. Si cura, quando si può, ma soprattutto quando la cura costa un bel po’ più della prevenzione, e ben venga se una fettina di introiti va a contribuire alla causa. Con questa mentalità da interesse privato davanti al pubblico benessere non si costruisce una società. Civile.
Prima pubblicazione : 3 novembre 2007