Quelli che partono spontanei, liberatori come non mai, dalla totalità delle persone sedute, anzi accucciate, nell’aereo che ha appena finito di rullare sulla pista di São Paulo. Per una volta nella vita, mi sono unito al coro. Dopo un silenzio irreale, sono scaturiti da dentro, dal profondo, a scaricare la tensione di un atterraggio di emergenza.
Quella specie di botto sordo che si era sentito al decollo, come se l’aereo avesse incontrato un’illogica crepa nella pista, era in realtà lo scoppio di uno dei due pneumatici anteriori. Due ore di volo nelle vicinanze di São Paulo, per consumare più carburante possibile. Occorre essere più leggeri, per ridurre lo stress sulle ruote al momento dell’atterraggio, e vuotare i serbatoi per diminuire il rischio di esplosione o incendio. Ed eccoci pronti alla procedura di emergenza. Le hostess ripetono le spiegazioni, ma stavolta non c’è l’annoiata indifferenza del pubblico. Tutti seguono, ed eseguono, quello che viene loro chiesto di fare. Liberarsi delle scarpe e degli oggetti acuminati che potrebbero ferire nell’impatto. Via occhiali, penne, calcolatrici. Stare pronti ad evacuare l’aereo dalle uscite sulle ali e sul retro. Tiro bene la cintura di sicurezza e mi leggo con cura le istruzioni sul da farsi per uscire da qui. Un paio di suore prega sommessamente. Alcuni chiudono gli occhi, forse per trovare qualcosa a cui pensare che li porti lontano da lì, c’è chi chiede una coperta, chi cerca con gli occhi un amico che viaggia tre file più indietro. Io sono seduto in un posto di finestrino, sulle ali. Vedo la terra fottutamente vicina, l’aereo evidentemente deve volare così per essere pronto all’atterraggio, appena avrà l’autorizzazione. Basso, sempre più basso, un 737 che vola come un Piper ad elica. Eccola, la pista. Sollievo e preoccupazione insieme. Ci siamo. Il comandante non parla più. Ora tocca a lui. Compie un passaggio esattamente parallelo alla striscia di cemento, poi esegue un magistrale circuito con due virate che nemmeno ad Hong Kong avrebbero dato lo stesso brivido. Rifletto. Forse sono più fortunati quelli che sono seduti interni, che non vedono nulla. No, invece, non è vero. Preferisco così. Vediamo un po’ cosa succede. Ormai siamo a 200 piedi da terra, l’aereo è perfettamente allineato. Se ci fosse una mosca si sentirebbe volare. Improvvisa, la voce di una hostess. Senza microfono, di certo è già legata al suo sedile. Una sola parola, detta con voce tremante: abbassatevi. Tutti, immediatamente, eseguiamo. Mi punto contro il sedile davanti, rannicchiato, le mani a proteggere la testa. Ma gli occhi scappano verso il finestrino. Voglio vedere. Voglio sapere quello che capiterà, non voglio capirlo dopo che è accaduto. Ammesso che. Ed invece, tutto fila liscio. Un’impercettibile sbandata appena si tocca il suolo, una frenata dolce, cauta, attenta, tanto la pista è tutta nostra, e non c’è fretta di liberarla. L’aeroporto è paralizzato, nessun aereo in attesa nei paraggi, gli addetti ai lavori, che forse già sanno, ci scrutano da lontano. Siamo fermi. Le camionette dei pompieri ci circondano, pronte alla bisogna. Come nei film. Ma non serve. Graças a Deus, ed alla perizia del comandante, siamo sani e salvi. Applausi.
Prima pubblicazione : 6 dicembre 2007
Impressionante. Calma, sangue freddo...be, un tizio capace di presentarsi a Brisbane con il cappellino nero degli All Blacks deve avere dei nervi d'acciaio ! Il segreto dei blacks : la disciplina. Head down ! Stay down ! Lo dico, perché non capisco come sei riuscito a guardare dal finestrino in posizione di sicurezza (uno strabismo alla Marty Feldman ?)....
RispondiEliminaComunque, seguendo l'allenamento All blacks, la catarsi si fa durante il volo, le istruzioni sul da farsi in caso di emergenza ci tolgono addirittura l'angoscia.
Ask a Kiwi :
http://www.youtube.com/watch?v=9f1awn9vBZE
Alex
Ciao Alex,
RispondiEliminaguarda, la calma, apparentemente innaturale in una situazione del genere, mi è piombata addosso mio malgrado. Sarà una strana caratteristica, chiamala come vuoi. Più che nervi d'acciaio è istinto di sopravvivenza. Nel panico non si ragiona, e se non ragioni può far la differenza tra vivere e morire. Mi è capitato altre volte (poche per fortuna) di aver bisogno di tutta la calma e la razionalità per fronteggiare situazioni di emergenza, e ce l'ho sempre fatta.
In quanto alla testa girata, si fa, si fa. Volevo vedere. Braccia puntate contro il sedile, gomiti alti, testa fra le mani. Girare il viso è un attimo. tanto, se vai in crash, che la testa guardi in giù o di lato, a quella velocità il collo te lo tronchi comunque. Tanto vale guardare...
Bellissimo il video degli All Blacks alle prese con le istruzioni di emergenza!! Grazie della segnalazione! Tutta da vedere e divertirsi.
Ciao, a presto,
HP
Grazie per averci raccontato questa tua esperienza che ci regala ottimismo.
RispondiEliminaDopo aver partecipato col fiato sospeso alle fasi dell'emergenza,alla fine un senso di liberazione contagia anche noi.
Tesea
Ciao Tesea,
RispondiEliminagrazie a te per aver partecipato, con emozione, ad uno dei racconti più immediati, più spontanei, più scritti di getto che ricordi. Questa - come ho detto nel post di ieri - è catarsi.
Grazie del commento, a presto,
HP
Caspita, mi sembrava di esserci, mi son venuti i brividi per la paura!
RispondiEliminaciao Eva,
RispondiEliminagrazie della visita! Questo e' cio' che intendevo quando parlavo di racconti scritti di getto. Ricordo come fosse oggi quella sera a S. Paulo, quando ho scritto Applausi. E poi sono stato meglio. Ho scaricato tutta la tensione sul foglio. Catartico.
Grazie delle tue parole di commento! A presto,
HP