Quando il tè diventa arte
Ospite unico di questa piccola comunità ovviamente non adusa alla presenza di stranieri, dopo cena mi aspettava un’ulteriore premura. Il mio anfitrione non aveva ancora finito con le sorprese, e l’intrattenimento non avrebbe potuto essere più in sintonia con l’atmosfera del luogo: la casa da tè, dove l’arte di servirlo diventa rappresentazione, rito, allegria, tradizione, abilità e agilità tutto insieme.
Accolto con tutti gli onori, manco fossi un capo di stato, addirittura con la direttrice ad omaggiarmi di uno stupendo mazzo di lilium (ribaltiamo i ruoli e le convenzioni: chi ha detto che a un uomo non fa piacere ricevere dei fiori da una donna?), ho potuto godere in esclusiva di uno spettacolo da palcoscenico in cui cinque ragazze e tre ragazzi hanno rappresentato arte e folklore della regione. Nei costumi tradizionali dello Yunnan hanno eseguito danze tipiche, dando prova di armonia e di talento ginnico. La cosa più sorprendente, in una terra dove la danza deve essere espressione di bravura tecnica ma non necessariamente di passione, erano i sorrisi di quei ragazzi mentre si esibivano in gruppo. In forte contrasto con le spesso algide e distaccate espressioni di altre ballerine viste nel nord della Cina, bambole tecnicamente perfette ma apparentemente prive di cuore.
Due delle fanciulle, aggraziate e indistinguibili come tuffatrici di sincronizzato, hanno poi messo in scena quei gesti liturgici, sempre uguali, canonizzati da mille libri, che costituiscono la cerimonia del tè. Ci sono ritmi, tempi e cadenze stabiliti per ogni azione, per ogni fase della preparazione di questa bevanda millenaria. Non rispettarli sarebbe un’offesa a cinquemila anni di cultura. Ogni movenza ha il suo significato, nulla è lasciato al caso, all’improvvisazione. Né la temperatura dell’acqua, variabile a seconda del tipo di tè. Né il tempo di infusione, anch’esso funzione del grado di fermentazione delle foglie. Né la forma di presentarlo, e neppure quella di berlo. Del tè, ancora una volta paragonabile ad un vino d’annata, vanno apprezzati il colore e il profumo, prima di portarlo alla bocca per confermarne la qualità con l’assaggio.
Infine, vestiti in sgargianti tuniche gialle e rosse, due di loro si sono esibiti in funamboliche prove di destrezza nel mescerlo da distanze inusitate - e con mira millimetrica – in tazze e bicchieri di minuscolo diametro, usando delle singolari teiere dal beccuccio lunghissimo e sottile, indirizzando e interrompendo il getto a piacere, con gesti imperiosi ma plastici ed abilità consumata. Una performance a metà tra le arti marziali e la danza, protagonista la bevanda più sorseggiata al mondo.
Il ricordo più concreto di questo viaggio nel cuore dello Yunnan è rappresentato dalle numerose forme di Pu Er compresso, con le quali amo tuttora celebrare – indegnamente – la mia personale cerimonia del tè. Ma ci sono profumi, sapori, immagini, suoni – in una parola, emozioni – che pur intangibili, sono talmente affondati nel profondo della mia memoria da avermi consentito, a distanza di due anni, di redigere questa cronaca in differita. Il paradiso non poteva attendere, il racconto sì. È tutta questione di ispirazione.
Prima pubblicazione : 7 giugno 2009