Proprio stamani riflettevo su come, in una settimana di permanenza in terra australe, non mi fosse capitato ancora nessun episodio degno di rilievo, se si eccettuano pochi gustosi siparietti in cui si dimostra tutto lo humour del popolo del Down Under. Ma nulla meritevole di racconto. nulla che stimolasse la mia fantasia. È solo questione di tempo, mi ripetevo. L’esperienza insegna che proprio quando meno te lo aspetti, ti accade qualcosa in grado di sorprenderti. Ed ecco un segno che il destino benigno si è – ancora una volta – frapposto tra me e la noia.
Volo da Melbourne a Perth. Poche file davanti a me si alza un tipo ben sagomato, capelli sale e pepe, maglia nera corvina. Sulla schiena una scritta inequivocabile: Sea Shepherd Crew.
Abituato ai mille falsi cinesi, mi domando: vera o no? Comprata nel mercatino di Shanghai? Indossata da uno placidamente all’oscuro dell’odissea animalista? Dubbio legittimo, e presto risolto. Vado a parlargli. Con faccia tosta esordisco: quella maglia è autentica? Significa quello che dichiara? Solleva lo sguardo esponendo degli occhi sorprendentemente celesti e intensi: sì, mi risponde con semplicità. E mi tende la mano. Sono Jeff, piacere. Piacere. Sono italiano e seguo le imprese di Sea Shepherd.
In un aereo semi-gremito troviamo due posti di corridoio. Avrei mille domande, ma me ne bastano poche per intavolare una conversazione per il resto del volo. Cosa ti ha spinto ad entrare in un’organizzazione definita terroristica dai giapponesi? Inizia un racconto ricco di convinzioni, di moralità, di una merce sempre più rara: ideali.
Non rievoca le avventure nei mari antartici, che peraltro ha vissuto a bordo della Steve Irwin (due campagne, 2007/2008 e 2008/2009). Non mi parla di Paul Watson, capitano coraggioso, che pure frequenta e col quale ha condiviso navigazioni audaci e rischiose. Non è un vecchio nostalgico lupo di mare in pensione che ama rievocare antiche battaglie coi flutti perigliosi, ma un giovane, convinto e preparato ecologista. Quindi tocca temi meno trascinanti ma più universali e imprescindibili: la Terra, le penose condizioni dell’ambiente, le specie a rischio estinzione, gli ecosistemi sull’orlo del collasso.
L’Antartide, terra finora di aridità climatica proverbiale, sta scoprendo la pioggia. Non benefica. Le gocce gelano rapidamente sulla rara fauna locale, facendola morire assiderata. Le foche stanno vedendo di anno in anno restringersi l’habitat in cui allevano i propri cuccioli. L’uomo non si rende conto dell’insostenibilità del proprio egoistico appetito. Un oceano senza balene è un mare destinato alla morte.
La pesca indiscriminata sta rarefacendo certe specie ittiche. I tonni dalla pinna blu, di cui il Mediterraneo era ricco, stanno scomparendo. L’insaziabile bramosia giapponese ha spinto le quotazioni di tale animale a livelli stratosferici: un tonno da 230 chili è stato battuto alle aste del mercato del pesce di Tsukiji, a Tokyo, per la assurda cifra di centoquaranta mila euro. Fanno (lische e scarti compresi) seicento euro al chilo. Il tartufo nipponico.
Tra qualche mese Sea Shepherd lancerà una nuova campagna, questa volta in difesa degli svanenti tonni. Vedremo le nere navi di capitan Watson solcare il Mare Nostrum. Neppure questa sarà una passeggiata. Ma se servirà a far sopravvivere un animale la cui sorte sembra segnata, benvenuti in Europa. Fermiamo l’ingordigia giapponese: nel solo 2008 hanno consumato 43.000 tonnellate di tonno, l’80% del pescato mondiale.
Leggende e saggezze antiche costellano un racconto che vorrei non finisse mai. A proposito di sconsiderata insostenibilità dei comportamenti umani: secoli fa si narra che l’Isola di Pasqua fosse abitata da tribù diverse, tra loro in competizione. Ognuna voleva dimostrare la propria superiore possanza fisica, spingendo su per le erte colline i Moai, monoliti dai tratti umani. Sempre più pesanti, sempre più in alto. Per far ciò gli indigeni tagliavano alberi su alberi, per usarli come rulli su cui far scorrere i colossali lapidei manufatti. L’agonismo era così forte che, taglia oggi e taglia domani, un giorno gli alberi finirono. E con essi la vita sull’isola. Tribù estinte, punizione per l’ottusa vanità umana.
Quando sarà caduto l’ultimo albero, quando l’ultimo fiume sarà stato inquinato, quando l’ultimo pesce sarà stato pescato, solo allora capiremo che il denaro non si mangia. Le specie animali e vegetali sono interdipendenti, estinta una – per colpa dell’uomo – in un effetto valanga le altre ne subiranno le conseguenze. Un’iperbole, ma nemmeno troppo tale: i vermi sono più importanti dell’uomo. Senza l’uno la Terra forse starebbe meglio. Senza gli altri, la terra non frutterebbe più e molti animali morirebbero di malattie o di fame.
Dice un antico proverbio indiano: non ereditiamo la Terra dai nostri avi. La prendiamo in prestito dai nostri figli. Paul Watson e la sua ciurma, con ben presente questa filosofia, al punto da riportarla perfino sui loro biglietti da visita, stanno cercando in tutti i modi di difendere la natura dal suo nemico numero uno: l’uomo.
Grazie, Jeff, per avermi raccontato tutto questo.
Prima pubblicazione : 19 marzo 2010
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