sabato 16 ottobre 2010

Carlos sotto le stelle

Hunter Valley, un paio d’ore di macchina da Sydney. Una spianata erbosa, circondata da vigneti e cantine, in cui sono allestiti un palco e una platea fatta di dozzinali seggiole in plastica bianca da dehor di bar. Un cielo azzurrissimo, terso come noi non ce lo ricordiamo nemmeno più. Una cocente ma ventosa giornata di fine estate.

Ho sempre provato una profonda ammirazione mista ad invidia nei confronti del popolo australiano, per il loro sapersi godere degli eventi aggregatori senza le nostre restrizioni, grazie al loro senso civico e morigeratezza. Questa si chiama civiltà, e ne beneficiano tutti.

Gente di tutte le età che arriva alla spicciolata. Coppie, famiglie, giovani, e poi tanti capelli bianchi e rughe a volontà. Si respira allegria, serenità e calore. Sotto alcuni tendoni improvvisati lì per lì si possono acquistare a prezzi non da ladri delle bottiglie di ottimo vino bianco o rosso, da degustare in compagnia mentre si assiste al concerto. Ci sono signore che si presentano con un flute di champagne locale in mano (ma guai a chiamarlo così, mai si spazientissero i francesi). Passano dei signori con una bottiglia di cabernet sauvignon d’annata e una borsata di aggraziati bicchieri di plastica. I giovani si orientano perlopiù su dei colossali bicchieroni colmi di birra, accompagnati da hamburgers gargantuani.

L’evento parte quasi in sordina, e con circa un’ora di ritardo. Gli artisti, si sa, amano creare aspettativa. Il primo brano è Jingo. Finito questo, un benvenuto al pubblico. Ma non i soliti saluti formali, ripetuti a memoria e senza passione. Una appropriata lode agli australiani che di recente, per bocca del nuovo primo ministro Rudd, hanno collettivamente chiesto scusa alla propria popolazione aborigena per i misfatti del passato. In risposta, un forte applauso di apprezzamento e condivisione.

Una presenza non invadente, non chiassosa, non istrionica. Minimalista, si muove lentamente in mezzo a ben dieci musicisti componenti il gruppo. Tre percussionisti. Un tastierista. Due fiati. Una chitarra e un basso. Due vocalisti. Ma come tiene il palco. In certi momenti sembra che ci sia solo lui, anche se sono in undici.

Carlos Santana. Un sessantenne senza età. Una berretta di lana calata fin sulle orecchie, da cui sbuca una cascata di riccioli che gli scendono sulle spalle. Una semplice maglietta nera con intricatissimi disegni multicolori. Occhiali scuri che terrà fino al calare della notte, rivelando alfine i suoi occhi segnati ma intensi e taglienti. Un viso aggrinzito ornato da baffetti sporadici, che ricorda vagamente Charles Bronson.

Ma le mani sono la vera magia. Riprese in primo piano ed ingigantite sul maxischermo alle sue spalle, fanno miracoli sulle sei corde. Mani grandi, nodose, irsute. Mani vecchie ma giovani. Sembra che nella vita non abbiano mai fatto altro che correre e scorrere su quella chitarra per estrarvi ritmi trascinanti e straordinari da regalare al pubblico.

La delicatezza struggente di certi pezzi, assoli vibrati che ti entrano dentro. Non ha una chitarra, ha una voce in mano. Una voce che tira fuori da quelle corde accarezzate dalle sue dita infaticabili. Emana energia ad ogni nota. Sessantanni e non sentirli. Ride mentre duetta con i suoi orchestrali. Chitarra e voce. Chitarra e tastiere. Chitarra e tromba. Le corde, sotto le sue dita antiche e magiche, cantano, suonano, imitano altri strumenti.

Un crescendo trascinante. La gente per oltre due ore è rimasta compostamente seduta, per una semplice forma di rispetto nei confronti di chi era nelle file più indietro. Ma alla fine, quando arrivano i pezzi caldi e latini, quelli irresistibili, quelli che ti picchiano duro dentro, allora tutti in piedi, si salta, si balla, si applaude a tempo. Una inverosimile discoteca live all’aperto che va dai dieci ai settant’anni. E dopo il bis, con assoli mozzafiato dei percussionisti e l’ultimo straordinario regalo di quelle mani mai stanche, un tripudio di braccia osannanti levate al cielo nero come la pece e denso di stelle del sud.

Due ore e mezzo filate di pura energia. Carlos Santana, continua a suonare. Starei stato ad ascoltarti tutta la notte.

Prima pubblicazione : 2 marzo 2008

4 commenti:

  1. Che meraviglia, sai che mi stai veramente tentando con l'Australia?
    Alle partite di calci ci possono andare tutti, ai concerti addirittura ti vendono il vino nelle bottiglie di vetro...
    Io sono stata 1 mese fa a Parigi a vedere gli U2 e non fanno nemmeno passare le bottiglie di plastica di acqua se non togli il tappo...

    Comunque come sempre un bellissimo sogno ad occhi aperti, grazie per i tuoi racconti.

    Saluti
    Marta

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  2. Come sono invecchiati e imborghesiti i fan di Santana. Una volta era : marijuana, lsd e chiasso, oggi : cabernet sauvignon, champagne e gente compostamente seduta....sembra che Carlos "snooze" Santana sia evoluto allo stesso modo, dalla creatività alla noia...D'altronde, la gente ha cominciato a ballare quando Santana ha smesso di chiaccherare con la sua chitarra...
    Ovviamente, sono in malafede...
    alex

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  3. Ciao Marta,

    grazie della visita e del commento. Dipende solo dalla civiltà della gente potere avere acqua, vino o birra a disposizione durante un concerto. Se non si usano le bottiglie come proiettili, tutti possono apprezzare il piacere di una bevuta in una winery. Ascoltando Santana. Mica poco...

    Per questo mi piace molto l'Australia. E per altri motivi che continuerò a raccontare.

    Ciao, a presto,
    HP

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  4. ciao Alex,

    è vero, si sono imborghesiti i fans e pure l'artista. La furia creativa non sarà più quella di Abraxas, gli eccessi neppure.

    Però Carlos Santana a sessantanni non è la triste caricatura di se stesso che offrono altri artisti mal invecchiati. Le sue mani giocano ancora sulla chitarra come faceva quarant'anni fa.

    Chi non si evolve scompare. Sarà questa la ragione per cui i Led Zeppelin, i Genesis, i Deep Purple, perfino i Pink Floyd sono dei ricordi per appassionati, mentre Santana continua a suonare. E a intrattenere.

    Grazie della visita e del tuo commento, a presto,
    HP

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