domenica 28 novembre 2010

Valanghe killer

Rieccoci. Torna la stagione sciistica, e con essa gli immancabili incidenti. Imprudenza? Malriposto senso di sfida? Semplice fatalità? Fatto sta che ogni inverno si deve leggere di gente rimasta sotto le slavine. Di soccorritori all’affannosa e spesso inutile ricerca dei corpi. Di disperate corse in ospedale, tentando impossibili rianimazioni. Di private disperazioni.

E come sempre, di killer. Questa volta sono le valanghe. Allora, per protestare contro il diffuso malcostume di dare dell’assassino a qualcosa di inanimato, come la neve, il mare, la montagna, gli alberi, ripubblico quello che avevo scritto due anni fa.

Il killer delle piste

Questo ennesimo abuso lessicale della parola killer mi costringe a dire la mia, che covava dentro già da tempo, come un’influenza mal curata. Non riesco a tacere oltre. Lo so che nei titoli lo spazio è essenziale. E killer sarà anche più breve e pratico di assassino, di uccisore, di omicida. Ma l’immediatezza non può prevaricare la correttezza del costrutto, e guidare i lettori fuori dal seminato.

Prima di scorrere la notizia, mi sono immaginato inseguimenti alla zerozerosette su pendii innevati, con un abilissimo sciatore armato di pistola col silenziatore che alla fine, dopo evoluzioni tra i pini degne dei migliori stuntmen, raggiunge il bersaglio designato dalla mafia e lo liquida con la precisione di un cecchino tedesco. Scena finale girata presso la famosa baita da Joseph, con bondgirls abbronzate urlacchianti di raccapriccio e gente che scappa da tutte le parti o si rifugia sotto i tavoli, ribaltando vassoiate di speck e polenta, mentre il killer si eclissa con un elegantissimo slalom che nemmeno Gustavo Thoeni dei tempi d’oro. Quando è tutto finito arriva la polizia e dice avanti, dove sono i testimoni?

Del fattaccio di Bolzano soltanto la parte finale del mio raccontino corrisponde a verità. E il killer non è un uomo prezzolato dalla mala per far fuori un picciotto che ha sgarrato e a cui l’hobby dello sci si rivelerà fatale, ma solo un arrogante sprovveduto che ha ammazzato un padre di famiglia – davanti alla figlia dodicenne, doppio orrore – rovinandogli addosso a tutta velocità nella sua sciata scriteriata, trasformando così una giornata spensierata di vacanza in una tragedia. Nella miglior (ma dovrei dire peggior) tradizione dei pirati stradali, il farabutto ben si è guardato dal fermarsi, per prestare soccorso e per assumersi le proprie responsabilità. Mi auguro che sia presto identificato e riceva una punizione confacente alla gravità del suo gesto sconsiderato.

L’omicida casuale di Bolzano si va ad aggiungere ad una lista di altri soggetti a cui viene, quando se ne presenta l’occasione, attribuita la qualifica di killer. Così abbiamo la montagna killer, se qualche scalatore vola di sotto da una parete. La valanga killer, che ghermisce la vita di qualcuno, ma la colpa spesso è di qualcun altro che ha tagliato il fronte nevoso, generando la slavina. Il mare killer, di solito operante all’inizio di ogni stagione estiva, ai danni di incoscienti che si strafogano un paiolo di spaghetti e – non sapendo nuotare – si tuffano immediatamente tra i cavalloni; e poi pretendono di non affogare. Tutti queste entità sono in grado, è vero, di uccidere gli uomini. Ma solitamente (con l’eccezione degli tsunami) non sono loro ad andare a cercarsi le persone da ammazzare, ma piuttosto il contrario. Mare e montagna non si sfidano: si affrontano con deferenza e umiltà. L’imprudenza o la troppa confidenza sono le principali cause degli incidenti mortali. Non si è mai vista una montagna spostarsi da sé, all’inseguimento di un certo rocciatore che per ragioni insondabili gli stesse antipatico. E il mare è troppo grande ed infinito per accorgersi di esserini insignificanti che credono di poterlo vincere. Rispettiamo le proporzioni tra uomo e natura.

E inoltre, tanto per concludere con un tema che mi è particolarmente caro: gli alberi killer. Se già non apprezzo che si insultino mari e montagne con appellativi da malavitosi, men che meno tollero che si accusi di omicidio un pacifico olmo o platano che se ne sta lì tranquillo per i fatti suoi, con le radici ben salde nel terreno, finchè un giorno (o meglio, il più delle volte una notte) qualche allegrone decide di andarcisi a stampare contro, su una macchina con troppi cavalli ed un asino alla guida con troppo alcool in pancia. E la colpa è degli alberi? Per favore. Non facciamo ridere i polli. Come quella volta che, a causa dei troppi imbecilli che si impastavano contro le piante su un bel viale ombroso, ci fu qualcuno (credo un politico locale, e mi auguro abbia avuto una carriera estremamente breve) che suggerì la soluzione a tale strage: abbattere le piante, e permettere così ai guidatori amanti della velocità e dalla sbronza facile di decollare serenamente verso i campi limitrofi. Geniale, no? Si sa quanto ci sia bisogno di concime per far crescere le messi rigogliose. L’assessore che propose tale rimedio ben doveva intuire quanto fossero piene di tale fertile sostanza le zucche dei guidatori in questione. C’è anche un efficacissimo modo di dire inglese, per rappresentare tale condizione: shit for brains. In italiano si traduce: idiota.

Connazionali e politici legislatori: imparate da Singapore. Ieri, venerdì speciale da simposi di amici che si riuniscono a celebrare le festività con cene e libagioni, la polizia ha organizzato lungo l’intero arco della nottata una serie di posti di blocco mobili all’australiana (dai quali non si scappa), controllando una per una tutte le vetture che si incolonnavano lì. Diciotto guidatori sorpresi con troppo alcool in corpo per stare al volante. Diciotto arresti. Avete capito bene: arresti. Non una semplice contravvenzione e via tutti a casa a finir di festeggiare. Questi furboni rischiano fino a sei mesi di galera, diverse migliaia di dollari di multa ed almeno un anno senza patente. La prima volta. Se recidivi, la condanna penale è obbligatoria. In gattabuia avranno tutto il tempo per pensare che era meglio stare due decimi sotto il limite che uno sopra. Chissà quando (o se) l’Italietta furbesca e insubordinata diventerà un paese civile. Io ci spero sempre. Forse allora la smetteremo di leggere di gente ammazzata sulle strisce da bastardi ubriachi al volante. E di alberi col passamontagna e la magnum 44 nascosta tra le foglie, pronti a far fuori chi passa proprio dal loro viale.

Prima pubblicazione : 27 dicembre 2008

8 commenti:

  1. Che ci vanno a fare quegli stupidi a morire sulla neve? Lo fanno per lavoro? Io gli farei pagare le spese a quelli che si salvano

    RispondiElimina
  2. caro Piero,

    grazie della visita e benvenuto sul mio blog. Credo che qualche spesa gliela facciano davvero pagare, a quelli che costringono il 118 ad intervenire. Ma non è solo quello il punto.

    Il fatto è che talvolta, per l'incoscienza di chi crede di poter sfidare le montagne, e non ascolta i moniti alla prudenza, si mettono a repentaglio le vite dei soccorritori.

    Chi glielo fa fare? Penso di poterti rispondere. Il senso di sfida con se stessi. La voglia di andare sempre oltre. Di osare l'inosabile. Deve essere la scarsa ossigenazione dell'alta montagna che fa andare fuori di testa. Forse è una droga anche quella.

    Ti parlo così perchè ho un amico che ci è morto, dentro una valanga. Quelli che erano con lui così me l'hanno spiegata. E credo loro. Da quella volta però non hanno più calzato sci. Deve essere tremendo capire che sei stato scelto dal caso per vivere, mentre chi era accanto a te, lì a due metri, lo stesso fato se l'è portato via.

    Grazie del commento, a presto,
    HP

    RispondiElimina
  3. La sfida. Al mare, sì. Alla montagna, forse, anche se mi è difficile capire.
    Tesea

    RispondiElimina
  4. Ciao Tesea,

    in maniere diverse, temo - perchè rispetto - entrambi. Il mare per la sua infinita potenza, per farci sentire in granello di sabbia nella sua immensità. La montagna per quella sua immobile imponenza - che poi immobile non è, tanto è vero che ogni anno muoiono stuoli di arrampicatori della domenica che prendono la sfida sottogamba e scivolano su pietraie, rocce che cedono, o cadono in canaloni infidi e nascosti.

    Con entrambi, la prudenza è il solo modo di affrontarli. E uscirne vivi.

    Grazie del commento, a presto,
    HP

    RispondiElimina
  5. Valanga di irresponsabilità e catena di responsabilità.

    Esempio : la stazione che non ha scattato le valanghe prima dell'apertura agli sciatori o che non chiude le piste quando c'è un rischio mortale.

    Esempio : gli sciatori che non rispettano le regole, che non consultano il meteo, che fanno fuoripista nel pomeriggio.

    Esempio : la prefettura che non prende le sue responsabilità chiudendo le stazioni, le strade, che non vieta le rotazioni di elicottero che portano gli sciatori fuoripista, che non costringe gli sciatori ad indossare lo zaino con l'airbag (perché si muore in una valanga per avere risparmiato 90 euro !)....
    Alex (sciatore nei pirenei)

    RispondiElimina
  6. ciao Alex,

    grazie del tuo commento. Si vede che parli da persona competente. Aggiungerei (almeno in Italia, non so se da voi capita) quelli che, per risparmiare o per distrazione non usano o portano con sè il GPS, che lancia segnali di aiuto ai soccorritori che lottano contro il tempo per localizzare un sepolto dentro una valanga.

    Buona settimana, a presto,
    HP

    RispondiElimina
  7. Ciao. Ho pensato un po' prima di scrivere, sai perchè ? condivido con te il fastidio quando leggo montagna/albero/mare killer, ma che dovevo dire?: la penso come te? una banalità che non avrebbe aggiunto nulla al tuo pensiero. Il punto è però un altro: quando leggo un commento come quello di Piero che da dello stupido senza conoscere nulla,ad un morto in valanga, che con tutte le responsabilità possa avere avuto, il suo sbaglio lo ha pagato caro, credimi mi monta il sangue agli occhi. Oppure il commento di Alex che vorrebbe che altri si facessero carico di tutti i divieti del mondo, per prevenire le disgrazie, e tira in ballo stupidi airgag come fossero la salvezza (il che dimostra che di neve ne capisce molto poco), il sangue dagli occhi va in ebollizione. Da frequentatore e utilizzatore della montagna, in estate ed in inverno, posso dirti che se tutti stessimo in casa la domenica davanti al televisore a rincoglionirci delle demenzialità che la stessa ci passa, nessuno morirebbe in valanga, ma credimi, preferisco la possibilità di un incidente che essere una ameba davanti ad uno schermo. Quello che manca, non sono i divieti o i poliziotti che ti inseguono, ma manca la capacità di ASSUMERCI LE NOSTRE RESPONSABILITA'. Responsabilità che ci porterebbero a valutare i rischi e non sperare sempre che, perchè ho un airbag, un a.r.v.a. (ciò che chiami gps), c'è il 118 che interviene, io sono immortale. E se il medico del 118, non è riuscito a salvarmi, magari gli intentiamo una bella causa di risarcimento. Da noi in Italia, vogliamo essere trattati da bambini, con tutti i cartelli delle spiegazioni e avvisi di pericolo appesi da tutte le parti, se vai solamente in Francia, c'è all'inizio del fuori pista un bel cartello che recita: AL DI LA' DELLA RETE, E' TERRITORIO NON CONTROLLATO, CHI SI AVVENTURA LO FA A PROPRIO RISCHIO E PERICOLO. Credimi, diventa la linea di demarcazione tra chi sa e chi non sa. Ciao Giannico

    RispondiElimina
  8. Ciao Giannico,

    ben ritrovato da me. Ti ricordo qualche tempo fa, ci eravamo visitati. Piacere di ritrovarti.

    Un commento lungo e articolato, critico, come solo un appassionato di montagna quale sei poteva fare. E' bella quell'immagine finale della linea di demarcazione tra chi sa e chi non sa. Rende molto bene l'idea. Una specie di scritta dantesca, lasciate ogni speranza o voi che varcate...

    Grazie del tuo ampio commento, a presto,
    HP

    RispondiElimina