giovedì 2 dicembre 2010

Game over

Un vizio diffuso e radicato come il fumo mi offre l’occasione di usare una statistica per analisi relazionali. In Corea fuma il 50% della popolazione maschile. Ma solo il 4% di quella femminile. Sembra una notizia irrilevante, ma in realtà la dice lunga sul ruolo delle donne nella società coreana.

Quando un’impiegata improvvisamente dà le dimissioni dal posto di lavoro, la spiegazione quasi invariabilmente è: si sta per sposare. Fine del gioco. Game over. Hai avuto la tua fetta di libertà personale. Di emancipazione. Contatti con uomini. Viaggi, talvolta perfino all’estero. Ora basta. Rientra nei ranghi. Il tuo posto è dietro ai fornelli.

Perfino in Giappone e in Cina le donne si sposano, fanno figli (in Cina di consueto uno), eppure spesso continuano a lavorare. In Corea no. E sto parlando della Corea del Sud, quella all’occidentale, emancipata.

Due ritratti di uomini coreani offrono immagini disuguali tra di loro, ma entrambe molto lontane dal nostro concetto di ruolo della donna nella società.

Sono invitato a cena a casa di un vero amico, totalmente differente dalla media degli altri coreani, al punto che a volte prendendolo in giro gli dico, ma dai, tu non sei mica coreano. Lui fa un risolino stringendosi nelle spalle, e i suoi occhi sottili e contenti diventano due fessure. Sa che la mia battuta è un complimento.

La moglie ha preparato ogni ben di dio, ricordandosi, a distanza di anni, cosa avevo già apprezzato in lontani analoghi conviti. Una cucina forte di sapore, ricca di aglio, di peperoncino, di olio di sesamo denso e profumato, di carne scelta con cura ed orgogliosamente dichiarata coreana, a garanzia e tutela da pallide e insipide imitazioni cinesi, tagliata a fettine sottili e scottata su una piastra elettrica posta direttamente sul tavolo. Poi una spettacolare zuppa di pesce e crostacei anch’essa mantenuta a bollore davanti a noi, dalla quale attingo generose e ripetute porzioni, facendo la gioia della moglie del mio amico.

Non parla una parola d’inglese ma s’inchina molto ad ogni pietanza servita, e non siede a tavola con noi adducendo la puerile scusa che la sera non mangia molto, ma si capisce che così vuole la tradizione. I suoi uomini, marito e figlio maggiore, cenano con l’ospite. Tavola apparecchiata per tre. Lei accudisce premurosa osservandoci compiaciuta. In piedi. Tutto il tempo. Non ho insistito nell’invitarla a gustare qualcosa di quelle delizie, perché l’avrei messa in imbarazzo con i suoi.

È stata un’ottima cena. Ma a causa della mia percezione all’occidentale, mi sono congedato quasi a disagio per la privazione di qualche cosa. Il piacere della presenza a tavola dell’artefice e padrona di casa.

Parlo con un altro coreano, anche lui sposato e con figli adolescenti. Altra mentalità, direi la più diffusa. Le donne – e lo dice con rammarico – oggi si sono evolute. Solo quindici anni fa – bei tempi! – si poteva liberamente prendere a ceffoni o insultare una donna sorpresa a fumare in pubblico. Il divorzio poteva essere chiesto dall’uomo, non dalla donna.

Una delle ragioni per chiedere il divorzio era il fatto di produrre (sì, proprio così) solo figlie femmine. Così la donna poteva essere liberata – vedi che fortuna – dalla sventura di non potere avere figli maschi, ed era finalmente libera di trovarsi un altro uomo – ammesso e non concesso che un altro coreano fosse dell’idea di prendersi una donna col pesante fardello di prole pregressa – che finalmente le avrebbe fatto raggiungere l’obiettivo, l’unica missione per cui le donne sono state create: dare dei figli maschi ai propri orgogliosi uomini.

La moglie (che ovviamente non lavorava ma aspettava fiduciosa il marito a casa) quando riceveva dal padrone i soldi per la vita quotidiana, doveva inginocchiarsi e ringraziare umilmente. Se non avesse fatto, l’uomo era nel diritto di schiaffeggiarla.

Non è finita. Veniamo ad oggi. Le donne devono ascoltare, nell’ordine (non d’importanza, solo squisitamente cronologico): il padre; poi il marito; poi il figlio maggiore. Insomma, dipendono sempre da un uomo.

A questo punto una confessione personale. Il mio interlocutore ha un figlio ed una figlia. Ammette, quasi a malincuore, che sta viziando la bambina. Mentre il maschio lo prepara alla vita adulta irreggimentandolo come un soldato, duro e niente moine, selezione naturale, tanto poi nella scuola superiore funzionerà così, all’università dovrà fare molte notti in bianco per sperare di passare gli esami, e infine la vita lavorativa completerà il lavoro di tempra, la femmina è coccolata e accudita. Un’improvvisa luce nel buio oscurantista e sciovinista di un popolo dalle regole feudali – o di poco più recenti?

La giustificazione per i vizi alla fanciulla è semplice, nella sua agghiacciante logica maschilista. Prima o poi la figlia non gli apparterrà più. Usa proprio questo verbo, appartenere. Padre e padrone. Eppure l’uomo che ho davanti non parrebbe tale. Forse è ancora peggio così. Persone apparentemente normalissime si comportano da padri padroni al rientro a casa. Giustificati, difesi, autorizzati dalla tradizione. Ma c’è di più. Andiamo avanti nel tempo. La figlia, come un pacco postale, cambierà semplicemente proprietario. Dal padre al marito. Una volta ceduta al marito, il padre dà già per scontato che sarà trattata male. E che lui, col titolo di padrone ormai scaduto, non potrà più accampare diritti sulla stessa, né interferire negli affari privati della nuova famiglia, semplicemente per difendere la figlia dai maltrattamenti.

Quindi quelli dell’adolescenza sono gli anni più belli della vita di una donna. Per questo suo padre la vizia. Come diceva Primo Levi: se questo è un uomo.

Prima pubblicazione : 6 gennaio 2008

8 commenti:

  1. Non è che uno dei motivi per cui l'Oriente avanza sulla scena mondiale, è anche l'attaccamento e la fedeltà ad antichi valori, contro il disfacimento delle nostre società occidentali e'democratiche'?
    Tesea

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  2. Ciao Tesea,

    la ragione principale per cui l'Oriente (ma in realtà stiamo soprattutto parlando della Cina) avanza di gran carriera sulla scena mondiale è l'attaccamento morboso ad un valore diffuso: la voglia di ricchezza e di successo. Da perseguire quasi a tutti i costi.

    Poi i cinesi sono facilitati da obiettive enormi differenze con la... matura e responsabile e democratica Europa: una propensione a vivere per lavorare anzichè viceversa; un mercato del lavoro con poche e mal controllate regole; la totale mancanza di sindacalizzazione, che permette ai padroni di fare il bello e cattivo tempo nelle loro proprietà (tra le quali ci sono anche gli operai); la tendenza a trovare utili scorciatoie per "risolvere" i problemi senza troppo clamore; eccetera.

    Attaccamento e fedeltà ad antichi valori è quello che le madri cinesi insegnano (non sempre con successo...) alle figlie. Nella speranza che trovino un buon partito, che le faccia stare bene, che dia loro il benessere che madri e nonne dell'epoca di Mao non hanno conosciuto.

    Il "disfacimento" delle nostre società è in parte dovuto a perdita di valori fondanti, in parte ad un malinteso senso della tolleranza, che tutto permette nel nome della correttezza politica.

    Sarebbe un tema lungo da sviscerare, e potremo continuare per ore. Magari potrebbe diventare argomento per qualche post...

    Grazie della visita e del commento, a presto,
    HP

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  3. Disuguaglianza tra uomo e donna. Loro dicono : tradizioni, io dico : ideologia.

    Ho letto un bellissimo libro : la chambre solitaire (an isolated room) da una scrittrice coreana : Shin kyong-Suk. Un'autobiografia. Shin racconta il suo percorso. Lei ha 16 anni e lascia la campagna (con una cugina) per Seul. L'unico modo per accedere al liceo e di lavorare in fabbrica, poi la fabbrica sceglie le operaie più brave che potranno seguire i corsi serali. Per tre anni, Shin conosce tutto : i disagi, la solitudine, le molestie, le giornate senza orari, un lavoro sfibrante, le lotte sindacali...alla sera, lei torna nella piccola camera condivisa con suo fratello e la cugina. In questa cameretta, scaturirà la sua voglia di diventare scrittrice....

    Nella camera, Shin cucina i namul
    300 grammi di spinacci (per due)
    1 pizzico di sale grosso per la cottura
    2 cucchiai d'olio di sesamo
    2 cucchiai di salsa di soia
    1 spicchio d'aglio
    1 cucchiaino di gomasio
    1 pimento
    Basta lessare gli spinacci con il sale per 1 minuto e asciugarli, fare la salsa, alla fine il gomasio.
    Alex

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  4. Ciao Alex,

    ecco un'altra bella segnalazione di un libro probabilmente non facile da trovare. Grazie per il consiglio.

    E per la ricetta, minimalista ma interessante, in ottimo stile orientale.

    Buona giornata, a presto,
    HP

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  5. Caro HP,
    il tuo commento al mio è un discorso molto interessante. Ne aspettiamo un approfondimento in un promesso, prossimo post.
    Buon finesettimana
    Tesea

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  6. Ciao Tesea,

    e allora vedremo di approfondirlo, tempo permettendo!

    Grazie del commento, a presto,
    HP

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  7. La mia reazione istintiva di fronte a queste crude realtà è sempre la rabbia, ma poi per fortuna mi sveglio e sorge in me la compasione. Compassione non vuol dire pena. La pena si limita a se stessa, è un'emozione punto e basta. La compassione invece implica un'azione, significa "mi dispisce per te e voglio fare qualcosa di concreto per aiutarti". Da ragazza volevo cambiare il mondo, eliminare le ingiustizie... i sogni utopici di una giovane idealista! Ora ho capito che l'unico modo per cambiare il mondo, per migliorarlo è quello di migliorare se stessi e di seminare qua e la piccoli imput, piccoli dubbi che possano invitare alla riflessione e quindi al cambiamento. Per questo ho lasciato questo commento. Perchè leggendo il tuo post ho percepito la tua compassione, la tua voglia di far qualcosa di concreto. E' stato come un viaggio nel tempo: ciò che succede oggi in altre parti del globo è uguale a ciò che accadeva ieri dalle nostre parti. Per questo la mia speranza di vedere un giorno il trionfo della libertà e della giustizia sull'ignoranza, continua a vivere!

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  8. Ciao Eva, e benvenuta tra i miei lettori e commentatori!

    Bello il tuo commento, un racconto nel racconto. Quando stimolo a scrivere parlando di se stessi, del proprio sentire, sono sempre contento. Perchè so di essere riuscito nell'intento: interessare, incuriosire, far riflettere. E infine giudicare.

    Grazie delle tue parole, a presto,
    HP

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