mercoledì 29 dicembre 2010

Vini e veleni

Ci risiamo. Nemmeno due anni dopo lo scandalo del latte alla melamina, che ha fatto inalberare l’opinione pubblica cinese, che ha ucciso sei lattanti e ne ha intossicati migliaia, che ha portato al fallimento di una delle più grosse imprese del settore, che infine ha portato al patibolo un paio di responsabili e schiaffato in galera a vita alcuni altri, ecco una nuova eclatante impresa degli artisti della falsificazione.

Sei arrestati nella provincia del Hebei. In Cina fino ad una decina di anni fa si bevevano dei “vini” orrendi. Roba dolciastra, di un colore inquietante, sembrava una spremuta di ciliegie andata a male corretta con massicce dosi di zucchero. Poi i cinesi hanno capito che c’era un mercato per questa curiosa bevanda colorata, per la quale quei mattacchioni di europei (e in particolare francesi e italiani) parevano andare matti. Se una bottiglia di un vero Chateau bordolese può costare qualcosa come settecento euro, perché non inventarsi produttori di vino e invadere il mercato con i propri famosissimi castelli?

Così la provincia del Hebei è diventata il Bordeaux della Cina. Tante belle etichette che scimmiottano quelle francesi, con raffigurazioni di improbabili manieri, stemmi araldici di dubbia verificabilità e pretenziosi nomi di vitigni certamente non autoctoni. Peccato che l’appetito vien mangiando, e volevi che in Cina qualcuno non si inventasse la scorciatoia per arricchirsi alle spalle di quegli ignorantoni che non distinguerebbero un lambrusco nel cartoccio da un Barolo d’annata? Trenta cantine sono state ispezionate e chiuse, 5000 casse di “vino” pronte per la consegna sequestrate, le relative marche fermate sugli scaffali dei supermercati, sei indagati. Per cosa? Per aver utilizzato zucchero, aromi artificiali e componenti chimici in aggiunta, quando direttamente non al posto dell’uva, per riempire le proprie bottiglie. Si stima che i più onesti non superassero il 20% di mosto, e il resto chimica pura. E non basta. I vini locali, si sa, non spunteranno mai le quotazioni di un bel Cabernet Sauvignon cileno o australiano, per non parlare dei grandi cru francesi o delle riserve italiane. Qualche cantina produceva direttamente dei falsi vini d’importazione, sempre con la stessa ricetta tutta sintetica.

Ma c’è di meglio! Non sono nemmeno stati degli ispettori governativi a scoprire questa tresca ai danni dei consumatori. Ci hanno dovuto pensare dei ficcanasi di giornalisti televisivi, della tivu di stato CCTV, che sono andati a fare domande indiscrete a destra e a manca, sentendosi rispondere alle loro contestazioni ai titolari delle cantine visitate: non c’è problema, non c’è problema, ma voi di cosa vi impicciate??

Un paio di consigli a chi visitasse la Cina: per sicurezza, vi trovaste a dover proprio ordinare una bottiglia di vino cinese, evitate marchi come Jiahua, Yeli e Genghao. E poi fate come i russi, che dopo il brindisi spaccano i bicchieri. Con una variante: voi, finito quel buon Barbaresco, piuttosto che quel profumato Shiraz australiano, spaccate la bottiglia. Perché c’è anche un fiorente mercato nero delle bottiglie originali (vuote) di vini di pregio, che vengono riciclate per essere riempite da artisti della truffa come quelli incriminati nell’Hebei. Spaccatela. Farete un favore ai prossimi commensali, evitando loro vini e veleni.

Cin cin.

12 commenti:

  1. In Cina esiste una bevanda alcolica nazionale paragonabile al saké giapponese?
    Grazie per tutte le informazioni che ci dai sull'Oriente.
    Tra l'altro spero che, su questo nuovo sito, i tuoi precedenti post non spariscano dalla rete con la fine di dicembre, così come avviene, mi dicono, per gli altri blogger de La Stampa. Non vorrei perdermi quelli che -vis maior...- non ero riuscita a leggere a suo tempo, e che ora sto cercando di recuperare nei momenti di relax.
    Ciao
    Tesea

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  2. Caro Ferdinando, ti avevo scritto un commento e con account Google mi è sparito.
    Qui si possono ripescare?
    Vedi un po'...
    Abbi pazienza.
    Un abbraccione.
    Marianna

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  3. Grazie per le informazioni.
    Io comunque non mangio cinese mai e quindi difficilmente incorrerò nella truffa.
    Neanche in Italia.
    Un abbraccio affettuoso e buona notte.
    Marianna

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  4. Ciao Tesea,

    in Cina la bevanda più apprezzata in consessi serali (e purtroppo, al Nord, anche all’ora di pranzo) è il báijiǔ (白酒), un distillato di sorgo, mais o altri cereali. Non c’è banchetto ufficiale nel quale non venga servito un congruo numero di bottiglie di tale liquore. La caratteristica più inquietante è il particolare odore, non dissimile da certi nostri formaggi particolarmente forti (ai limiti della putrefazione). I cinesi traggono gran diletto nel vedere le facce solitamente disgustate di ospiti a cui viene proposto il brindisi con il vino di turno (ve n’è una pletora di produttori, ed ognuno reclama il primato di qualità e di originalità della ricetta).

    Quando non si ubriacano di tale distillato, i cinesi non disprezzano la birra, prodotto certamente più antico rispetto al vino. A Qingdao i tedeschi scoprirono fonti d’acqua pura (più di cent’anni fa!) e ivi impiantarono i primi opifici di produzione birraria cinese. Purtroppo, almeno per i nostri gusti, è raro riuscire ad apprezzare appieno la gustosa e bionda bevanda: infatti i cinesi bevono la birra a temperatura ambiente, e spesso i ristoranti non la tengono neppure in frigo, tanto gli stranieri si devono adattare alle usanze locali…

    Ti tranquillizzo per quanto riguarda la perdita dei vecchi post su sito di La Stampa. Anche se dagli inizi di gennaio il mio vecchio blog scomparirà (ho deciso di non pagare un abbonamento per continuare a raccontare le mie storielle, ed ho aperto questo nuovo blog), ho già provveduto a salvare tutto il vecchio materiale. A suo tempo farò sapere come accedervi. In ogni caso, inframmezzati a nuovi racconti, ogni tanto ripubblico le vecchie storie alle quali, per qualche ragione, sono più affezionato.

    Grazie della tua assidua presenza, cara Tesea, a presto,
    HP

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  5. Dimenticavo un dettaglio non trascurabile: il baijiu di solito fa 50° o più. Viene servito in bicchierini minimi, e va sgargarozzato in un solo sorso. Quel che fa sì che lo sfortunato straniero di turno si ubriachi ( se non ha avuto la scaltrezza di dichiararsi completamente astemio per serie ragioni mediche!) è che non si può rifiutare alcun brindisi, proposto da ogni cinese seduto al desco. Pertanto è probabile che dopo alcuni giri di tavolo (i cinesi sono specialisti nel testare la valentia dei stranieri a regger il loro alcool), prima ancora di aver cominciato a mangiare, lo straniero abbia ingurgitato almeno mezzo litro di un liquido incolore ma potentissimo, i cui effluvi lo perseguiteranno per i 5 giorni a seguire, e maledirà mentalmente il momento in cui si è seduto a quel tavolo.

    HP

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  6. Ciao Marianna,

    in Italia, per ora, non mi risulta che siano ancora arrivati i vini cinesi. E del resto ho sempre detto che il mangiare cinese in Italia è fortemente "adattato" ai gusti locali. Non ha niente a che vedere con l'autentica cucina cinese (con nessuna delle mille cucine esistenti, tutte ottime) e ne sconsiglio la frequentazione troppo assidua.

    Siamo noi che crediamo che la cucina cinese sia quasi esclusivamente costituita di roba fritta. In realtà è quanto ci viene propinato dai ristoratori in Italia. Involtini primavera? Pollo alle mandorle? Gelato fritto? Mai mangiati in Cina. Ecco la differenza.

    Grazie della visita e del commento, a presto,
    HP

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  7. Château Shanzhai
    Be' mi piace questa truffa basata sullo snobismo dei cinesi. Da noi, alcuni castelli sono ormai diventati delle marche : Cheval Blanc, Margaux, Beychevelle, Mouton-Rothschild, Lafite....Questi sì interessano i cinesi, ne hanno inghiottito quasi 1 miliardo di litri l'anno scorso. Eppure, credimi, i castelli se ne fregano dei clienti cinesi, li disprezzano perché mescolano il vino con della limonata...
    Gli altri, quasi 11 000 castelli, fanno degli ottimi vini, vorrebbero entrare nel mercato cinese ma non interessano il pubblico cinese perché non hanno le buone etichette...sono colpiti dalla crisi....vendono in perdita, appena 700 euro per 900 litri !....
    Forse, siamo degli imbecilli, abbiamo scrupoli, perché altri francesi riescono la stessa truffa dei cinesi, abbindolando a prezzo d'oro i giapponesi con il loro vinello [Roba dolciastra, di un colore inquietante, sembrava una spremuta di ciliegie...] :
    http://www.youtube.com/watch?v=n4FqF_1kmSc
    Buon anno ! Alex

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  8. In Cina non berrei nemmeno la cocacola, c'è da scommettere che trovano il modo d'inquinare anche quella. Grazie delle informazioni,nemmeno Marco Polo ha vivisezionato la Cina come fai tu. Dopo 800 anni resta ancora un mondo da scoprire.

    Un saluto affettuoso. Buon anno!

    dragor (journal intime)

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  9. I tuoi bellissimi racconti sul mondo sconosciuto della Cina e dell'oriente. Un abbraccio HP e gli auguri di un anno bello e pieno di soddisfazioni.
    luigi gobettiano

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  10. Ciao Alex,

    Château Shanzhai è davvero carina. Si potrebbe suggerire di usarlo come appellativo d’origine controllata per i vini cinesi truffaldini!!

    Interessante la tua disamina su vini francesi di qualità venduti sottocosto ed altri – di fama acquisita – che fanno soldi a palate con i nuovi ricchi, che per definizione sono ignoranti. Verissimo quanto dici del Lafite. Credo sia una delle rare parole francesi che i cinesi conoscono, insieme con Louis XIII (il cognac dal prezzo iperbolico che, proprio perché caro è molto appetito, salvo poi magari mischiarlo a ghiaccio e sprite, orrore degli orrori!!!).

    Fuori di zucca la segnalazione finale di Youtube, con i giapponesi a mollo nel vino. Logico che i marchi consolidati tengano ad esser presenti in Giappone. La qualità del brand innanzi tutto. In un’enoteca in piena Ginza, a Tokyo, ricordo d’aver visto una straordinaria sfilata di bottiglie di Château d’Yquem, straordinaria non per la selezione delle annate ma per il crescente volume di ogni contenitore: nemmeno sapevo che il pregiato Sauternes venisse imbottigliato in dimensioni maggiori della classica bouteille. Lì si arrivava non agli eccessi del Nabucodonosor, ma tranquillamente ad una già importante Salmanazar.

    Potenza degli Yen!

    Grazie dalla visita e del commento, Alex. Buon anno anche a te!
    HP

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  11. Ciao Dragor,

    grazie della visita e del commento! I tuoi passaggi di qui mi fanno sempre piacere.

    La Coca Cola non la bevo nè in Cina nè altrove. Ma concordo con te che troverebbero la maniera di falsificare anche quella. Come tutti i marchi di successo, c'è pronta una sfilata di imitazioni, che talvolta i detentori del nome originale riescono a portare in tribunale (se sono potenti a sufficienza) e capita perfino che i detti copycat debbano cambiare nome e logo. Ma è raro, l'ultimo esempio che ricordo è quello di Starbucks Coffee. Per una causa vinta, mille perse...

    Un abbraccio di buon inizio 2011, Dragor! A presto,
    HP

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  12. Ciao Luigi,

    che gran piacere ritrovarti qui! COntraccambio sia l'abbraccio che gli auguri per un sereno 2011, nella speranza che ci sia un'occasione di incontrarsi di nuovo di persona, e non soltanto in via virtuale...

    Grazie della visita, a presto,
    HP

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